domenica 2 ottobre 2011

Mondo islamico indiano nella letteratura

Può un racconto o un romanzo raccontare le caratteristiche di tutto un popolo? Forse questa idea somiglia di più agli oroscopi dove si pretende che un paragrafo può spiegare quello che succederà a milioni di persone durante un giorno, una settimana, un mese o in un anno.

Invece noi esseri umani, anche se condividiamo una religione, siamo molto diversi tra di noi e l'idea di rappresentare un gruppo di persone soltanto sulla base della loro religione è sbagliata. Un romanzo è più di un paragrafo, ma è sempre qualcosa di infinitamente piccolo e limitato in confronto a milioni o miliardi di vite umane. Per cui come può un romanzo avere la pretesa di rappresentare tutti i musulmani dell'India o, la maggioranza dei musulmani dell'India?

Non penso che gli scrittori vogliono rappresentare un gruppo o tutto un popolo quando scrivono una storia. Lo scrittore racconta la storia di suoi personaggi. Invece forse siamo noi, i lettori, che cerchiamo di dare altri significati a questi scritti.

Invece penso che i romanzi possono far intuire alcune caratteristiche generali delle popolazioni senza la pretesa di voler raccontare o rappresentare le diversità e le specificità di tutte le persone di un gruppo. Per esempio, penso che i romanzi possono far intuire il modo di essere un musulmano in India (e fino ad un certo punto, non soltanto in India ma in tutto il sub continente indiano) che è forse diverso da come si vive la stessa religione in altre parti del mondo.

Per secoli, la convivenza tra le molte religioni dell'India, e la forte influenza dell'induismo, ha creato dei buchi nelle frontiere tra le diverse religioni. Per cui c'è un'osmosi delle idee e dei modi di essere tra i diversi gruppi su entrambi i lati delle frontiere tra le religioni. Qualche volta queste osmosi aiutano o determinano la nascita di nuovi gruppi religiosi con una cultura religiosa mista. Ritengo che questa convivenza e mescolanza con le altre religioni si vede nei mondi islamici indiani.

Bhagwan Das Morewal, lo scrittore dalit che scrive in lingua indiana (hindi), una volta mi aveva parlato della cultura della regione di Mewat, che non si trova su nessuna mappa ma è una zona linguistica e culturale, intorno a Delhi che copre parti degli stati di Rajasthan e Madhya Pradesh, dove vivono alcuni gruppi musulmani con nomi e alcuni costumi indù. Il suo libro "Kala Pahad" ("Montagna nera", editrice Radhakrishna Prakashan, Delhi, 1999) era ambientato in questo mondo di Mewat.

Forse racconti e romanzi sono il mezzo migliore per parlare di questi mondi linguistici, culturali e religiosi meticci, molto meglio di censimenti o anche studi sociologici e antropologici.

Quali scrittori indiani possono essere i rappresentanti di questi mondi? I primi nomi che mi vengono in mente sono di alcuni scrittori della generazione che scriveva negli anni di divisione tra India e Pakistan. Scrittori come Ismat Chugtai, Manto, e Bhishm Sahni. Loro scrivevano in Hindi o in urdu e non penso che sono stati tradotti in inglese o in altre lingue europee.

Tra gli scrittori apparsi tra 1970-1990, i primi nomi che vengono in mente sono Salman Rushdie e Farrukh Dhondy, anche se entrambi sono formalmente scrittori British. Khushwant Singh è un altro scrittore che ha scritto di questi mondi, guardandoli dal punto di vista dei sikh e degli indù. L'unico nome recente che viene in mente è di Altaf Tyrewala, un giovane scrittore di Mumbai, ha scritto di questi mondi (anche se so che lui non gradisce essere descritto come scrittore dei mondi islamici). Questi autori sono tutti abbastanza conosciuti o addirittura famosi in Europa.

Tuttavia penso che la rappresentazione più "autentica" del mondo delle frontiere tra musulmani e altri gruppi religiosi in India è negli scritti di alcune scrittrici, le quali scrivono in lingue indiane - scrittrici come Amrita Pritam, Mehrunnisa Parvez e Nasira Sharma. La maggior parte di loro non è stato tradotto in inglese o in altre lingue europee e, non è conosciuta fuori dall'India.

Invece scrittori meno bravi sono più conosciuti in occidente forse perché vivono in occidente, scrivono in inglese e sono più facilmente traducibili. O forse perché scrivono secondo gli stereotipi occidentali per cui sono vendibili in Europa.

Per esempio, recentemente ho letto il libro "Tanaya toglie il velo" di Kavita Daswani (Titolo originale "Salaam Paris", Mondadori, 2006). Il libro racconta di una ragazza musulmana di Mumbai che viene a Parigi per incontrare il suo futuro sposo e invece diventa "la prima super modella musulmana del mondo".

Cover Kavita Daswani - Tanaya - Salaam Paris


Si tratta di libro molto superficiale, dove oltre l'incipit costruito per scioccare, "una ragazza musulmana che aveva vissuto con il velo, si presenta quasi nuda sulla passarella", manca una storia autentica. E' la solita storia del mondo della moda, dove la fama e i soldi hanno un prezzo, già raccontata molte volte.

L'ambientazione della storia iniziale di Tanaya in un chaal di Mumbai è piena di buchi a partire dal personaggio di suo nonno, un ex pilota di Air India, che vive in un apartamentino con 2 stanze, che non ha i soldi per telefonare la nipotina in Europa ma che ha un domestico in casa. Ne anche il nome della ragazza, Tanaya, coincide con il mondo musulmano tradizionale di Mumbai. I personaggi sono superficiali e unidimensionali, e leggere il libro dà l'idea che forse la scrittrice ha conosciuto il mondo musulmano in India molto tempo fa e se ne è dimenticata, per inventare qualcosa che appare nelle telenovelle. I nomi dei personaggi, i loro modi di essere e di fare, sembrano strani, non adatti al mondo che vuole costruire.

Può darsi che il libro è riuscito a colpire le persone che non conoscono bene il mondo tradizionale musulmano di Bombay e l'hanno trovato interessante? Mi piacerebbe saperlo.

Una delle mie scrittrici preferite che scrive del mondo musulmano in India odierna e delle frontiere bucate tra le religioni in India, è Nasira Sharma, la quale scrive in hindi. "Zinda Muhavare" (Proverbi viventi) è uno dei libri di Nasira Sharma che mi è piaciuto di più (Editrice Arunodaya, Shahadara, Delhi, 1996). In questo libro, complesso e articolato su diversi livelli, Nasira racconta la storia di una famiglia musulmana dal cuore di India, dallo stato di Uttar Pradesh. E' la storia della famiglia di Rahamatullah.

Il libro inizia dalla divisione dell'India e dalla decisione di Nizam, il figlio più giovane di Rahamatullah di lasciare l'India per andare a costruirsi una nuova vita nel nuovo paese, Pakistan.Invece rimangono in India, gli altri due figli di Rahamatullah, il figlio Imam e la figlia Rajjo. Rimane in India anche la ragazza che doveva essere la sposa di Nizam.

Il libro segue le vite delle due famiglie - la famiglia di Imam che è rimasta in India e la famiglia di Nizam in Pakistan. Il fatto che alcuni musulmani del villaggio hanno scelto di andare via in Pakistan viene visto come un tradimento dagli altri gruppi religiosi e i musulmani rimasti in India devono pagare le conseguenze di questa percezione.

Dopo alcuni anni di fatica in Pakistan, Nizam diventa ricco, mentre nella nuova India indipendente, la famiglia di Imam perde un po' del suo potere che aveva come grande proprietario delle terre. Le ombre dei sospetti verso i musulmani visti come terroristi e simpatizzanti del Pakistan arrivano anche nel villaggio dove vive Imam con vecchio Rahamtullah quando Nizam chiede il visto indiano per visitare la sua famiglia. Alla fine, Nizam non riesce a venire, e gli abitanti indù del villaggio fanno il quadrato intorno alla famiglia musulmana, ma Rahamattulah paga i sospetti della polizia indiana con la propria vita.

In Pakistan, Nizam è un ricco commerciante, ma la situazione generale del paese comincia a peggiorare. I radicali e gli ortodossi islamici hanno sempre più potere e il terrorismo arriva nelle città pakistane. Il figlio più giovane di Nizam sparisce un giorno e nessun sa dove è finito.

Dopo 50 anni, Nizam torna al suo villaggio in India e trova un'India sostanzialmente diversa da quello che immaginava. Lui spera di trovare una moglie musulmana del suo villaggio per il suo figlio maggiore Akhtar, ma Akhtar sa che le ragazze cresciute in India non potranno vivere in Pakistan:
"Come ti è sembrata Nuri, figlio", Sabiha ha chiesto.
"Si va bene, sembra una ragazza seria", Akhtar ha risposto casualmente.
"Allora le mandiamo il messaggio del matrimonio?" Nizam disse.
"No papà, lei non potrà respirare nel nostro paese", Akhtar disse in fretta.
"Cosa vuoi dire?" Nizam era sorpreso.
"Ho paura di tutta questa apertura, tutta questa libertà, questi strati e sotto strati di discussioni. Qui c'è molto che non conosciamo, che non abbiamo mai sperimentato, e faccio fatica a respirare qui!" Akhtar disse con po' di frustrazione."
Queste parole di Akhtar riassumono la differenza tra India e Pakistan. Lui pensa che le donne musulmane cresciute in India sono diverse, sono troppo libere e non rispettano i dettami dell'islam tradizionale.

Alla fine del libro Nizam conosce Gyassudin, il figlio di Imam, il commissario di un distretto con i suo amici indù e si rende conto della diversità tra i due paesi.

Un'altra autrice indiana che ha scritto del mondo musulmano in India è Mehrunissa Parvez. Il suo mondo letterario è quello delle famiglie tradizionali musulmane e le famiglie aadivasi (indigene) nello stato di Madhya Pradesh. Lei focalizza sul ruolo della donna e sui rapporti umani. Mi piace molto il suo libro Akela Palash (Palash solitario - Palash è un albero delle colline rocciose con i fiori rossi).

La tradizione letteraria di scrittori come Nasira Sharma e Mehrunissa Parvez si allaccia con la tradizione medievale indiana di "poeti santi" con personaggi come Mira Bai, Tukaram, Gyaneshwar, Kabir e Rahim. Questi ultimi, Kabir e Rahim, entrambi hanno scritto molte poesie che vanno oltre le religioni, e raccontano un modo di essere tipicamente indiano, dove la religione è soltanto un dettaglio non molto importante della vita comune delle persone.

Molte volte quando si parla di India e Pakistan, si pensa all'India indù e il Pakistan musulmano, ma si dimentica che molti musulmani non avevano scelto il Pakistan, avevano deciso di restare in India, e ancora oggi, vi sono più musulmani in India che in Pakistan.

Conclusioni: Forse in nessun altro paese del mondo, i musulmani hanno convissuto con altre religioni per così tanti secoli come in India e ciò ha creato diverse forme di sincretismo religioso e si sono influenzati reciprocamente. Le storie di questo gruppo di persone, il loro modo di essere sono stati raccontati da diversi scrittori indiani, sconosciuti in occidente.

Per qualche motivo, nei notiziari in Europa, le uniche voci alternative che si sentono sono quelle degli uomini radicali, ortodossi e tradizionalisti che pretendono di essere unici rappresentanti autorevoli delle loro comunità.

Invece penso che queste storie indiane possono essere interessanti perché fanno capire molto meglio la futilità di vedere il mondo suddiviso tra "noi" e "gli altri". Penso inoltre che oggi c'è molto bisogno di capire i le convivenze sinergiche tra le popolazioni, come raccontati nei libri di questi scrittori.

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domenica 25 settembre 2011

Stregato dalle donne di Villa Spada

Oggi ho visitato la Villa Spada per la prima volta e sono rimasto stregato dalla fila delle statue delle donne di terracotta ai bordi del suo giardino all'italiana. Le loro espressioni, i loro vestiti, le loro diverse età e pose, sono meravigliose.

Avevo già visto le famose Marie di Nicolò dell'Arca in centro di Bologna e sono molto belle, ma mi sono piaciute ancora di più le statue di Villa Spada, perché sono all'aperto e sono rimaste esposte agli elementi per circa due secoli, per cui hanno cambiato i colori, alcune sono scrostate, su alcune statue piccole piante crescono sulle loro teste, e tutto questo le rende ancora più belle.

Tornato a casa dalla visita, ho subito cercato informazioni su queste statue sull'internet, ma sembra che non esistono. Che nessun altro le abbia trovato belle, mi sembra impossibile.

Diversi siti parlano dei belli giardini all'italiana che fanno da cornice a queste statue. Qualche sito parla della statua di Ercole che si trova in centro del giardino. Invece nessuno parla di queste statue di terracotta.

E' vero che se guardiamo dal giardino all'italiana, vediamo solo le loro schiene e non ci rendiamo conto che sono così belle. Se andiamo sul terrazzo del tempietto, le statue si vedono ma non si vedono le espressioni sui loro visi. Per vederle bisogna passare sul terrazzo che passa sotto le statue.

Sono rimasto a guardarle per molto tempo, una ad una, e mi sento stregato.

Ecco per voi, alcune immagini di queste statue.


Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

E alla fine, la mia favorita, la donna in cinta. L'espressione sulla sua faccia è bellissima.

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Wonderful Terracotta statues of Villa Spada in Bologna - S. Deepak, 2011

Secondo voi queste statue non sono meravigliose? Magari qualcuno di voi conosce queste statue e il nome dell'artista che le ha fatte?

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Invece per quanto riguarda il museo della Tappezzeria che si trova in Villa Spada, penso che dovrebbero abolire il biglietto di entrata per questo museo. Non penso che riceve molte visite.

Invece forse si può far pagare il biglietto per vedere queste statue?

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domenica 11 settembre 2011

Il mondo dei Tam-Brahms

I Tam-Brahms sono i bramini Tamil, un gruppo considerato chiuso e conservatore. Negli ultimi decenni, è anche uno dei gruppi che si sono affermati come "gli intelligenti indiani" che dominano gli istituti di alta formazione in tutto il mondo, soprattutto in campi tecnologici e le scienze. Il loro incontro e scontro con il resto dell'India e con le altre culture è stato oggetto di diversi film e libri - per esempio il film "Knock knock I am looking to marry" (2004) e il libro Two States (Due stati) di Chetan Bhagat.

I Tam Brahms (diminutivo di Tamil Brahmans ovvero i bramini tamil) è uno dei temi caldi anche sulla blogosfera. Per esempio, se non avete difficoltà con l'inglese, potete leggere - i matrimoni Tam Brahms, come discutere con i tam brahms,  di cosa parlano i tam brahms tra di loro, intervista con un tam brahm, perché le persone odiano i tam brahm, come riconoscere un tam brahm, ecc.

La sposa Bambina di Padma Vishwanathan
"La Sposa Bambina" di Padma Vishwanathan (Garzanti, 2009, traduzione di Giuseppe Maugeri, titolo originale "The toss of a Lemon") è la storia di tre generazioni di una famiglia di bramini tamil che inizia all'inizio del 1900 e segue i mutamenti di questo gruppo sullo sfondo dell'indipendenza dell'India e la lotta delle caste emarginate per la dignità.

La scrittrice Padma Vishwanathan è una Tam-Brahm, anche se nata e cresciuta in Canada e ora vive in America.

Il libro racconta la storia della famiglia di Hanumarathnam e la sua giovanissima sposa, Sivakasi. E' ambientato a Cholapatti nello stato indiano di Tamilnadu, a qualche ora di viaggio dalla capitale statale Chennai.

Verso la fine del libro, Thangajyothi, la nipotina di Sivakasi rivela che è lei la scrittrice del libro e ha voluto così raccontare la storia della sua famiglia. Invece, nelle note finali, Vishwanathan chiarisce che il racconto non è una autobiografia, è una storia inventata anche se è basata sulle storie che lei aveva sentito dalla sua nonna, Dhanam Kochoi.

Hanumarathnam è un giovane prete bramino, conoscitore dei movimenti delle stelle e dei pianeti, e bravo a tracciare gli oroscopi. Quando lui sposa Sivakasi, sa già che non avrà una vita lunga perché il suo destino scritto sulle stelle ha deciso così. Thangam, la loro figlia, ha ereditato il dono del padre di guarire le persone mentre Vairum, il figlio che con le stelle della sua nascita accorcia la vita al padre, è un bambino strano e irrequieto.

Hanumarathnam prepara la moglie ad essere indipendente dopo la sua morte e cerca un giovane uomo che potrà fare da serve fedele alla sua famiglia, e così aiutare la vedova Sivakasi. Alla fine Hanumanrathnam sceglie il giovane Muchami come servo, perché è preciso e ordinato, ma anche perché sembra non essere interessato alle ragazze.

Come predetto dall'oroscopo di suo marito, Sivakasi resta vedova a 20 anni. Deve rasarsi la testa al buio ogni mese e osservare un rigido protocollo di comportamento adatto alle vedove, compreso, evitare ogni contatto con i figli durante il giorno. Viverà tutta la sua vita così chiusa dentro il protocollo della casta con l'aiuto di Muchami.

I due figli di Sivakasi crescono con Muchami e con gli zii che abitano vicino. Come era successo per Sivakasi, a 9 anni i fratelli di Sivakasi cercano lo sposo per Thangam e identificano Goli, un bel ragazzo della loro casta. Vairum, il suo fratello invece sviluppa delle macchie bianche sulla pelle, e cresce come un ragazzo emarginato dalla propria comunità.

Il marito di Thangam si rivela un furfante buono a nulla e Thangam inizia a sfornare i figli, che poi crescono vicino alla nonna Sivakasi. Vairum, non crede agli oroscopi e insiste a sposare una ragazza che pensa di amare. Gli anni passano e le distanze tra Sivakasi e il figlio crescono. I figli di Thangam, nascono, crescono, sposano e muoiono.

Commenti: In circa 700 pagine il libro racconta una storia lunga e dettagliata con una descrizione delle antiche tradizioni dei bramini tamil e come queste tradizioni si scontrano con i mutamenti del tempo, con l'indipendenza dell'India e con la rivolta dei gruppi dravidici contro le tradizioni braminiche. I bramini tamil sembra che non possono continuare a vivere come vivevano in passato, devono cambiare ma non sanno come farlo. Molti di loro perdono le loro ricchezze e sono costretti a vivere da poveri, anche se continuano a sentirsi orgogliosi delle loro antiche tradizioni.

Una volta che ho iniziato a leggere il libro, non riuscivo più a metterlo giù finché non l'ho finito. Avevo un lungo viaggio in treno e il tempo è voltato via. Mi sembrava di essere dentro un soap-opera. Forse ciò dipende dal fatto che il libro è pieno di azione e movimento - a parte Sivakasi e Muchami, tutti gli altri personaggi entrano e escono continuamente.

Dall'altra parte il libro i personaggi del libro rimangono molto superficiali, perché il libro racconta quello che succede e quello che fanno le persone ma non descrive cosa pensano, come ragionano, e quali erano le loro motivazioni. Cosi alla fine del libro, quasi tutti i personaggi del libro restano un mistero. Molti personaggi appaiono per poche pagine e poi spariscono, come tutti i figli di Thangam (tranne Janaki, la madre di Thangajyothi che racconta la storia).

Sembra anche che la scrittrice vuole dare il messaggio che l'astrologia è una scienza esatta. Tutti i personaggi del libro obbediscono quanto scritto nelle loro carte natali. Vairum, il razionale che vuole liberarsi dalle catene delle caste e dalle tradizioni, decide di non accettare la tirannia degli oroscopi ma alla fine viene sconfitto dal suo destino che comunque segue quanto era stato predetto dal suo oroscopo.

Il titolo italiano del libro sembra richiamare lo stereotipo dell'India esotica e non ha le sfumature del titolo originale, "A toss of lemon" (un salto del limone), che fa riferimento all'ansia di Hanumanrathnam di conoscere l'ora esatta della nascita di suoi figli per poter tracciare le loro carte natali - infatti, l'ostetrica tradizionale che assiste Sivakasi ha l'ordine di buttare un limone dalla finestra appena esce fuori la testa del bambino.

Alla fine del libro, restano in mente le antiche tradizioni di una società patriarcale che fino ad un certo punto, ancora oggi governano la vita dei bramini tamil e degli altri gruppi che devono convivere con loro, come una gabbia di ferro dalla quale le vie di uscita sono poche e sbarrate. Resta anche un po' di frustrazione per non aver potuto capire fino in fondo i personaggi del libro.

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sabato 10 settembre 2011

L'inglese e la sua elefantessa

Per circa un anno non riuscivo a leggere i libri. Cominciavo a leggerli, ma difficilmente li finivo. Spesso, leggevo qualche pagina e poi mi addormentavo. Prendevo i libri dalla biblioteca e poi li riportavo in dietro senza averli letti. Dopo un po', per diversi mesi, avevo smesso di andare in biblioteca. Poi, circa un mese fa la voglia di leggere è tornata all'improvviso. E sono tornato in biblioteca per cercare i libri nuovi.


Mark Shand - viaggio in India
"Viaggio in India in groppa al mio elefante" (di Mark Shand, editore Neri Pozza, 2005, traduttore Daniele Morante) racconta la storia di Mark, un inglese, che decide di comprare una elefante e di viaggiare sul suo dorso per circa 1.300 km, dal tempio di Konark in Orissa fino alla fiera annuale degli animali di Sonepur, vicino alla capitale Patna dello stato di Bihar.

Non ci avevo mai pensato a che cosa poteva significare comprarsi un elefante. Non pensavo che si può affezionarsi ad un elefante come si può affezionarsi ad un cane o ad un gatto. Invece Mark racconta il suo amore a prima vista quando vede Toofan Champa, una giovane elefantessa, un po' malata e malnutrita che appartiene ad un gruppo di medicanti che la portano in giro per raccogliere soldi dalle persone che venerano il dio Ganesh. Lui non ha dubbi, subito decide di comprarla e di chiamarla Tara (Stella).

A parte le stranezze legate alla cura di un animale così grande che richiede tonnellate di alimenti ogni giorno, che ha bisogno di fiumi per lavarsi, e le difficoltà di fissare un baldacchino sul dorso del elefante per i passeggeri, le parti più belle del libro sono proprio il rapporto tra l'animale e il suo nuovo proprietario:
"Mi sentivo beato, euforico e tremendamente compiaciuto. Sporgendomi verso il basso, la baciai sulla grande e morbida orecchia e le sussurrai che la amavo. Via via che procedevamo caracollando lungo la strada mi sentivo sempre più sicuro di me. Mi voltai, e con un gesto che mi parve il più spavaldo del mondo, mi tolsi il panama gridando ad Aditya, che mi seguiva a piedi: <<Che te ne pare, amico?>>
<<Ridicolo>>, rispose."
La magia di un viaggio sono le coincidenze strane che possono succedere, cose piccole ma meravigliose che sembrano improbabili ma che accadono. Tra i tanti eventi che racconta Shand nel suo libro, il mio favorito è quel dell'incontro con il postino che ha perso la sua bicicletta nel fiume:
"Sulla riva stava seduto sconsolato un uomo intento ad asciugare un pacco di lettere grondanti d'acqua. Ci raccontò che mentre tentava di guadare era stato travolto dalla corrente e che la sua bicicletta era rimasta impigliata in un groviglio di rami in mezzo alle acque vorticose. Bhim e Tara si inoltrarono a guado nel fiume. Guidata dai bruschi comandi di uutha, uutha!, Tara immerse la proboscide e districò la bicicletta dall'intrico di rami tirandola su come se fosse una piuma e depositandola delicatamente di fronte all'incredulo portalettere."
Mentre lo leggevo, mi immaginavo nei panni del povero postino di campagna, spaventato dalla furia del fiume, felice per non essersi annegato ma oramai senza speranza di riuscire ad avere la sua bicicletta, e il racconto aveva qualcosa di magico. Non tutti i giorni puoi imbatterti in un inglese con il suo elefante in giro per le sperdute pianure dell'entroterra indiano, che può tirare fuori la tua bicicletta dal fiume.

Se cercate una lettura di viaggio piacevole senza grosse pretese, questo libro è per voi.

Mentre lo leggevo pensavo al mio sogno, quello di vestirmi da un sadhu con i vestiti arancioni della rinuncia, e partire per un viaggio senza soldi, vestiti, occhiali, cellulare o altro, di camminare scalzo da un villaggio ad altro chiedendo carità. Riuscirò a sopravvivere per un mese così? Sono decenni che covo questo sogno, ma forse oramai è troppo tardi per realizzarlo. Anche se posso mettermi il dhoti arancione di un sadhu, non avrò i capelli lunghi e fusi e la gente se ne accorgerà che non sono vero sadhu. Poi con la mia pancia, penso che farò un sadhu troppo ben nutrito e poco credibile come uno che vive sulla carità. Alla fine, non so i miei piedi reggeranno a camminare scalzi, forse in giro di 2 giorni, sarò costretto a rinunciare al mio viaggio.

Ma mi piace sognare questo viaggio, di voler sperimentare la sensazione di non avere niente se non me stesso, di dormire per terra, di mangiare solo se qualcuno avrà pietà di me, di incontrare persone semplici! Ogni volta che leggo un libro di viaggio, ripenso al mio sogno.

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venerdì 9 settembre 2011

Dieci anni dopo

Quel giorno dovevo partire per Libano, ma pensavo a mia mamma. Quella mattina anche lei era in viaggio. Stava andando a Washington e durante la notte doveva aver cambiato il volo a Londra. Avevo pensato di farla venire a Bologna per qualche giorno, ma  l'ambasciata italiana a Delhi non l'aveva rilasciato il visto. Era uscita una nuova legge e bisognava fare una fidejussione presso una banca per farla avere il visto e le procedure per fare la fidejussione erano un po' complicate.

Quando avevo capito che lei non poteva venire, avevo accettato la proposta di partecipare alla riunione in Libano. Avevo il volo della linea austriaca per Vienna e poi da Vienna dovevo andare a Beirut. Ma quella mattina, l'aereo per Vienna aveva dei problemi e alla fine avevano cancellato il volo. La linea aerea mi aveva proposto un altro giro - andare a Milano Malpensa e poi prendere il volo per Beirut quella stessa sera.

Ero a Malpensa quando erano arrivate le notizie degli attacchi terroristici a New York. Ero ipnotizzato davanti agli teleschermi dell'aeroporto. Poco dopo avevano annunciato che il volo per Beirut era stato cancellato e quella sera, dopo tutto il giorno passato negli aeroporti, ero tornato a Bologna. Soltanto allora avevo saputo che vi erano state degli attacchi anche a Washington e che il volo sul quale viaggiava mia mamma non aveva potuto atterrare e non sapevamo dove era finito.

Dieci anni dopo, quando penso a quelle tremende immagini delle due torri, penso anche alla ansia di quelli giorni per cercare di capire cosa era successo a mia mamma e dove era finita. Parlava poco l'inglese e non aveva molti soldi con se. Dopo avevamo scoperto che aveva passato qualche giorno in un campo in Canada allestito dalla croce rossa e poi, era stata rimandata a Londra, dove era rimasta in aeroporto di Heathrow per alcuni giorni, prima di riprendere il suo viaggio per l'America.

Non parlava di quei giorni, diceva che era confusa e che non si ricordava molto. Proprio in quei giorni avevamo cominciato a sospettare che lei aveva alzheimer. Forse lo stress di quei giorni aveva fatto precipitare la sua situazione.

Oramai lei non c'è più, è morta nel 2010. Nonostante le paure di quel viaggio del settembre 2001, aveva continuato a viaggiare. Era tornata in America altre due volte per stare con mia sorella. Invece aveva rifiutato di venire a trovarmi a Bologna.

"Mi trattano male nella tua ambasciata, mi fanno sentire come una persona non gradita, e non voglio tornare da loro", mi aveva detto.

Si avvicina l'anniversario dell'11 settembre. In un racconto uscito sul giornale inglese Guardian, la scrittrice di origine pakistana, Kamila Shamsie, racconta del anniversario dell'11 settembre vissuto nella redazione di una rivisita di Karachi, dove lavora Ayla, tornata dall'America in Pakistan:
What would they say if she told them, Ayla wondered? She looked across the office at the bumper sticker pasted on the wall under Saba's print out: America had 9/11; England had 7/7; India had 26/11; Pakistan has 24/7. They were all to-the-marrow Karachiwallas, steeped in a bitter "survivor humour" which had been refined through decades of violence. The men who strapped bombs to their chests in the name of God were just the newest form of attackers, not even the deadliest. Would she be able to puncture her colleagues' grotesque oneupmanship?
Le memorie sono così. I nostri piccoli e grandi ricordi personali mescolati agli eventi che segnano la storia.

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