martedì 10 novembre 2009

Tocca e fuga

Sulla prima pagina del quotidiano gratuito "City" di oggi, c'è una notizia presa da un blog. Da tempo si parla della imminente crisi dei quotidiani, l'emorragia dei loro lettori e il taglio del personale. Se non vi sarà il personale redazionale e gli opinionisti, alla fine i giornali saranno involucri da riempire con le notizie che possono essere abbinate alla pubblicità, il loro raison d'etre. E' dove trovare le notizie a buon mercato se non sull'internet e nei blog? Ma che la notizia più importante del giorno, quella in prima pagina con i titoli in grande, venga da un blog da una strana sensazione.

In tanto un quotidiano indiano ha deciso di pubblicare alcuni miei post presi dal mio blog in hindi, senza chiedermi o dirmi niente. Sono gli amici in India che mi hanno scritto per congratularsi, pensando che sono ora un grande scrittore perché appaio su un quotidiano così importante. In fin dei conti, non voglio essere pagato, anche perché la crisi ha colpito anche i quotidiani indiani, anche se ancora in maniera meno pesante, ma mi sarebbe piaciuta un po' di cortesia!

Comunque torniamo alla notizia apparsa su City, quella presa da un blog. Questa notizia riguarda la fuga dei cervelli da Italia e fa un conto del suo costo monetario annuale. Penso che sia triste questa situazione dove le persone più capaci decidono di abbandonare il proprio paese perché non trovano le opportunità.

L'articolo si conclude con le seguenti parole: "Il processo non è controbilanciato dall'afflusso di "cervelli" stranieri in Italia. Come ha documentato la recente ricerca della Fondazione Rodolfo de Benedetti, in Italia - per ogni cento laureati nazionali - ce ne sono 2,3 stranieri, contro una media OCSE di 10,45."

Qualche giorno fa sono stato a cena con un gruppo di scienziati indiani venuti in Italia per studiare alle università italiane. La maggior parte di loro è occupato in ricerca di alto livello. Sono giovani, hanno l'età di mio figlio e si occupano di campi come bioinformatica e nanotecnologia. Penso che anche loro sono un investimento per Italia.

Alcuni di loro parlavano di spostarsi in altri paesi europei o in America per qualche anno, per poi tornare a lavorare in India. Nessuno di loro sembrava interessato a continuare a vivere in Italia. Ma mi ha sorpreso il loro disinteresse verso Italia, un paese percepito come "difficile e burocratico". Molti di loro parlavano di amici italiani e dei loro professori con ammirazione, ma nessuno di loro sapeva parlare in italiano - anche se qualcuno di loro era in Italia da più di un anno. Qualcuno si lamentava dei problemi di avere permessi di soggiorno, qualcuno della difficoltà di far venire in Italia la moglie, e molti parlavano di non vedere l'ora di finire e di andare.

"Potresti anche deciderti di fermarti qui?" ho chiesto a uno di loro.

"Ma se non sanno prendere cura dei propri giovani scienziati, pensi che loro prenderanno cura di noi?" mi ha risposto con un sorriso.

Uno di loro mi ha chiesto, "Ma tu conosci bene Italia, cosa pensi come andrà? Riusciranno a riprendersi?"

Mi ha fatto sentire un po' triste, questa loro percezione di un paese bello con della gente simpatica, ma essenzialmente morente, senza grandi speranze.

domenica 1 novembre 2009

Marrazzo e la sessualità

Da diversi giorni penso alla storia di Marrazzo. Una mia amica mi ha scritto:

Mi ha molto impressionato la vicenda di Marrazzo. Ma perchè questi politici non riescono a tenere il pipino nei pantaloni? Mi stupisce il fatto che delle pulsioni sessuali siano così totalizzanti da far mettere a rischio la propria carriera, la propria vita.
Poi ho letto su L'Unità di domenica 25 ottobre, un intervista di Pippo Delbono, "Il Paese della falsa morale dove la sessualità è vergogna", dove lui dice:
Ma perché Boffo non dice: "Io sono gay"? Perché Marrazzo non dice: "Io sono gay"? E dillo! Si vergogna... E' un atto di responsabilità, un atto politico fondamentale dichiararsi ...
Non sono completamente d'accordo con Pippo Delbono - può darsi che Boffo o Marrazzo si sentono effettivamente omosessuali e si nascondono, e in questo caso Delbono avrebbe ragione, ma penso che la sessualità umana non è fatta di due paesi con le frontiere che si chiamano Eterosessualità e Omosessualità.

Il fatto che il movimento per i diritti delle persone omosessuali ha scelto di chiamarsi GLBT (Gay, Lesbian, Bisexual e Transgender) fa capire che la sessualità umana è più ampia di "eterosessualità" e "omosessualità". In fondo, parole come gay, lesbiche, bisessuali, ecc. sono solo delle etichette, sicuramente utili se dobbiamo parlare dei diritti negati, ma allo stesso momento possono essere delle gabbie che cercano di recintare le infinite variazioni della sessualità, intesa non solo come orientamento sessuale ma anche come bisogni affettivi e sentimentali delle persone.

Nella storia di Marrazzo vi sono due aspetti - il tradimento e la diversità, che forse sarebbero meglio separare.

In Italia, per certi versi sembra che il tradimento coniugale per sé non fa storia, sembra parte del comportamento umano, per cui accettato dalla società. Se lo scandalo Marrazzo coinvolgeva la sua storia con una donna, avrebbe avuto lo stesso impatto? Sarebbe diventato uno scandalo?

Invece penso che la diversità si che fa ancora scandalo, sopratutto se sei in una posizione di potere o di alta visibilità.

Il mondo è cambiato molto per quanto riguarda l'espressione dei gusti sessuali personali negli ultimi decadi, e continua a cambiare. Grazie a internet ed a nuove tecnologie, ogni piccolo gruppo di "diversi" può trovarsi e costruirsi una propria comunità, all'inizio virtuale ma poi anche reale, che li aiuta a sostenersi reciprocamente. Nei prossimi decadi, immagino che questo fenomeno diventerà sempre più evidente.

Invece torniamo alla domanda di mia amica, "perché gli uomini non riescono a tenere il pipino nei pantaloni"? Perché questi scandali riguardano quasi sempre gli uomini e non le donne? Le donne non hanno impulsi sessuali altrettanto forti?

In questi giorni sto leggendo un libro di Susan Parker, "Il paradosso dei sessi", dove lei parla delle differenze biologiche, sociali, culturali e comportamentali tra gli uomini e le donne. C'è tutto un capitolo dedicato all'influenza di testosterone sul cervello degli embrioni maschi e come questo cambia le loro interconnessioni neurali. Secondo lei, il testosterone rende gli uomini più spericolati, meno capaci di valutare i rischi ed a provare un piacere nelle situazioni di rischio. Forse la frase "testa di cazzo" si è evoluta sulla base di una verità ormonale e biologica?

Se ami, non devi avere paura

Era il 1960. Il nuovo film di K. Asif con Dileep Kumar e Madhu Bala, Mughle-azam (Imperatore dei Mughal) fu subito dichiarato un successo. Era la storia tragica di amore tra Shekhu (Dileep Kumar) figlio dell'imperatore Akbar (Prithviraj Kapoor) e la bella danzatrice Anarkali (Madhu bala). Imperatore quando viene a sapere che il principe vorrebbe sposare la danzatrice, si arrabbia e fa imprigionare Anarkali (letteralmente "bocciolo di melograno") e minaccia di farla ammazzare.

"Devi dichiarare che in cambio di soldi hai accettato di rinunciare al matrimonio con il principe, se vuoi vivere", viene detto a Anarkali. Sembra che non vi sia altra scelta e Anarkali accetta, chiede solo di ballare un'ultima volta nel palazzo reale. Al principe viene raccontato che la bella Anarkali non lo amava da vero e si è venduta per i soldi.

Anarkali arriva al palazzo dell'imperatore e inizia a ballare. Dichiara apertamente il suo amore per il principe e dice che preferisce morire piuttosto di rinunciare al suo amore. Ad un certo punto, tira fuori il coltello dalla cintura del principe e lo porta all'imperatore.

La bella Anarkali non poteva sfidare il potere dell'imperatore e continuare a vivere. In fatti alla fine del film, viene sepolta viva dentro un muro. Ma dopo quasi 50 anni, la sua canzone d'amore "Giab piar kia to darna kia?" (Se ami, non devi avere paura) non mostra segni di invecchiamento. La canzone era subito diventato l'inno degli innamorati indiani.

Dopo alcuni anni, la bella Madhubala morì perché soffriva di un disturbo al cuore, ma il suo nome resta legato a questa canzone.

Da diversi anni, in India le persone omosessuali lottano per far cambiare la legge che criminalizza i rapporti omosessuali. Recentemente la corte suprema indiana ha dato ragione a loro ed ha chiesto il governo di cambiare questa legge discriminatoria. In giugno 2009, durante la seconda parata Gay-Lesbian-Bisexual-Transgender (GLBT), ho visto una coppia di ragazze che portavano la scritta - "Giab piar kia to darna kia", ciò è, "Se ami, non devi avere paura".



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La visita

Il nostro gruppo aspettava fuori nella piazza del Quirinale. Nel gruppo vi erano anche Jose venuto dall'America, Zilda venuta dal Brasile e Kofi venuto dal Ghana. Tutte le tre persone erano ospiti un po' particolari per il Quirinale. Erano venute in Italia per la canonizzazione di Padre Damiano e tutte le 3 persone avevano avuto la lebbra in passato.

Quando avevamo scritto al Quirinale per chiedere un incontro con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, avevamo spiegato l'importanza di questo incontro. "Oggi la lebbra è facilmente curabile. Quando le persone iniziano a prendere le medicine, diventano non contagiose quasi subito, per cui alla fine, oggi la lebbra dovrebbe essere una malattia come tante altre. Invece non è così. I muri di pregiudizi che circondano questa malattia, continuano ad essere alti come sempre e le persone che hanno avuto la malattia continuano a subire discriminazioni."

Per questo motivo, l'incontro con il Presidente Napolitano doveva essere un gesto simbolico forte, per far capire le persone che non vi era bisogno di avere paura.

Qualche giorno prima dell'incontro abbiamo saputo che il Presidente Napolitano era occupato ma che potevamo incontrare il segretario generale del Quirinale. Eravamo li per questo incontro.

Avevo sentito che per entrare al Quirinale vi sono controlli di sicurezza e non possiamo portare la macchina fotografica. Invece, quando siamo entrati, nessuno ci fermò o ci controllò. Avevo la macchina fotografica e scattavo diverse foto, e nessuno mi ha detto di lasciare la mia macchina fotografica fuori. Tutto il personale era molto cortese, molto gentile, ma mi è sembrato che nessuno si è avvicinato troppo a noi.

Mentre eravamo nella sala d'attesa, mi è venuto il dubbio che forse il personale del Quirinale aveva paura delle persone guarite dalla lebbra, e per questo nessuno ci aveva controllato o avvicinato. Ho avuto un attimo di paura che avremmo fatto una brutta figura davanti a questi ospiti venuti da altri paesi.

Invece il segretario generale del Quirinale, consigliere Donato Marrà è stato bravissimo. Ha ascoltato tutti senza mostrare segni di impazienza e alla fine, ha salutato i nostri tre ospiti con un abbraccio. Mi sono sentito orgoglioso di essere li come parte del gruppo italiano e i nostri tre ospiti si erano emozionati.


Alla fine mentre tornavamo Kofi ha detto, "E' una persona molto generosa e gentile. Non ho visto persone di suo livello comportarsi in questo modo!"

Identità, dolore e violenza

Oggi (3 ottobre) ero a Ferrara al Festival di Internazionale, definito come "un weekend con i giornalisti del mondo". E per la prima volta nella mia vita, ero ufficialmente "un giornalista"! Alcuni giorni fa avevo provato a compilare il modulo per i giornalisti al sito del Festival, giustificandolo per il mio rapporto con il sito di Kalpana e poco dopo avevo ricevuto la conferma della mia registrazione.

L'anno scorso al premio Grinzane Cavour ero stato uno "scrittore", anche quella era la prima volta che mi ero trovato nei panni scomodi di un'identità nuova!

Sia come scrittore che come un giornalista, mi sento un po' un impostore e forse un traditore, forse perché dentro di me, vorrei sentirmi ancorato alla mia identità di medico e magari di quello che lavora per un organismo umanitario senza dubbi e ambiguità? Ci ho pensato, quando Suad Amiry, la scrittrice e architetto, metà palestinese e metà siriana che vive a Gaza e scrive della vita palestinese, si è definita come "scrittrice per caso" (accidental writer).

Cosa significa sentirsi dentro di se diverse identità? Suad ha detto che è naturale avere identità multiple, che siamo anche figli e genitori allo stesso momento, siamo fratelli e zii allo stesso momento, così possiamo essere anche architetti e scrittori allo stesso momento. Lei definiva la propria identità come le 20 pagine di un libro, che viene semplificata e ridotta a una pagina sola, quella di essere "musulmani arabi fanatici" per poter colpirli e giustificarsi davanti agli altri. In questo senso, le parole che parlano delle nostre identità, le descrizioni dei popoli che evocano le nostre immagini, sono strumenti molto potenti.

"C'era un tempo che dicevano che le mamme vietnamite, non erano come noi. Mandavano i propri figli a morire per le strade. Oggi siamo noi, le mamme palestinesi, ad essere descritte così", ha detto Suad.

E' stato molto bello e forte la sessione su "La scrittura al tempo della violenza". I tre relatori rappresentavano tre diversi modi di essere scrittori e di ragionare sulla violenza nella loro scrittura.

Abdourahman Waberi, originario di Gibuti, che vive tra Francia e Stati Uniti, ha scritto "Gli Stati Uniti d'Africa", nel quale lui capovolge il mondo e guarda alla "povera Europa" dagli occhi di un'Africa ricca e potente, e vede le tribù e le etnie in lotta tra di loro in Italia, in Svizzera, in Belgio. Il suo approccio mi sembrava più intellettuale e cerebrale.


Romesh Gunesekera, originario di Sri Lanka, cresciuto tra le Filippine e l'Inghilterra, ha parlato dei suoi libri come "the Reef", dove storie umane all'improvviso si trovano mischiate nella violenza. Il suo modo di parlare e di ragionare sul suo lavoro era molto più legato all'emotività e alla sensibilità umana.

Dopo l'incontro, mentre camminavo con Romesh fuori, parlavamo degli scrittori emigrati per i quali il tema della ricerca delle proprie radici è spesso una fase importante del loro lavoro. Lui ha risposto che "tutti i bravi scrittori sono stati emigrati - da Dante a Shakespear". Era un'affermazione che mi ha incuriosito. Sapete dei bravi scrittori che non sono mai andati fuori dalle proprie città, per rispondere a Romesh? Comunque, penso che non è una domanda molto chiara, perché come si fa a definire "un bravo scrittore"?


Invece Suad Amiry parlava della violenza come vita vissuta, non come qualcosa di astratto. Aveva un modo molto semplice di parlare e spesso cercava di sdrammatizzare quando parlava delle situazioni tremendamente dolorose o tragiche, cercava di farci ridere. Invece aveva due occhi pieni di tristezza, e nonostante la risata o il sorriso, ogni tanto il tremolio della sua voce o gli occhi che diventavano lucidi, tradivano il dolore. Mi è piaciuta molto e vorrei leggere i suoi libri.


Maria Nadotti, giornalista italiana che conduceva l'incontro è stata brava. La sua osservazione che mentre emigrazione riduce e rimpicciolisce i paesi coinvolti nelle guerre, allo stesso momento espande i loro confini, per esempio come gli scrittori emigrati, mi è piaciuta molto e mi ha fatto riflettere.


Dopo questo incontro, ho ascoltato anche Christian Caujolle, il responsabile dell'agenzia di fotografia Vu di Parigi. Mi aspettavo qualcosa di diverso e non sempre condividevo quello che lui diceva. E' vero che la mia comprensione del francese non è proprio perfetta, e forse non ho capito bene quello che lui diceva, ma la distinzione che lui faceva tra la fotografia come un'immagine stampata frutto della reazione delle particelle di argento e le immagini digitali, mi è sembrata più una posizione nostalgica che di reale differenza.


Non mi trovavo anche con il suo discorso sulla quantità e la qualità per parlare della fotografia digitale come qualcosa di inferiore. Ma anche le macchine fotografiche tradizionali, ormai non erano usate da tutti? Forse lui parlava dell'enorme quantità di foto che si possono fare le macchine digitali?

Invece mi è piaciuto il suo discorso sul rapporto tra la macchine digitali e l'internet e come le due tecnologie sono venute insieme per crescere, rinforzandosi a vicenda.

Il mio ultimo incontro del pomeriggio, l'avevo con la giornalista cinese Karen Ma che vive a Nuova Delhi. Mentre l'aspettavo, ho visto Fred Pearce, il giornalista della rivista scientifica New Scientist, che appare spesso anche su Internazionale con il suo pezzo sul valore ecologiche delle nostre scelte quotidiane. Mentre l'argomento ambiente è tra le mie passioni, il suo modo di ragionare mi lascia indifferente e raramente lo leggo.


L'incontro con Karen Ma mi ha sorpreso. All'inizio, si vedeva che non era a proprio agio mentre parlava con me. Conoscendo i delicati rapporti tra India e Cina, potevo capire la sua paura di trovarsi in qualche pasticcio con la stampa indiana. Invece dopo un po' si è rilassata. Mi ha sorpreso un po' la sua considerazione che non riesce a capire il modo di ragionare degli indiani, i quali non dicono mai niente in maniera chiara, sopratutto quando non sono in accordo con qualcosa o se devono dire di no per qualcosa. Penso che sia un tratto comune in tutta Asia, questa difficoltà ad essere sinceri e chiari per "non urtare i sentimenti del altro" o "per non essere maleducati"! Anche tra i cinesi, penso che funziona così. Forse lei ha bisogno di più tempo per iniziare a capire il linguaggio non verbale degli indiani, quando vogliono dire di no, le ho suggerito.


Ho registrato tante interviste e interventi oggi al Festival. Spero prima o poi, di trascriverli tutti e presentarli. In tanto, sono felice per questa giornata così stimolante e ricca, grazie a Internazionale.

martedì 29 settembre 2009

Vita dopo la morte

Ciao sono "Awaragi", il blog italiano di Sunil. Ero nato su questa piattaforma nel giugno 2005. Era solo 4 anni fa, ma per la tecnologia dei blog, erano altri tempi. Inoltre Sunil aveva scelto di ospitarmi sul suo sito Kalpana e aveva deciso di usare un template speciale e molto bello.

Purtroppo con tempo, la tecnologia è cambiata e quel template così bello e speciale, è diventato un limite. Non è facile cambiarlo. Non è facile aggiornare il blog. Quello che è stato scritto qui (in 238 post) deve restare chiuso qui dentro, perché non si può importare questi contenuti da altre parti. O, forse dovrei dire che con la sua conoscenza della tecnologia, Sunil non è stato capace di farlo.

Così da tanto tempo brontolavo con lui. Alla fine lui ha ceduto e ha deciso di costruire un nuovo corpo per me, e sono rinato con giovane e leggero, come nuovo awaragi.Ciao vecchio Awaragi, resti in pace. Spero di tornare a rivisitarti qui ogni tanto per vedere quello che era scritto su queste pagine e magari portare i migliori post al nuovo blog. Spero che i miei vecchi lettori verrano a trovarmi nella mia nuova casa.Invece, è arrivato il momento di dire addio a questo corpo di Awaragi. Ciao caro mio, resti in pace.


Non avevo fatto i conti con l'abitudine! Wordpress è una bella piattaforma, ma sono abituato a Blogger. Il problema di template che avevo è stato risolto e alla fine, ne anche un mese, sono tornato in dietro al mio vecchio blog!

venerdì 21 agosto 2009

Un padre per mio figlio (Kuch na kaho, India, 2003)

Avevo sbagliato. Avevo scritto che il titolo indiano del film di domani sabato 22 agosto sera, “Un padre per mio figlio” era “Dil ka rishta”, invece si tratta di un’altro film, “Kuch na kaho” (letteralmente significa, “Non dire niente”). Sapevo solo che c’era Aishwarya Rai nel film e dal nome italiano avevo cercato di indovinare.

Nel 2003, “Un padre per mio figlio” era primo film insieme della coppia Aishwarya Rai e Abhishekh Bacchan. Era il primo film del regista Rohan Sippy, amico d’infanzia di Abhishekh e figlio del regista Ramesh Sippy. Nel 1975 Ramesh Sippy aveva girato un film “Sholay” (Fiamme) con gli attori Amitabh Bacchan e Jaya Bhaduri, i genitori di Abhishekh. Amitabh e Jaya sono considerate due icone del cinema di Bollywood. Da allora Rohan e Abhishekh erano amici.

In quell’epoca Aishwarya aveva una storia sentimentale con l’attore Salman Khan, mentre Abhishekh pensava di sposare Karishma Kapoor, la sorella maggiore di Kareena. Nessuna delle due storie andò a buon fine. Nel 2007, Aish e Abhi si sono ritrovati per girare un altro film, “Guru” e dopo quel film si sposarono.

Il film è la storia di Raj (Abhishekh), un ragazzo di origine indiana che vive in America, in una vista in India. Durante un matrimonio lui conosce Namrata (Aishwarya). Poi scopre che Aishwarya è già sposata e ha un figlio, ma il suo marito Sanjeev (Arbaaz Khan) l’ha lasciata da diversi anni e forse si è messo con un’altra donna. A tutti gli effetti, Namrata può essere considerata singola. Quando Namrata si accorge del buon rapporto tra il suo figlio e Raj, poco alla volta nasce l’amore tra i due. In quel momento, all’improviso, Sanjeev torna a casa e pretende di avere il ruolo del marito.

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La conclusione del ciclo Amori Con ... Turbanti 2009

Era bello ogni settimana sentirsi un po’ tristi perché “oramai il ciclo Amori Con ... Turbanti” è finito e poi scoprire invece che la festa continuava. Invece sembra che questa volta siamo proprio a capolinea con “Un padre per mio figlio”. Dal sabato 29 agosto, riprenderà la normale programmazione delle reti RAI. Immagino che le persone che hanno curato questa serie presso la RAI siano giustamente soddisfatte, forse non si aspettavano questo successo di pubblico.

Ma un giorno questi film potranno uscire anche al cinema? Penso che vi sono delle possibilità nuove che ciò sarà possibile, magari per un numero limitato dei film.

Sono le diaspore, gli emigrati sparsi in altri paesi che trascinano i film dei propri paesi all’estero. Già da diversi anni, i film indiani escono in pochi cinema nei paesi come Olanda, Francia, Svizzera e Germania. Qualche volta sono proiettati soltanto durante la fine settimana, e sono indirizzati sopratutto alle persone dei paesi sud asiatici – India, Bangladesh, Sri Lanka, Pakistan, Nepal.

I film di Bollywood hanno una distribuzione migliore nei paesi come la Gran Bretagna perché lì il numero di emigrati sud asiatici è molto più alto, per cui, è possibile vederli anche nelle multisale moderne e nei centri città. Negli ultimi 3-4 anni, alcuni film di Bollywood hanno voluto le antiprime mondiali proprio a Londra nei cinema di Leicester square.

In Italia ciò non è possibile perché gli emigrati sud asiatici sono piccola percentuale, al massimo in qualche città si può pensare a proiezioni di film durante i fine settimana. Ma in fondo, la questione fondamentale è quella economica – si può guadagnare con i film indiani? Sembra che alcuni grandi distributori di film a livello mondiale – Sony, Fox, ecc. pensano che ciò è possibile.

“Sawariyaa”, il film di Sanjay Leela Bhansali uscito nel 2007 è arrivato in Italia proprio perché era una coproduzione di Sony. Nel 2008, Warner ha co-prodotto Chandni Chowk to China, un colossal indo-cinese che non ha trovato consenso pubblico, per cui non ha trovato la distribuzione mondiale, ma forse arriverà anche in Italia in DVD.

Anche la Fox ha fatto un accordo con il regista e produttore Karan Johar per la distribuzione del suo nuovo film, “My name is Khan” (il mio nome è Khan), con le due stelle di Bollywood, Shahrukh Khan e Kajol. Il film parla del sospetto degli americani verso i musulmani dopo i fatti dell’11 settembre 2001. Settimana scorsa, Shahrukh Khan è stato fermato all’aeroporto di New York dalla polizia, insospettita per il suo nome musulmano, ed è stato tenuto chiuso per 2 ore. La notizia ha creato un’onda di indignazione tra i milioni di fans di Shahrukh Khan in India, ma l’episodio ha servito come pubblicità al suo film.

Alcuni anni fa con i film di Zhang Zimou (Addio mia concubina, Lanterne rosse) e di Ang Lee, anche il cinema cinese è arrivato sulla scena mondiale. Ciò non significa che potremmo vedere tutti i film cinesi che vogliamo – soltanto alcuni film importanti arrivano in Italia. Lo stesso potrebbe succedere con il cinema indiano.

domenica 16 agosto 2009

“La paura nel cuore” e “Un Padre per mio figlio”

Pensavo che “La Paura nel cuore” forse l’ultimo film del ciclo “Amori Con... turbanti” invece sembra che il ciclo continuerà per il momento, forse perché questi film hanno avuto il successo dell’audience. Il film del prossimo sabato, 22 agosto è “Un padre per mio figlio” (Titolo originale, “Dil Ka Rishta”, India 2003).

Prima di parlare di “Un padre per mio figlio”, vorrei spiegare un po’ il contesto culturale del film di ieri, “La paura nel cuore”. Il film è ambientato in due luoghi principali – la città di Nuova Delhi e una valle vicina a Udhumpur in Kashmir. Mentre la parte relativa a Delhi è stato girato a Delhi, la parte relativa al Kashmir, sopratutto la parte conclusiva con tutto il paesaggio coperto di neve è stato girato in qualche paese dell’est Europa, perché le condizioni di sicurezza in Kashmir non permettevano di girare il film.

La città di Delhi del film di ieri, non era la città dove vive la gente, ma era sopratutto la città dei grandi monumenti del sud di Delhi, la città dei turisti, con i monumenti delle dinastie Khilji e Mughal. Recentemente, alcuni film sono stati ambientati nella Delhi vera, quella dove vivono le persone normali. Tra questi i film più belli sono - Rang de Basanti (Colorami d'arancione), Khosla Ka Ghosla (Il nido dei Khosla) e Oye Lucky, Lucky Oye (Un richiamo per Lucky). Invece nel film di ieri, le scene che dovevano rappresentare la vita nella città, mancavano di ambientazione reale.

La prima parte del film con lo scambio continuo di poesie era basato sulla cultura “shero-shayiri” nata negli anni della dinastia Mughal. I “sher” sono breve poesie in lingua urdu, un po’ simili agli Haiku giapponesi, nel senso che sono governate da alcune regole fisse. Immagino che la traduzione di queste poesie, sicuramente avvenuto dalla traduzione in inglese delle poesie originali, non deve essere stato facile. Anche se le poesie recitate nel film, almeno per me, non avevano la bellezza dei “sher” originali, erano comunque belle, ma forse non molto comprensibile. Se volete conoscere di più su sulle regole che governano i “sher” per cimentarvi in qualche sher in italiano, vi consiglio un mio post su questo blog di qualche tempo fa – le poesie indiane.

Sono contento che nel film di ieri sera, la RAI aveva deciso di lasciare qualche spezzone di alcune canzoni. Mentre ogni film di Bollywood dovrebbe avere della musica originale, qualche volta i registi decidono di usare parti di una vecchia e famosa canzone, sopratutto quando vogliono sottolineare le emozioni. Gli spettatori indiani che conoscono queste vecchie canzoni a memoria, possono subito intuire i collegamenti la scena attuale con le scene dei film già conosciuti. Così in “Vogliamo essere amici”, il protagonista Raj (Hrithik Roshan) ascoltava e cantava “Pyar hua iqrar hua, to pyar se phir kyon darta hai dil” (Se mi sono innamorato, se l’ho accettato, allora perché ho la paura dell’amore) da un film degli anni cinquanta (Shri 420). Anche in “La paura nel cuore” vi era una vecchia canzone in sottofondo quando Zooni (Kajol) vuole passare la notte con Rehan, ma lui vorrebbe tirarsi in dietro. La canzone era:

Lag ja gale, ke phir ye hasin raat ho na ho
Shayad phir iss janam mein, mulakat ho na ho


Abbracciami, una notte bella così potrebbe non tornare mai più
Può darsi che in questa vita, non incontreremo mai più

Questa canzone è stata definita “la canzone più romantica di Bollywood”, è dal film “Woh kaun thi?” (Chi era lei?) del 1964. Ovviamente classifiche come queste, sono molto soggettive. Se volete sentire questa canzone, potete guardare il video di Youtube, i protagonisti sono Manoj Kumar e Sadhana. Alla fine del video, si ha anche la possibilità di guardare qualche altra canzone di questa classifica delle "canzoni più romantiche" di Bollywood.

Il film di ieri era doppiato bene e nell'insieme i tagli erano stati fatti con cura, per cui il film aveva un ritmo giusto. L'unico punto debole era la mancanza di sottotitoli durante le canzoni. Dato che capisco le parole delle canzoni, mi sembra che aiutano ad aumentare le emozioni della scena, e penso che sarebbe opportuno che siano sottotitolate ma forse la musica ha un linguaggio universale e non sapere il senso delle parole delle canzoni non influisce troppo negativamente?
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Il prossimo film “Un padre per mio figlio” (Titolo originale “Dil Ka Rishta”, India, 2003) è la storia di Tia (Aishwarya Rai) e Jai (Arjun Rampal). Jai è innamorato di Tia, ma poi scopre che Tia è già fidanzata con Raj (Priyanshu Chaterjee). Tia si sposa con Raj e hanno un figlio. Anni passano. In un incidente stradale con la macchina di Jai, Raj muore e Tia resta gravemente ferita e perde la memoria. Jai vorrebbe farsi perdonare per aver causato la morte del suo marito. Insomma, un normale film masala di Bollywood con gli amori non corrisposti, i malintesi vari, la madre conservativa, ecc.

Altri attori del film sono Isha Koppikar (nel ruolo della amica di Tia) e Rakhi (nel ruolo della madre di Tia). Isha Koppikar ha lavorato in alcuni film anche come la protagonista principale, mentre Rakhi, era una delle stelle di Bollywood negli anni settanta e ottanta.

I tre protagonisti principali del film, hanno tutti iniziato la carriera come modelli. Aishwarya Rai è stata Miss India e poi Miss Mondo e ha già lavorato in alcuni film occidentali. Arjun Rampal, uno dei modelli più popolari in India, non ha trovato successo per molti anni e soltanto nel 2007-08 ha trovato popolarità come attore. Priyanshu Chatterjee, ha lavorato in alcuni film negli anni 2000-05 ma ultimamente non si è visto nei film.

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sabato 15 agosto 2009

Se vi piace Kajol

Avete visto “La paura nel cuore” e se vi è piaciuta Kajol, allora siete in buona compagnia. E’ tra le mie attrici preferite.

Come molti altri attori di Mumbai, anche Kajol è una figlia d’arte, ma se pensate che basta essere il figlio o la figlia di qualche attore o attrice per diventare una stella di Bollywood, la famiglia di Kajol dimostra quanto può essere imprevedibile la dea della fama.

La nonna materna di Kajol, Shobana Samarth, era una delle attrice più famose del suo tempo, negli anni millenovecentoquaranta. Anche se era una donna sposata, la sua storia d’amore con l’attore Motilal era su tutti i giornaletti di Mumbai.

Shobhana ha avuto due figlie – Nutan e Tanuja. Nutan era una delle attrici più importanti di Mumbai negli anni sessanta-settanta. Anche dopo il suo matrimonio con un ufficiale navale e un figlio, è sempre stata molto popolare e ha lavorato fino alla sua morte negli anni ottanta per cancro al fegato.

Tanuja, la figlia più giovane di Shobana, anche se considerata una brava attrice, non ha mai trovato il grande successo di sua madre e di sua sorella. Ancora adesso, appare in qualche film.

Nutan ha avuto solo un figlio, Mohnish Behl, anche lui ha voluto diventare un attore e ha sposato un’attrice, Ekta, ma nessuno dei due ha trovato grande successo.

Tanuja invece si era sposata con un regista, Somu Mukherjee e ha avuto due figlie – Kajol e Tanisha, entrambe hanno deciso di diventare attrici, ma solo Kajol ha trovato il grande successo, un po’ come sua zia Nutan. Kajol si è sposata nel 1999 con l’attore Ajay Devgan e la coppia ha una figlia, ma nonostante tutto, la popolarità di Kajol non si accenna a diminuire. Negli ultimi 10 anni, ha lavorato in pochi film per la propria scelta, ma ancora oggi resta tra le attrici più apprezzate di Bollywood. L’attrice, Rani Mukherjee è una cugina di Kajol.

Kajol ha iniziato a lavorare nei film nel 1992. Ha lavorato con Shahrukh Khan per la prima volta nel 1993 (Baazigar - Il Mago) e da allora è la coppia più famosa e popolare di Bollywood. Ogni film di questa coppia è stato un grande successo commerciale. Prossimamente la coppia si vedrà in “My Name is Khan” (Il mio nome è Khan), la storia di un ragazzo autistico musulmano in America dopo i fatti dell’11 settembre 2001. Venerdì 13 agosto, Shahrukh è stato fermato per due ore al aeroporto di New York dalla polizia americana e secondo lui, ciò è successo solo perché ha un nome musulmano e i giornali indiani sono pieni di storie sulle "discriminazioni basate sulla religione" in America.

Vi presento i miei film preferiti di Kajol e vorrei iniziare con “Yeh Dillagi” (Questo scherzo) ispirato dal film americano “Sabrina”, con Kajol nel ruolo che fu di Audrey Hepburn, Akshay Kumar nel ruolo che fu di Humphrey Bogart e Saif Ali Khan nel ruolo del fratello minore. 

Il secondo film di Kajol che mi piace di più è “Dilwale dulhania le jayenge” (DDLL- Quelli con il cuore porteranno via la sposa), dove lei faceva coppia con Shahrukh Khan. Questo film è entrato nel Guiness dei campionati perché da quando è uscito nel 1995, viene proiettato nello stesso cinema di Mumbai (Maratha Mandir) senza interruzioni da 14 anni. Generazioni di persone l’hanno visto al cinema almeno 3-4 volte. Un amico che era andato a vedere questo film recentemente mi aveva raccontato che la sala era piena di persone che ripetevano tutte le frasi del film e che cantavano le canzoni insieme ai protagonisti.

Potete vedere una canzone di DDLL su Youtube - “Tujhe dekha to yeh jaana sanam” (Quando ti ho visto, ho capito amore).

Il terzo film di Kajol che mi è piaciuto molto era “Kuch Kuch Hota Hai” (KKHH - Ho una strana sensazione) del 1998, e di nuovo lei faceva la coppia con Shahrukh Khan. Come DDLL, anche KKHH è considerato un film di culto per le persone innamorate. In questo film, Kajol era una ragazza poco femminile che scopre l'amore per il suo migliore amico (Shahrukh) solo quando capisce che lui è innamorato di un’altra ragazza (Rani Mukherjee). Dopo molti anni, il vedovo Shahrukh vorrebbe tornare da Kajol, ma ormai lei sta per sposare un altro (Salman Khan).

Il quarto film di Kajol che mi piace di più, ha di nuovo la coppia Kajol-Shahrukh Khan. Il film si chiama Kabhi Khushi Kabhi Gham (Qualche volta felicità, qualche volta tristezza), una saga famigliare di un industriale e suoi due figli e le loro storie d’amore.

Tutti questi film sono disponibili su Youtube - interi film suddivisi in tanti spezzoni di 10-20 minuti ciascuno, ma purtroppo sono senza i sottotitoli. Se li volete cercare, usate i nomi originali in Hindi per cercarli.

Per gli ammiratori di Preity Zinta

Il papà di Preity era un militare che morì in un incidente stradale quando Preity aveva 13 anni. In diverse interviste, Preity ha parlato dell’enorme influenza di suo papà sul suo carattere. Di fatto, Preity è famosa nel mondo di Bollywood come una persona che parla chiaro e che non vuole nascondersi dietro le frasi di convenienza. Alcuni anni fa, in un processo legato ad uno scandalo sui finanziamenti del mondo di Bollywood provenienti dal traffico di droga, Preity fu l’unica persona di Bollywood a testimoniare pubblicamente, nonostante le minacce dei mafiosi indiani. Dopo diversi anni di convivenza, nel 2009 Preity si è separata dal suo compagno, industriale Ness Wadia.

Preity ha iniziato a lavorare come una modella nel 1996. Nel 1998, è arrivato il suo primo film “Dil Se” (Dal cuore) del regista Mani Ratnam. In questo film, i protagonisti principali erano Shah Rukh Khan e Manisha Koirala, mentre Preity aveva una parte molto breve. Ciò nonostante è stata notata subito ed è stata definita “la ragazza piena di brio, con due fossette profonde”. Per questo film Preity ha vinto diversi premi, sia come “migliore debuttante” che come “migliore attrice non protagonista”.

34enne Preity ha volutamente lavorato in pochi film e forse, oramai è considerata troppo vecchia per la parte del protagonista femminile principale di Bollywood. In ogni caso, ultimamente non ha lavorato molto nei film.

Nel 2000, è arrivato Kya Kehna (Cosa si può dire?) con Chandrachud Singh e Saif Ali Khan, dove Preity era nei panni di una ragazza single rimasta in cinta. Mentre questo film ha stabilito Preity Zinta come una delle stelle di Bollywood, già si notava la sua allergia ad essere definita “la ragazza frizzante e buona”. Forse per lottare contro questa etichetta, che lei non è riuscita a scrollarsi ancora, ogni tanto Preity ha scelto dei film dove ha dei ruoli con i tratti negativi.

Sempre nel 2000, è apparsa in Mission Kashmir, un film sul terrorismo islamico, con Hrithik Roshan nei panni di un terrorista. Questo film era stato doppiato in italiano ed è disponibile in Italia in DVD. Mi sembra di ricordare che anche questo DVD era stato "adattato" per Italia, ciò significa che non aveva le canzoni. Se volete potete guardare la canzone “Chupke se sun, is pal ki dhun” (Ascolti in silenzio, la musica di questo momento) da Mission Kashmir.

Nel 2001, è arrivato “Dil Chahta Hai” (Il cuore lo vuole), considerato un film culto tra i giovani indiani. In questo film, con Preity vi erano Aamir Khan, Saif Ali Khan e Akshay Khanna, e la parte relativa a Preity era ambientato in Australia. Sempre nel 2001, Preity è apparsa anche in Chori Chori Chupke Chupke (Di nascosto), insieme a Salman Khan e Rani Mukherjee, nel ruolo di una prostituta che accetta di noleggiare il proprio utero per una donna che non può avere figli. 

Nel 2003, Preity ha avuto due grandi successi. Il primo era, “Koi Mil Gaya” (Ho incontrato qualcuno) con Hrithik Roshan, nel ruolo di un ragazzo down che incontro un extra terrestre e acquisisce dei poteri sovrannaturali. Il secondo era “Kal ho na ho” (Chi’ssa se vi sarà un domani) con Shah Rukh Khan e Saif Ali Khan.

2004 era un altro grande anno per Preity con 2 film importanti – Lakshya (Il Bersaglio) con Hrithik Roshan e Veer Zaara (La storia di Veer e Zaara) con Shah Rukh Khan e Rani Mukherjee.

In Lakshya, Hrithik era un ragazzo che non riesce a combinare niente nella vita mentre Preity era la sua ragazza che vuole fare un giornalista. Da questo film potete guardare la canzone, “Agar mein kahoon ki mujhe tumse mohabaat hai, to kya kahogi?” (Se ti dico che sono innamorato di te, allora cosa dirai?), girato tra i giardini Lodhi e le rovine della rocca di Tughlak a Nuova Delhi, entrambi posti molto suggestivi.

Veer Zara è il più grande successo commerciale della carriera di Preity Zinta, dove era Zaara, una ragazza pakistana innamorata di un pilota indiano. Per questo film, Preity ha vinto premi sia nazionali che internazionali. Da questo film potete guardare la canzone “Mein yahan hun, yahan hun” (sono qui, sono qui) su Youtube. In questa canzone, c'è la cerimonia di fidanzamento di Zaara con un ragazzo pakistano (Manoj Bajpai), ma Zaara continua immaginare di vedere il suo Veer (Shahrukh Khan).

Nel 2005 è arrivato Salaam Namastey (Cuori in Onda), l’ultimo grande successo commerciale di Preity. Da allora, nessun film di Preity ha trovato grande consenso del pubblico.

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