martedì 14 luglio 2009

Musica e canzoni nei film di Bollywood

Musica e canzoni, qualche volta accompagnate da danze sono una parte integrante dei film di Bollywood, che servono a esprimere, sottolineare o esaltare un’emozione. Spesso le canzoni sono cantate da cantanti professionisti e non dagli attori, e per questo motivo le cantanti si chiamano “play back” (ciò è, “cantano di dietro”), e forse il termine viene dai tempi, quando i cantanti veri si sedevano dietro gli schermi e cantavano.

Tra le cantanti femmine, fino a 10-15 anni fa, la cantante più importante era Lata Mangeshkar. Oggi ottantenne, canta raramente ed è conosciuta sopratutto per le canzoni radicate nella tradizione indiana. Anche sua sorella di qualche anno più giovane, Asha Mangeshkar Bhosle, è stata una cantante famosa, sopratutto per le canzoni pop, influenzate dalla musica inglese, oggi si sente meno. Tra i cantanti maschi, i nomi più famosi erano quelli di Kishore Kumar e Mohammed Rafi. In quelli anni, tra 1960 e il 1990, questi 4 cantanti cantavano circa il 90% di tutte le canzoni dei film di Bollywood.

Oggi invece la situazione è cambiata radicalmente, ormai esistono una ventina di cantanti più o meno famosi, e nuove voce continuano a arrivare.

Le canzoni dei film possono essere classificate in 3 gruppi principali: (1) canzoni basate sulla musica classica indiana, (2) canzoni basate sulla musica folk o rurale di diversi stati indiani, e (3) canzoni basate sulla musica rock e pop occidentale.

In generale, ogni film di Bollywood ha un direttore di musica per le canzoni e un direttore di musica per il resto del film. Spesso, i direttori di musica sono 2-3 persone che insieme costituiscono un gruppo.

Il prossimo film del ciclo “Amori Con ...Turbanti” - "L'Amore arriva con il treno" (titolo originale, Jab We Met), ha 5 canzoni: 2 canzoni basate sulla musica folk del Pangiab (Punjab) – Nagada Nagada (Tamburo, tamburo) e Maugia hi maugia (Divertimento, più divertimento), entrambe usate per le danze; 2 canzoni basate sulla musica pop occidentale con qualche influenza indiana – Yeh ishq hai (Dio, questo amore) e Aao milo chalo (Vieni, incontra, andiamo); e una canzone basata sulla musica classica indiana – Aaogo jab tum (Quando tu verrai).

Il direttore di musica per le prima 4 canzoni si chiama Preetam mentre l’ultima canzone, “Aaoge jab tum” è stata composta da Sandesh Shandilya. Questa canzone, “Aaoge jab tum” è basata sul raga Kumud (il sistema di musica classica indiana è basata sui “raga”, e ogni raga permette uso di soltanto alcune note musicali.

Normalmente, la musica classica indiana usa voce come uno strumento musicale, per cui le parole non hanno molta importanza e sono le note musicali che devono esprimere un’emozione. Invece nel film, le parole della canzone hanno un significato e vi sono alcuni pezzi composti soltanto di note musicali.

Questa canzone fa parte della musica di sottofondo, quando il film racconta la delusione d’amore di Geet, protagonista del film, e penso che non sarà tagliata.

Questa canzone è stata cantata da Ustad Rashid Khan, una delle nuove voci della musica classica indiana.

Adesso, leggete la trascrizione delle parole e i loro significati e lo guardate di nuovo. La canzone ha le parole allegre invece la melodia è triste. Le parole hanno molti riferimenti a Sawan (stagione delle piogge) che è la stazione della felicità e amore. Dopo i tre mesi più caldi del anno (aprile, maggio e giugno), dominati da temperature sopra i 40 gradi che bruciano tutto, quando arrivano le piogge, le temperature calano, gli alberi diventano verdi, ed è per questo che spesso gli indiani quando vedono le nuvole dicono “Che bello!”

Aaoghe giab Tum O Saagiana, Aaoghe Jab Tum O Saagiana
(Quando tu verrai amore)

Angana fool Khilenghe
(Nel cortile sbocceranno i fiori)

Barsega Saawan, Barsega Saawan Jhoom Jhoom ke
(Le nuvole porteranno la pioggia, le nuvole ubriache – letteralmente, le nuvole che non sanno camminare diritto)

Do Dil Aise Milenghe
(Due cuori si incontreranno)

Aaoge Jab Tum O Saajana, Angana Phool Khilenge
(Quando tu verrai amore, Nel cortile sbocceranno i fiori)

Naina Tere Kagiaraare Hai, Naino Pe Hum Dil Haare Hai
(i tuoi occhi sono neri, ho perso il mio cuore a questi occhi)

Angiaane Hi Tere Naino Ne Waade Kiye Kayi Saare Hai
(Incoscienti, i tuoi occhi mi hanno fatto tante promesse)

Saanson Ki Lay Madham Chalein, Tose kahe
(Il ritmo del respiro, leggermente affannato, ti dice)

Barasega Saawan, Jhoom Jhoomke, Do Dil Aise Milenge
(Le nuvole porteranno la pioggia, le nuvole ubriache, Due cuori si incontreranno)

Aaoge Jab Tum Ho Saajana, Angana Phool Khilenge
(Quando tu verrai amore, Nel cortile sbocceranno i fiori)

Ka ba ba sa sa re ga ga
(note musicali)

Chanda Ko Taaku Raaton Mein, Hai Zindagi Tere Haanthon Mein
(Guardo alla luna durante le notti, la mia vita è nelle tue mani)

Palkon Pe Jhilmil Taarein Hain, Aana Bhari Barsaaton Mein
(Ho le stelle luccicanti (lacrime) sulle ciglia degli occhi, vieni da me quando pioverà)

Sapnon Ka Jahaan, Hoga Khila Khila
(Il mondo dei sogni, sarà in piena fioritura)

Barasega Saawan Jhoom Jhoomke, Do Dil Aise Milenge
(Le nuvole porteranno la pioggia, le nuvole ubriache, Due cuori si incontreranno)

Pa ni sa re ma ma ga ga ga
ga re re re ga re da ni re re ma da ni da da
da ni da pa ma ma ma da da ma re pa ga
ga ma da ni sa sa re pa ma ma ga ga ga re ga sa
(Note muscali)

Angana phool khile
(Nel cortile sbocceranno i fiori)

pa ni da ni da sa re ma ma ma ma ga
(Note musicali)

Angana phool khile
(Nel cortile sbocceranno i fiori)

ma ma pa ni da re ma pa re re sa da
re pa pa ma ma ga ga
(Note musicali)

Se riuscite a imparare qualche riga di questa canzone, fatemi sapere. E’ la mia canzone preferita di questo film, magari un giorno possiamo cercare di cantarla insieme!

domenica 12 luglio 2009

L’amore arriva con il treno


Il prossimo film del ciclo Amori Con-Turbanti programmato per il 18 luglio è “L’amore arriva con il treno” (India, titolo originale “Jab we met” che significa “quando ci siamo incontrati”, regista Imtiaz Ali, 2007). (Nella foto, un momento durante le riprese del film)



Il film è tra i più grandi successi commerciali di Bollywood in India degli ultimi anni, che ha reso Kareena Kapoor, la protagonista femminile principale del film, tra le attrici più pagate di Bollywood.

Trama: Giovane e senza esperienza, Aditya Kashyap (Shahid Kapur) diventa il titolare di un grande business a Bombay dopo il suicidio del padre, mentre sua madre si è messa con il miglior amico di suo papà. Al lavoro sembra che niente va per il verso giusto e gli investitori ed i dipendenti non hanno fiducia in lui. Le azioni del suo business valgono poco. La sua ragazza decide di lasciarlo.

Sfiduciato e depresso, con una vaga idea di suicidarsi, Aditya sale su un treno e incontra Geet Dhillon (Kareena Kapoor). Geet (pronunciato Ghiit) è una giovane ragazza sikh, ficcanaso e chiacchierona. Aditya cerca di dirle che non ha voglia di parlare ma non è facile far chiudere la bocca a Geet. Così iniziano le avventure di Aditya e Geet, che quella notte perdono il treno e Geet obbliga a Aditya di accompagnarla a casa in Pangiab (Punjab).

Geet deve tornare a casa a Bhatinda nello stato di Pangiab per sposarsi con un ragazzo scelto dalla famiglia, ma non ha nessuna intenzione di accettare la scelta della famiglia perché è innamorata di Anshuman (Tarun Arora), un ragazzo indù che abita a Shimla in montagna. Durante il viaggio, Geet capisce che Aditya si sta innamorando di lei.

“E’ vero che ti amo, ma non devi preoccuparti per questo. E’ solo un mio problema e mi arrangerò”, Aditya le risponde.

A casa di Geet, Aditya viene presentato come “un amico che mi ha aiutato durante il viaggio e senza di lui sarei stata in un grosso pasticcio”. Geet usa Aditya per creare un malinteso con il ragazzo scelto per lei dalla sua famiglia e poi, di notte costringe Aditya di scappare da casa sua ed accompagnarla fino a Shimla.

“Anshuman è indù e la mia famiglia vuole un ragazzo sikh per me. Voglio scappare e sposare Anshuman e dopo tornerò per chiedere la benedizione alla mia famiglia. Una volta sposati, nessuno potrà farci niente”, Geet spiega a Aditya, il quale si lascia convincere.

A Shilma, Aditya lascia Geet davanti all’hotel di Anshuman e torna a Bombay. Ha imparato la filosofia della vita da Geet e ha trovato il coraggio di affrontare i problemi del suo business. Lui continua a pensare a Geet e in tanto passano mesi.

Poi un giorno all’improvviso trova il padre e lo zio di Geet nel suo ufficio. “Vigliacco, alla fine ti abbiamo rintracciato. Dove è nostra figlia, era scappata con te? Vogliamo vederla”, loro dicono.



Aditya resta sorpreso. Cosa può essere successo a Geet? Geet gli aveva promesso che avrebbe sposato Anshuman e poi insieme al suo marito si sarebbe tornata dalla famiglia per chiedere la loro benedizione.

“Geet non è con me in questo momento, ma datemi 5 giorni e la porterò a casa vostra”, alla fine Aditya promette. E’ così, di nuovo Aditya parte per un nuovo viaggio alla ricerca di Geet.

Altre notizie relative agli attori del film: Quando è stato girato questo film, Shahid Kapur e Kareena Kapoor erano una coppia anche nella vita reale e si sono separati quando il film è arrivato nelle sale, per l'enorme delusione dei loro fans.

Shahid Kapur è figlio del attore Pankaj Kapur e dell’attrice del teatro, Nilima Kazim, lui indù e lei musulmana, ed è per questo che Shahid ha il nome musulmano e il cognome indù. I genitori di Shahid si sono separati quando lui era un adolescente poi, suo padre ha sposato l’attrice Supriya Pathak. Mentre Pankaj Kapur, Nilima Kazim e Supriya Pathak sono tutti famosi come bravi attori, Shahid ha ottenuto più successo popolare sopratutto come un “chocolate face hero” (ragazzo con la faccia da cioccolatino), ben amato dalle adolescenti.

Kareena Kapoor invece appartiene alla famosa famiglia di Raj Kapoor, un attore e regista degli anni cinquanta e sessanta. Suo padre, Randhir Kapoor e sua madre, Babita, hanno recitato insieme in molti film negli anni settanta e ottanta e anche sua sorella maggiore, Karishma Kapoor, è stata una delle attrici più pagate degli anni novanta.

Attualmente, Kareena convive con l’attore Saif Ali Khan, figlio dell’attrice Sharmila Tagore e fratello dell’attrice Soha Ali Khan. L'attore Rishi Kapoor, nel ruolo di Manmohan Singh, padre della protagonista Jazz nel film "Sposerò mia moglie", primo film del ciclo Amori Con-Turbanti, è lo zio di Kareena, fratello di suo padre.

Comunque, le radici della famiglia di Kareena arrivano molto lontane nel mondo di Bollywood, con parenti, zii, cugini da tutte le parti e ci vorrebbe troppo tempo per spiegarle tutte.


Amori Con Turbanti 2009 (2)

Alla fine è iniziato il ciclo di film indiani su Rai 1, Amori con-turbanti. Il film di ieri sera era “Sposerò mia moglie” (Namastey London). Il film originale durava 2 ore e 17 minuti mentre il film presentato alla TV è durato 1 ora e 49 minuti, percui circa il 30 minuti del film erano stati tagliati – sopratutto le danze e le canzoni, ed è un peccato.
Per quanto riguarda il doppiaggio, mi è sembrato molto meglio da quello eseguito nel 2008, tranne che per Akshay Kumar, che non è stato doppiato bene.
Alcune frasi brevi e una parte dei dialoghi erano stati lasciati in Hindi o in Pangiabi (Punjabi), ma i doppiatori che li recitavano non avevano idea di come pronunciarli, per cui erano quasi incomprensibili. Non so dove viene eseguito il doppiaggio, ma diverse città italiane, tra le quali Torino, Milano, Venezia, Bologna, Roma, ecc. hanno corsi universitari di lingua Hindi e forse possono coinvolgere loro per avere un aiuto sulla pronuncia (o magari coninvolgere qualcuno della comunità indiana locale).
Il film aveva qualche canzone di sottofondo (tutte cantate dal cantante pakistano, Rahat Fateh Ali Khan), forse sarebbe stato meglio avere dei sottotitoli per capire il senso delle parole.
Il prossimo film del ciclo è L’Amore arriva con il treno (Jab we met). E’ un film da non perdere. Il film ha diverse canzoni e danze carine, ma immagino che saranno tutte tagliate. 

PS: Alla fine un consiglio per tutte le persone che cercano la musica dei film indiani - non li troverete digitando "sposerò mia moglie" o "L'amore arriva con il treno". Usate il nome originale del film (Namastey London o Jab we met) e troverete le canzoni subito. Molti video delle canzoni sono disponibili su Youtube.

sabato 11 luglio 2009

Il G8 e Berlusconi nella stampa inglese


Forse Berlusconi non ha mai avuto degli ammiratori nella stampa inglese. Anzi, la maggior parte degli articoli sul tema che ho letto nei giornali inglesi anche negli anni passati, erano sempre critici verso la sua figura.

Non sono mai stato un ammiratore di Berlusconi, ma comunque, la ferocia degli attacchi contro di lui in questi giorni, mi ha sorpreso un po’. La critica di Berlusconi nella stampa inglese contiene una critica sottointesa di tutti gli italiani per dire come “che tipo di persone sono questi italiani che nonostante tutti gli scandali scelgono un tipo come Berlusconi?” Qualche volta, anch’io mi chiedo la stessa cosa, ma penso che l’attuale critica è diventata un po’ isterica e ipocrita.

L’ultimo numero di Internazionale (n. 803) riporta un editoriale di The Guardian, dove è scritto:

“La cosa più difficile da capire è se l’Italia, dopo un decennio di difficoltà economiche, abbia oggi i requisiti per sedere a un qualsiasi tavolo internazionale. Nel suo indice di libertà economica, che misura la libertà di lavorare, consumare e investire senza limitazioni imposte dallo stato, la Heritage Foundation mette l’Italia al 76° posto, dietro Kirghizistan, Mongolia e Madagascar. .. I politici italiani, insomma, sono considerati meno affidabili di quelli del Pakistan, della Bielorussia, dell’Azerbaigian, del Senegal e della Sierra Leone.”

Non so cosa sia l’Heritage Foundation ma questa fondazione forse misura la facilità con cui le multinazionali possono entrare e agire in un paese in un esempio di liberalismo sfrenato, e in questo caso, forse è meglio così che il governo italiano non ha completamente dimenticato le proprie responsabilità. Comunque, secondo me fare questo tipo di paragoni, non è da una persona normale. Probabilmente, l’autore non è mai stato fuori dall’Europa, e sicuramente non è stato in Pakistan or Sierra Leone o in altri paesi che nomina.

L’altro giorno ero a Londra e sul giornale serale, The Evening Standard di 9 luglio, ho trovato un articolo di Rachel Johnson, “Shame on the no shows for the Silvio’s big day” (Vergogna a tutti quelli che hanno deciso di abandonare il grande momento di Silvio). In questo articolo, pieno di sprezzante sarcasmo, la signora Johnson parla di Mara Carfagna come “un ex modella che posava in nudo e era stata una delle concorrenti al concorso di Miss Italia”. Non so molto della signora Carfagna, e se la conoscessi forse non mi piacerà né anche lei, ma parlare di una persona in questi termini mi sembra tanto sessista e bigota. Le ragazze che posano in nudo o le concorrenti di Miss Italia sono tutte ragazze senza cervello da disprezzare, secondo lei. Dato che la signora Carfagna, già fa la ministra da molti mesi, sarebbe stato meglio parlare del suo lavoro come ministra e criticare suo operato invece di lanciare attacchi contro la sua persona.

Concordo pienamente che il cosidetto “pacchetto sicurezza” varato dal governo italiano contiene misure populiste vergognose, ma il comportamento del governo inglese riguardo le misure contro gli emigrati non mi sembrano poi così tanto diverse.

Mi ricordo ancora gli orrori dei test di verginità ai quali venivano sottoposte le ragazze asiatiche che venivano in Regno Unito per sposare un inglese-asiatico. Non so se queste misure sono ancora vigenti. Mi ricordo anche i racconti di violenze anti-"paki" e anti-neri in Regno Unito, che mi facevano tanto paura qualche decennio fa, quando ancora l’Italia non conosceva il fenomeno dell’emigrazione.

Penso che il Regno Unito ha avuto più tempo per fare i conti con l’emigrazione e forse ha trovato un suo equilibrio oggi, mentre gli italiani stanno ancora cercando di abituarsi al fatto che anche le persone di pelle nera o con gli occhi a mandorla possono essere italiani. In questo senso forse la violenza contro gli stranieri in Italia può essere paragonata alla violenza contro gli stranieri in Regno Unito degli anni settanta e ottanta, e che forse anche Italia troverà un suo equilibrio, sopratutto se avrà i governi capaci che non vorrano cavalcare l’onda populista e avrà le nuove generazioni cresciute in classi miste di oggi.

E’ vero che in The Evening Standard, quando parlano di persone di origine straniera, non parlano delle origini delle persone, usano soltanto il nome e cognome, e basta. Per esempio, nello stesso giornale del 9 luglio, c’è la notizia del suicidio del giovane manager Anjool Malde e la notizia del racket per i DVD pirati gestiti da famiglia Khalid Sheikh, due nomi chiaramente “non inglesi”, ma le notizie parlano di loro come qualsiasi persona inglese senza parlare dei loro origini. Dal articolo essi sembrano cittadini inglesi e basta, il loro origine non è importante.

In confronto, in Italia ogni volta che succede qualcosa, i giornalisti insistono a nominare le origini delle persone, parlano di romeni, marrochini, pakistani, ecc. in toni che suscitano diffidenza e rabia contro gli stranieri. Anche quando la persona ha la cittadinanza italiana, i giornalisti italiani né parlano in termini che sottolinea le loro origini straniere (per esempio, “egiziano con passaporto italiano”, quasi per dire che la persona non è veramente italiana), per non riconoscere il loro diritto di considerare l’Italia come il proprio paese. La parola “extra-comunitario” che piace così tanto ai giornali italiani, avrà tutte le sue gistificazioni burocratiche ma penso che sia una parola molto violenta, perché esclude le persone di considerarsi parte di una comunità dove vive.

Ma forse questo atteggiamento dipende dal fatto che come molti italiani, molti giornalisti non si sono ancora abituati a questa Italia multietnica e multiculturale, e spero, con tempo le nuove generazioni di giornalisti sapranno essere più realiste e meno razziste.

Non voglio dire che dobbiamo smettere di lottare contro le leggi ingiuste e la società ingiusta, ma allo stesso tempo, non si può disprezzare e denigrare tutto il paese solo perché Berlusconi non ci piace.

venerdì 10 luglio 2009

“Potere morbido”: La telenovela Indo-Brasiliana “Caminho das Indias”


E’ da un po’ che ho sentito parlare di questa nuova telenovela brasiliana “Caminho das India” (Cammino dell’India) sul canale Globo che è tra i programmi più popolari in Brasile. Gli amici brasiliani all’improvviso si dimostravano molto consapevoli delle questioni più svariate legate all’India - dalla moda indiana alle caste, e poi usavano qualche frase in Hindi come “Theek hai” (va bene). Un amico indiano che era andato in Brasile ha raccontato che un benzinaio, quando ha saputo che era indiano, gli ha chiesto se era un bramino o era un dalit! Poi mi hanno raccontato di un nuovo locale di Salvador, tutto ambientato sul tema India.



Così ho guardato qualche episodio della telenovela sul Youtube. La storia riguarda un ragazzo dalit (ragazzo delle cosidette “caste basse”), che si chiama Bahuan, fa l’ingeniere informatico ed è innamorato di una ragazza Maya che appartiene ad una famiglia di alta casta, e la storia passa da Jaipur a Dubai fino al Brasile. Tutti gli attori sono brasiliani e come molte telenovelas indiane, è piena di colpi di scena, complicate storie di amori, impossibili, intrighi e tradimenti.

Quando ho visto questi episodi della telenovela, ho pensato che da una parte questa riprende tutte le questioni cliché del mondo di Bollywood, ma li tratta in maniera più libera e fantasiosa. Per esempio, il ragazzo dalit non è presentato come un povero oppresso ma è un ingeniere informatico ed è interpretato da un attore di carnagione chiara.

Il mondo di Bollywood, tocca più spesso la questione delle diversità religiose e di solito ignora la questione delle caste. I film più realistici che affrontano la questione delle caste, parlano di ingiustizie, povertà e emarginazione, ma questi sono i film per i festival del cinema e non hanno i colori sgargianti di Bollywood.

Penso che dal punto di vista sociologico e antropologico, vi sarebbe molto da analizzare e riflettere su come l’India viene rappresentata all’estero a partire da Salgari fino alle telenovele brasiliane, per costruire la rappresentazione di quello che Edward Said chiamava “l’Orientalismo”.

Comunque, la cultura è una parte integrante della globalizzazione ed è strettamente legata all’immagine e al commercio. Se gli Stati Uniti hanno costruito questo suo “potere morbido” (“soft power” – per contrappore il termine al Hard Power, ciò è, il potere delle armi) sulla base di McDonald, KFC, Hollywood e Michael Jackson, Italia l’ha fatto sulla base dei vini, dei prodotti alimentari come gli spaghetti e la pizza, della moda e della creatività. Con la crescita economica degli ultimi anni, anche i paesi come Brasile, Messico, Nigeria, India e Cina, cercano di sostituire le loro immagini passate con le nuove immagini più vendibili. Così India cerca di sostituire la sua immagine della povertà e della fame con quello degli ingenieri informatici e del mondo colorato e felice di Bollywood.

Per quanto riguarda l’immagine italiana in India, oggi Sonia Gandhi è lo strumento più potente che costruisce un’immagine di Italia come un paese delle persone buone, oneste e sincere. Lei aveva già l’immagine di una persona riservata e semplice, pronta a sostenere la suocera (Indira Gandhi) e il marito (Rajeev Gandhi). Durante le elezioni del 2004, quando lei è riuscita a superare tutti gli attacchi contro il suo “essere straniera” e poteva scegliere di diventare il primo ministro dell’India, la sua rinnuncia volontaria, ha costruito una sua immagine ancora più forte. Ormai, lei non ha bisogno di nessun ruolo politico in India, si è già assicurata il posto della “madre saggia e buona” nell’immaginario popolare indiano.

Il mese scorso quando ero in India, più di una volta, vi erano delle vignette legate agli scandali di Berlusconi sulle prime pagine dei giornali indiani, ma quando parlavo con le persone e dicevo che vivo in Italia, nessuno ha mai nominato Berlusconi, invece quasi tutti subito parlavano di Sonia Gandhi.

In Italia, la costruzione dell’immagine dell’India nel ultimo secolo è stata fortemente legata ai libri di Emilio Salgari e ai film basati sulle sue storie. Questa immagine è più vicina al stereotipo dell’oriente misterioso ed esotico con gli elementi come i serpenti, i thugs, i pirati, la giungla, ecc. Mahatma Gandhi, yoga, ayurveda, religioni orientali erano altri elementi dell’immagine storica dell’India in Italia. Ultimamente, il Bollywood, lo sviluppo dell’informatica e la crescita economica dell’India hanno allargato questa immagine introducendo nuovi elementi.

Così quando la TV presenta film di Bollywood come il ciclo “Amori con turbanti” si rinforza questa creazione dell’immagine. Ancora l’MTV italiana non presenta la classifica dei top ten della musica indiana ma forse un giorno arriverà anche quella? Non perché i responsabili di MTV avranno capito il valore di arricchire e diversificare la proposta culturale, ma solo perché avrà consumatori e potrà migliorare l’audience.

mercoledì 8 luglio 2009

Estate 2009: Bollywood torna su Rai 1


Dopo la felice esperienza del 2008, anche quest anno, torna il ciclo dei film di Bollywood “Amori Con Turbanti” su Rai 1 da sabato 11 luglio 2009.

Il primo film del ciclo è “Sposerò mia moglie”. Cercare di indovinare il titolo originale di un film dal titolo italiano non è facile, comunque dopo un po’ indagini ho scoperto che si tratta di “Namastey London” del regista Vipul Shah, uscito nel 2007.



Il film è la storia di Jasmeet, una ragazza di origine indiana (Katrina Kaif) cresciuta in Gran Bretagna, che preferisce chiamarsi Jazz ed è innamorata di un ragazzo inglese, Charley Brown. Il suo padre Manmohan Singh (Rishi Kapoor) non vuole che lei si sposi con un ragazzo inglese ma fa finta di accettare l’idea di questo matrimonio, e poi con un inganno porta la figlia in India e la fa sposare con Arjun Singh, un ragazzo indiano (Akshay Kumar), figlio di suo amico.

Jazz e Arjun arrivano in Gran Bretagna e Jazz chiarisce a Arjun che per lei questo matrimonio è solo una finzione, l’aveva accettato solo perché non vi era altra scelta, ma lei intende sposare il suo ragazzo.

Arjun, anche se innamorato della moglie, capisce che Jazz ha ragione e la promette di non ostacolare i suoi piani, ma dentro di se spera che la ragazza capirà il suo amore e dimenticherà il ragazzo inglese ...

C’è una seconda storia parallela di un signore pakistano, Parvez Khan (Javed Sheikh, un attore pakistano) e suo figlio Imran (Upen Patel). Come Jazz anche Imran non vuole sentir parlare della propria cultura d’origine, si considera inglese a tutti gli effetti e vuole sposare una ragazza inglese.

Il film era il primo grande successo commerciale della coppia, Akshay Kumar e Katrina Kaif. I due attori, Akshay e Katrina, non erano male nel film, e il film aveva della bella musica. Per quanto riguarda la musica, mi piaceva molto una canzone del film, “Main zahan rahoon, main kahin bhi rahoon, teri yaad saath hai” (Non importa dove sarò, il tuo ricordo sarà con me) cantato dal cantante pakistano Rahat Fateh Ali Khan.

Nonostante tutto questo, nell’insieme non mi era piaciuto questo film forse perché non concordavo con il suo messaggio di fondo, ciò è, che la cultura indiana/asiatica è buona e genuina, mentre in occidente i rapporti sono superficiali e frivoli, e che gli emigrati devono cercare di salvaguardare la propria cultura e per questo, dovrebbero sposarsi all’interno del proprio gruppo etnico e religioso. Penso che ogni cultura ha degli aspetti positivi e altri meno positivi, e non concordo assolutamente che emigrati devono sposarsi solo nella propria etnia per “conservare la propria cultura”.

Ma forse per guardare la maggior parte dei film di Bollywood, non bisogna prenderli troppo sul serio!

Il secondo film del ciclo, programmato per il sabato 18 luglio è “L’amore arriva con il treno”. Per il momento non sono riuscito a scoprire nient altro di questo film, per cui non so il suo titolo originale.

Uno dei recenti film di Bollywood dove un viaggio in treno giocava un ruolo importante nella storia era Jab We Met (Quando ci siamo incontrati, 2007) con Kareena Kapoor e Shahid Kapoor. La storia d’amore tra un top manager depresso che vuole suicidarsi e una ragazza sikh chiacchierona che si incontrano durante un viaggio in treno, era uno dei grandi successi del 2007, sia del pubblico che della critica.

Non so se "L’amore arriva con il treno" sia proprio “Jab we met” o è un altro film. Lo sapremmo la prossima settimana.

Purtroppo, il sito della Rai non ha nessun comunicato riguardo questo ciclo di film e trovare informazioni relativi ai film sul sito di Rai 1 non ha portato dei risultati.

Invece, speriamo che questa volta i film non saranno completamente senza le canzoni e le danze, il tratto che caratterizza il mondo di Bollywood. E’ vero che i film indiani sono spesso troppo lunghi per la programmazione serale e tagliare le canzoni e le danze è il modo più facile di ridurre la durata dei film. Tuttavia, penso che sarebbe meglio tenere almeno 1-2 canzoni e danze in ogni film!


martedì 7 luglio 2009

I due fratelli - Gil Rossellini e Raja Dasgupta



Alcune persone nascono nel segno del destino, che le prende e poi disegna per loro delle vite improbabili che sembrano inventate dalla fantasia di qualche scrittore. Anche la storia dei fratelli Raja e Gil sembra scritta da uno scrittore.

Circa 9 mesi fa, il 3 ottobre 2008, Gil è morto a Roma. Non aveva ancora compiuto 52 anni. Con la notizia della sua morte, i giornali italiani hanno parlato di lui come il “figlio adottivo di Roberto Rossellini, che fu compagno della donna indiana Sonali Dasgupta”. Insieme, vi erano poche righe sulla sua malattia a causa della rara patologia che l’aveva costretto su una sedia a rotelle negli ultimi anni e sull’ultimo episodio del suo documentario riguardo alla sua malattia, “Kill Gil volume 2 e ½”.

Non ho mai avuto l’occasione di conoscere Gil Rossellini, ma conosco suo fratello maggiore, Raja Dasgupta, che fa il regista e vive a Calcutta in India con sua moglie, l’attrice Chaitali e con suo figlio e giovane regista, Birsa Dasgupta.



Inizio della storia: Vorrei iniziare questa storia dagli eventi alla fine del 1956 e all’inizio del 1957 che avevano coinvolto i loro genitori, quando Raja aveva 4 anni e Gil aveva pochi mesi e ancora si chiamava Arjun, come l’eroe guerriero del poema epico indiano Mahabharata.

Raja e Arjun, erano figli di Harisadhan e Sonali Dasgupta.Quando nacque a Bombay il suo secondogenito Arjun, il 23 ottobre 1956, Harisadhan aveva 34 anni, era un regista benglaese molto stimato, compagno, collaboratore e amico di registi come Satyajit Ray. Il primo figlio, Raja, era nato nel 1952.

Nel frattempo, il famoso regista italiano, Roberto Rossellini, che allora stava con l’attrice svedese Ingrid Bergman, fu invitato in India dal primo ministro indiano, Pandit Jawahar Lal Nehru con l’idea di girare un film sull’India.

In dicembre 1956, quando Roberto arrivò in India, aveva 51 anni. Sonali fu assunta come una sua collaboratrice per le riprese del film. La storia d’amore tra il regista italiano e la donna sposata e madre di 2 figli, aveva suscitato grande scandalo e i giornali chiedevano l’allontanamento di Rossellini dall’India.

Nel settembre 1957, circa 9 mesi dopo l’arrivo di Roberto in India, una notte Sonali arrivò con il piccolo Arjun in braccio all’hotel di Roberto a Bombay. Avevano deciso di sfuggire a Delhi e poi in Europa. Sonali viaggiò in treno a Nuova Delhi accompagnata da Husein, travestita come una signora musulmana.

Nonostante le proteste popolari contro questa storia d’amore proibito, il primo ministro indiano Pandit Nehru e la sua figlia, Indira Nehru Gandhi, aiutarono Roberto e Sonali a lasciare l’India, insieme al piccolo Arjun. Due mesi dopo, a Parigi, Sonali partorì una bambina, Raffaella.

La trasformazione di Arjun in Gil: In Italia, Arjun Dasgupta fu legalmente adottato da Roberto e diventò Gil Rossellini.

Suo fratello maggiore, Raja, non si ricorda il trauma di quei giorni, dice che era circondato dai nonni, zii, zie e cugini della famiglia allargata e non aveva sentito la mancanza della mamma.

In Italia, anche Gil si trovò subito circondato da una grande famiglia, composta dai figli che Roberto aveva avuti dalle sue precedenti unioni con Marcellina e Ingrid. Gil aveva un buon rapporto con il padre adottivo Roberto e si identificava con lui, come si può intuire dalla sua passione per le macchine da corsa, dichiarata in un’intervista al festival del cinema di Venezia nel 2005, “Quella per la Formula 1 è sempre stata una mia passione. E' una cosa che ho nel sangue. La zia di mio padre, la baronessa Maria Antonietta Avanzo, correva per la Ferrari alla fine degli anni Venti e mio padre corse anche la Mille Miglia".

Dall’altra parte, la stampa italiana parlava di lui quasi sempre come “il figlio adottivo”, forse questo urtava la sua sensibilità? Gil aveva ereditato anche il colore della pelle più scura da suo padre naturale, e forse anche questo creava qualche difficoltà per lui, sopratutto quando era giovane?

Per esempio, Palmira Rami, moglie del giardiniere di Villa Bergman a Santa Marcellina (RM) si ricorda così l’infanzia di Gil, “Roberto era andato in India ed aspettava lì l'arrivo di Ingrid ma Ingrid non vi andò, stava girando un film con Lars e così Roberto tornò dall'India con una nuova fiamma, la bellissima Sonali. Avevo grande simpatia per il figlio Jill, un simpaticissimo negretto che Sonali aveva avuto dal suo precedente marito. Ricordo che mio figlio Sergio non voleva giocare con Jill, perché aveva paura e i grandi sforzi di Giovanna Ralli per cercare di convincere Sergio a giocare con Jill. Jill era un bambino molto buono e faceva di tutto per guadagnarsi l'amicizia di mio figlio. Jill era un bambino molto sensibile e soffriva molto quando nella villa veniva tanta gente e lui essendo scuro di pelle si sentiva molto osservato, allora correva da me e da Iva la cuoca e si metteva a piangere dicendo che voleva essere un bianco.”

Gil studiò a Roma e poi, nel 1971 si trasferì in America, dove frequentò l’Università di Rice e l’università di Houston. Dopo gli studi universitari, lui lavorò come musicista a Houston per sei anni fino al 1980.

Nel 1984 quando oramai aveva 28 anni, Gil aveva incontrato suo padre naturale, Harisadhan Dasgupta, per la prima volta dopo la fuga dall’India nel 1957. Non tornò per incontrare Harisadhan altre volte, ma era rimasto in regolare contatto con il fratello Raja. Harisadhan si ritirò dal mondo dal cinema nel 1986 e morì a Santiniketan nel 1996.

Raja sceglie il mondo del cinema: Raja aveva frequentato la scuola Calcutta Boy’s school e poi si era laureato presso l’università di Nuova Delhi nel 1974, l’anno in cui incontrò anche sua madre per la prima volta dopo un intervallo di 17 anni.

Tra il 1976 e il 1982, Raja ha assistito il padre nella realizzazione di diversi documentari. Ha realizzato il suo primo documentario nel 1979, “Una canzone per Birsa”, vincitore del premio dei giornalisti per il migliore documentario. Quello stesso anno era nato suo figlio Birsa.

Negli ultimi 30 anni, Raja ha girato un centinaio di film, tra i quali telefilm, documentari, pubblicità e fiction. (Completa filmografia di Raja Dasgupta)

Raja si presenta come una persona molto tranquilla e calma. Quando gli chiedo di parlare di quegli anni, quando sua madre era andata via con suo fratello, lui risponde senza grande enfasi, “Per molti anni non lo sapevo, ero circondato da parenti e dalla famiglia!” Dice anche che non sente nessun rancore per quello che era successo tra i suoi genitori e che ha un rapporto tranquillo con la madre.

Gli anni di lavoro di Gil: Nel 1981 Gil iniziò a lavorare nell’ ambito della produzione cinematografica a New York, e continuò in questo campo fino al 1984. In questo periodo, lui aveva partecipato nell’ equipé di diversi film compreso “Il re della commedia” di Martin Scorsese e “C’era una volta in America” di Sergio Leone.

Nel 1984 Gil iniziò la sua carriera di regista, scrittore, produttore di film, cortometraggi, documentari, reportage, video musicali e eventi multi-mediali, dando avvio al “Rossellini & Associates” che aveva uffici in New York (USA), Roma (Italia) e Nuova Delhi (India).

I suoi più importanti lavori (film e documentari) sono stati realizzati tra il 1985 e il 2004.

Lui si era sposato con Eddy Fortini e poi la coppia aveva divorziato. Sembra che non avessero figli. Eddy è venuta al festival del cinema di Roma in ottobre 2008, per presenziare la proiezione di “Kill Gil 2 e ½”, dopo la scomparsa di Gil.

La tragedia improvvisa: La tragedia arrivò con passi felpati nell’autunno del 2004, quando un giorno Gil scivolò nella vasca da bagno a Roma e batte le testa contro un vecchio specchio. Fu portato al pronto soccorso e gli fu riscontrata una ferita e una contusione. Tornò a casa incerottato e con un collarino. Il 19 novembre 2004, era al festival del cinema di Stoccolma in Svezia per presenziare la proiezione di “La Principessa di Ledang”, quando avvertì un malore e all’improvviso entrò in coma. I medici del Karolinska institute di Stoccolma gli diagnosticarono una rara infezione da stafilococco, dovuta al trauma nel bagno a Roma.

Dopo 3 settimane di coma e dopo diversi interventi, Gil aveva ripreso coscienza, ma oramai aveva paraplegia ed è stato trasferito in una clinica specialista in Svizzera, dove è rimasto fino al 2005, ed è uscito su una sedia a rotelle.

Negli ultimi anni, oltre alla sua passione per il cinema, Gil era diventato anche un sostenitore dei diritti delle persone con disabilità. In un’intervista rilasciata nel 2006, Gil aveva detto, “Vi siete mai chiesti perché mai si vedono così pochi disabili in Italia? Molti si vantano dicendo che siamo un popolo di persone sane. Ma non è vero: sono tre milioni gli italiani disabili. Tre milioni di persone che non escono di casa.”

Così con il “Kill Gil 2”, Gil si era deciso "ad affrontare non con mano pesante e, senza fare comizi, l'impossibilità di abitare a Roma per chi vive questa condizione. E parlo di Roma solo perché è la città in cui vivo, non solo per i problemi oggettivi di questa città piena di saliscendi, ma per il fatto che anche quando l'amministrazione ha lavorato bene si incontra l'indifferenza della gente. Negli scivoli per i portatori di handicap trovi parcheggiati dei motorini e anche nei posti auto riservati sono occupati da chi non ha il permesso".

Conclusioni: Raja e Gil, due fratelli, cresciuti migliaia di chilometri lontani uno dall’altro, avevano trovato la stessa passione del cinema, quello che riuniva anche i loro padri, Harisadhan e Roberto. Il destino aveva preso per mano Gil e gli avevo dato la possibilità di crescere circondato dal mondo del cinema internazionale, mentre Raja è rimasto più ancorato al cinema bengalese.

Forse dentro di sé Gil portava le ferite dal suo passato, ma sembra che alla fine avesse trovato un suo equilibrio. Quando tutto sembrava procedere per il meglio per lui, all’improvviso, il destino era intervenuto di nuovo, portando Gil in una direzione inaspettata, fino alla sua scomparsa.

Con l'aiuto di Gil, Raja pensava di realizzare un film sulla vita di Mir Zafar, un personaggio della storia indiana ai tempi del colonialismo inglese. Dice, “Questo film ha bisogno di sostegno internazionale. Gil era entusiasto all’idea del film. Ma dopo la sua scomparsa, penso che il mio sogno resterà solo un sogno.”

Raja spera che la sua eredità artistica troverà una nuova direzione tramite suo figlio Birsa. In questi giorni, Birsa ha finito il primo film “033” che dovrebbe uscire nelle sale cinematografiche indiane fra 1-2 mesi. Il lavoro di Birsa ha ottenuto importanti riconoscimenti ed è considerato tra i più importanti registi emergenti del cinema bengalese indiano.

Lo scandalo per la storia d’amore tra Roberto e Sonali ormai è una pagina sbiadita della storia.


mercoledì 24 giugno 2009

Festival di Film indiani a Milano

L'Ambasciata indiana e il municipio di Liano, organizzeranno un festival di film indiani a Milano presso il cinema Gnomo (Via Lanzone 30 a) dal 25 al 28 giugno 2009. Tutti i film di questo festival sono nuovi (2007-2008) di sono film pluripremiati, e sono sottotitolati sia in inglese che in italiano. Non perdete quest'occasione. L'entrata e' gratuita fino all'esaurimento dei posti. Il programma del festival e' il seguente:


25 giugno 2009 2100 A WEDNESDAY (Hindi, 102 min.Dir.: N. Pandey) - un thriller mozzafiato sulla rivolta di un uomo comune contro il terrorismo, ambientato nella citta' di Bombay.
26 giugno 2009 ore 1900 SRIRANGAM (Tamil, 117 min.Dir.: S. Ramanathan) e ore 2100 DOSAR (Bengali, 127 min, Dir. Rituparno Ghosh)
27 giugno 2009 ore 1700 TAAREY ZAMEEN PAR (Hindi, 163 min, Dir.: Aamir Khan) - e' un film da non perdere, la storia di un bambino dislessico, candidato indiano ai premi oscar come miglior film straniero del 2007. E alle 2100 ORA PENNUM RANDANUM (Malayalam,115 min,Dir Adoor Gopalakrishnan)
28 giugno 2009 ore 1700 JODHAA AKBAR (Hindi, 205 min, Dir. A. Gowarikar) - un film dal regista di Lagaan c'era una volta in India, una storia d'amore tra un principe Mughal e una pricipessa Rajput del quindicesimo secolo, con bellissime scenografie e danze.

mercoledì 17 giugno 2009

Dimagrire seguendo i principi della dieta ayurvedica

Tra i libri bestseller della stagione estate 2009 in India, c’è anche il libro intitolato, “Don’t lose your mind – lose your weight” (“Non perderti la testa, perdi il tuo peso”, Random House India, 2009) scritto da Rujuta Diwekar. La signora Diwekar è la nutrizionista più famosa dell’India d'oggi, dopo che ha aiutato ad alcune attrici famose di Bollywood a perdere i chili di troppo con la sua tecnica di alimentazione ayurvedica.
La sua tecnica di dimagrimento è apprezzata perché non richiede i sacrifici da fame, normalmente richiesti per perdere il peso. A prima vista, leggere i suoi consigli non sembra affatto un modo per perdere i chili, ma sembra piuttosto un modo di guadagnare qualche chilo. Invece la lista delle celebrità che giurano l’efficacia di questa sua tecnica, continua a diventare sempre più lunga, per cui anche il numero delle sue seguaci continua a crescere.
Essere “magri e belli” è oramai un imperativo dettato da cinema, TV e le riviste che guidano l’opinione pubblica in tutti i paesi e tutte le culture. Essere grassi o percepirsi sovrapeso, è oramai paragonabile ad essere brutti o almeno essere poco attraenti, non solo per le donne ma anche gli uomini. Recentemente, avevo letto un articolo riguardo una uno studio condotto nelle isole Figi, dove avevano trovato che dopo l’introduzione delle trasmissioni televisive, avvenute solo nel 1995, il 70% delle adolescenti si sente sovrapeso e per la prima volta nella storia del paese, sono stati diagnosticati i casi di anoressia e di bulimia.
Anche in India, i criteri di bellezza sono cambiati. Una volta le donne formose e prospere erano considerate il simbolo di bellezza e di sex-appeal, oggi invece è la magrezza che regna sovrana. Poi, all’inizio erano solo le donne indiane che cercavano di mantenere o di ritrovare la linea, oggi anche gli uomini sembrano altrettanto preoccupati. Dall’altra parte, l’India è diventato il paese con il più alto numero di persone diabetiche al mondo, e il numero delle persone con problemi cardiovascolari continua a crescere nel paese, per cui, penso che parlare di controllare il peso e di seguire qualche regolare regime di esercizio, è importante.
Il primo consiglio che da Rujuta Diwekar nel suo libro è quello di voler bene a se stessi. Secondo lei, volersi bene, piacersi e non preoccuparsi del proprio peso, non diventare ossessionati dalla bilancia per controllare se uno ha perso qualche chilo o meno, non è solo il primo passo per perdere i chili di troppo, ma è importante anche per diventare più in forma. I muscoli e le ossa pesano di più del grasso, lei spiega, e per questo motivo, se una persona perde il grasso ma guadagna in muscoli e in consistenza delle ossa, potrebbe continuare a pesare lo stesso, anche se diventerà più snella e sana. Dall’altra parte, secondo Diweker le diete che limitano i nutrienti o che causano disidratazione, possono far perdere i chili in fretta, ma la persona diventa meno sana e in ogni caso, dopo un po’ quel peso perduto ritorna con ancora più forza.
Il suo secondo consiglio è quella di evitare tutti gli alimenti venduti come “prodotti dietetici” – ciò significa non prendere dolcificanti con poche calorie invece dello zucchero, di non bere bibite a calorie zero, di non mangiare patatine e gelati con meno grassi, ecc. Secondo Diweker, tutti questi prodotti sono dannosi e poi danno un senso di falsa sicurezza che “assumiamo meno calorie”, per cui alla fine, finiamo per mangiare di più. Invece lei consiglia di prendere tutti i prodotti genuini, oraganici senza pesticidi e conservanti chimici, e diventare molto piu' consapevoli di quello che mangiamo.
Il suo terzo consiglio è di cercare calma e tranquillità interiore, soprattutto quando si mangia, in quanto secondo lei, lo stress aumenta la trasformazione degli alimenti in grassi. Lei consiglia di dedicare tutta l’attenzione a gustare il cibo mentre si mangia. Ciò significa anche evitare di guardare la TV o avere discussioni animate durante i pasti. Cio' ci aiuta a sintonizzarsi meglio con i nostri corpi e di mangiare la quantita' giusta degli alimenti.
Il suo quarto consiglio è composto di 5 regole di base per l’alimentazione. Queste 5 regole sono: (1) mangiare cibi appena cucinati se possibile; (2) alimenti cucinati in piccole quantità per poche persone; (3) se possibile non sbucciate e non tagliate la verdurra e la frutta in pezzettini troppo piccoli; (4) mangiare gli alimenti che siete abituati a mangiare da vostra infanzia (alimenti e piatti locali e tradizionali); e (5) mangiare la frutta e la verdura cruda fresca secondo la stagione, ma solo come un mini pasto separato, e non durante o prima o dopo i pasti.
Il suo quinto consiglio è il nocciolo principale della sua dieta, da seguire con precisione, cura e regolarità. Questo consiglio e' composto di 4 principi di mangiare bene – questi 4 principi sono:
(1) Al primo risveglio alla mattina, non prendere ne il caffee o il thé come la prima cosa, invece mangiare un piccolo pasto entro i primi 10-15 minuti dal risveglio (lei consiglia di evitare completamente o almeno ridurre quanto possibile il thé o il caffee e le altre bevande con stimulanti come la caffeina, per ciò, evitate anche le bibite gassate come la Coca Cola). Secondo lei, ciò ci aiuta a aumentare il tasso di metabolismo del corpo, migliora la digestione e ci aiuta a andare di corpo. In generale lei sconsiglia di bere succhi di frutta e chiede di moderare il consumo della frutta. Se avete una voglia particolare di mangiare qualcosa che ha molte calorie, come un pezzo di torta, secondo Diweker, conviene mangiarne una piccola porzione (qualche volta), proprio alla mattina, appena alzati perché in quel momento il tasso di metabolismo è più alto e le calorie non aggiungeranno al grasso corporeo.
(2) Mangiare ogni 2 ore. Piccole porzioni o mini pranzi, ma ogni due ore secondo l’orologio. Lei consiglia di tenere snack come le noccioline o la verdura cruda o un pezzo di pane integrale in ufficio, per seguire questa regola. Secondo Diweker, ciò ci aiuterà a mantenere alto il tasso di metabolismo per tutto il giorno e a mangiare meno alla sera, quando il tasso di metabolismo di abbassa.
Lei suggerisce di tenere un diario per annotare ogni cosa, anche la più piccola cosa, che consumate durante la giornata per 5 giorni, per diventare consapevoli di che cosa mangiate effettivamente. Poi suggerisce di costruire una dieta bilanciata con carboidrati, proteine e grassi e di suddividere questa dieta in tanti mini pranzi da consumare ogni due ore.
Ovviamente, per essere efficace, bisognarebbe farsi aiutare da un nutrizionista per la costruzione della dieta, ma lei consiglia di non affidarsi dei professionisti che propongono le diete molto drastiche o le diete mono-cibo non bilanciate (tipo “mangiate solo cetrioli o solo frutta”).
(3) Aumentare le porzioni dei mini-pranzi e mangiare di più nei giorni quando siete più attivi, (attività fisiche). Nello stesso modo, ridurre le porzioni quando sapete che avrete meno attività fisiche.
(4) Non mangiare niente, assolutamente niente, per almeno due ore prima di andare a letto. Ciò è, prendete il vostro ultimo mini-pranzo almeno due ore prima di andare a dormire.
Comunque questa è solo una sintesi delle principali idee di questo libro, che ha molte altre riflessioni sul significato degli alimenti nel antico sistema indiano di benessere, il sistema ayurvedico, sugli alimenti da privileggiare o da evitare, e sulla costruzione della dieta. Per esempio, lei consiglia di fare gli eventuali esercizi o passeggiate, prima di mangiare. Invece dopo aver mangiato, lei suggerisce di non svolgere attività stressanti, per dare il tempo al proprio corpo di dedicarsi alla digestione.
Penso che una traduzione letterale di questo libro in italiano non sarà molto utile in Italia perché tutti i suoi esempi sono strettamente legati alla dieta indiana, e bisognerà rivederla per la dieta italiana. Ad un certo punto in questo libro, lei critica la nuova abituadine urbana in India di mangiare le pizze, secondo lei un cibo poco salutare, ma penso che lei ragiona sulle pizze americane fatte con la farina rafinata che si fanno nei locali delle multinazionali come il Pizza Hut o il Dominoes, nelle città indiane e che sono molto diverse dalle pizze che si trovano in Italia. Inoltre, se seguiamo il suo consiglio di “mangiare ciò che uno è abituato a mangiare da bambino”, in Italia dobbiamo ragionare proprio sulla dieta mediterranea.
Sto ancora ragionando se devo prendere sul serio i consigli di Diweker e tentare questa dieta perché anch’io mi sento sovrapeso e poco in forma. Comunque, non posso seguire nessuna dieta finché resterò in India, perche' faccio troppa fatica a dire no a tutti i dolci e le torte che mi portano i parenti.
Ma forse potrò sperimentare questi consigli quando tornerò a Bologna e poi vi dirò se hanno funzionato o meno!

martedì 16 giugno 2009

Convivenza tra le religioni in India

Tutti i giorni sembrano uguali, e le giornate sono lente e languide. Già alla mattina comincia ad essere caldo e in primo pomeriggio, le temperature superano i 40 gradi e le strade si svuotano. In questi giorni sono a Nuova Delhi, in casa con la mia mamma. Ogni giorno, passo diverse ore a leggere i giornali e poi sono costretto a guardare la televisione con mia madre, la quale resta immobile davanti alle telenovelas interminabili.
Alla mattina presto, quando le temperature sono ancora supportabili, accompagno mia madre a fare una passeggiata nel parco che circonda il nostro gruppo di condomini. In India, la maggior parte delle persone che fanno le passeggiate nei parchi, le fanno presto la mattina. Per cui, già verso le 5,30 quando andiamo giù, troviamo molte persone a chiacchierare allegramente. In un angolo del nostro parco, un gruppo di persone si dedica allo yoga. In un altro angolo, un piccolo gruppo si dedica alla riso-terapia, ciò è, tutti ridono insieme per una decina di minuti.
Tutta la varietà religiosa dell’India è rappresentata in questi 4 condomini. L’anziana signora che abita accanto a noi è cattolica, originaria di Goa. Dall’altra parte del corridoio, abita una famiglia sikh.
Un condominio deve convivere con una vecchia moschea che già si trovava la, quando avevano deciso di costruirlo. Dalla moschea si alza l’azaan, il richiamo alla preghiera musulamana, cinque volte al giorno, anche se io sento soprattutto il primo azaan, quello delle 4,30 di mattina, quando non vi sono altri rumori. L’azaan inizia con “Allah ho Akbar …”, “Dio è grande”. La strada dietro i condomini è chiamata la strada della preghiera, ha diversi templi e anche una chiesa cattolica mentre il Guruduara, il tempio dei sikh, è un po’ più lontano.
Fino a qualche anno fa, tutti questi luoghi di preghiera gareggiavano tra loro per avere i loro richiami più forti, aiutati dagli altoparlanti. Allora, solo l’idea di venire a vivere qui mi faceva venire un po’ di mal di testa, con queste preghiere delle diverse religioni, gridate a volume alta dalla mattina alla sera tardi. Adesso la situazione va molto meglio. Si sono concordati tra loro e hanno deciso di non usare più gli altoparlanti. Ora i suoni delle campane e delle preghiere sono più dolci.
Il 12 giugno nella città di Mumbai (Bombay), vi è stata una riunione tra gli indù e i cattolici. “The Times of India”, il quotidiano nazionale, del 13 giugno ha parlato di questa riunione alla quale hanno partecipato i massimi capi religiosi indù guidati da Shankaracharya di Kanchi (Swami Sri Jayanendra Saraswati) e il rappresentante del Vaticano, Cardinale Jean Louis Tauran, responsabile per il dialogo inter-religioso per il Vaticano. Questa riunione era importante perché era la prima volta dopo gli attacchi alle chiese in Orissa e in Karnataka, che i rappresentanti delle due religioni si parlavano tra loro per cercare una convivenza pacifica.
La riunione si è conclusa con una risoluzione che aveva 3 punti principali:
  • no alla violenza contro le minoranze religiose;
  • no alle conversioni degli indù con l’aiuto degli “incentivi”;
  • collaborazione per le attività sociali e caritative a favore dei più bisognosi.
Sudheendra Kulkarni, un teologo e saggio induista, ha parlato di questa riunione dalle pagine del quotidiano nazionale, The Hindustan Times, del 14 giugno con le seguenti parole:
Era la prima interazione formale tra le due parti dopo lo sfortunato peggioramento del conflitto in Orissa nel 2008, che aveva sottolineato due fatti co-relati – violenti attacchi contro la chiesa e contro i cristiani innocenti da una parte, e dall’altra parte, il disagio tra gli indù verso la sostenuta campagna di conversioni religiose al cristianesimo. .. Le discussioni durante la riunione sono state franche e cordiali. I capi religiosi indù hanno condannato unanimemente la violenza contro i cristiani.
I rappresentanti cattolici hanno affermato con uguale chiarezza che le conversioni religiose basate sugli incentivi di qualunque tipo sono invalide e non accettabili. Hanno affermato che tutte le religioni meritano uguale rispetto.
Molti capi religiosi indù richiedevano una dichiarazione del genere da tanto tempo, perché i teologi cristiani e musulmani, spesso distinguano tra le religioni “monoteiste” o le religioni del “Libro” dalle altre religioni. Spesso nella lunga storia delle conversioni religiose in India, i cristiani parlano dell’induismo come una religione “falsa” e “pagana” e che la vera salvezza viene solo se si abbandona “la falsità” e si accetta la “vera via”.
Per concludere il dialogo, i rappresentanti cattolici hanno visitato il tempio indù di Sidhivinayak e i capi religiosi indù sono andati a pregare alla cattedrale di Sacro Nome. Dopo queste visite, il cardinale Tauran è stato l’ospite d’onore ad un incontro multi-religioso alla quale hanno partecipato importanti personalità musulmane, ebree, seguaci di Zoroastra, sikh, Gian e indù.
Purtroppo durante i momenti di conflitti e di violenza tra le religioni, tranne qualche eccezione, spesso i capi religiosi non si esprimono per la pace e per la convivenza. Se loro possono dare un esempio di rispetto e cordialità tra le religioni per parlare contro la violenza con una voce chiara e unita, forse questi episodi diventeranno meno gravi.
Personalmente penso che in India, tra le persone ordinarie, esiste il forte senso di rispetto per le diverse religioni. Questo senso di rispetto e armonia ha bisogno di essere rinforzato anche dai capi religiosi, senza dubbi o tentennamenti.

domenica 14 giugno 2009

Il flagello delle caste

Il sistema delle caste è considerato uno dei problemi più difficili dell’India.
Il sistema delle caste tra gli induisti suddivide le persone in 4 categorie principali – i bramini o la casta dei sacerdoti; i kshatriya o i guerrieri; i vaishya o i commercianti; e gli shudra o le caste basse, ciò è le persone che si occupano di lavori considerati non puliti.
Ogni casta è composta di una complessa rete di sottocaste, organizzate in un sistema gerarchico con delle norme che regolamentano i rapporti di vario tipo tra loro, soprattutto i rapporti sociali, alimentari e i rapporti matrimoniali. I rapporti tra le sottocaste variano in diverse parti dell’India, così un gruppo di sottocaste che è ad un livello gerarchico più alto in una parte del paese, potrebbe occupare uno spazio più basso in un’altra parte dell’India. Le caste sono ereditate dai padri e relativamente, la casta della donna influisce meno in una copia.
All’interno delle caste basse, gli shudra, un sottogruppo di persone che sono chiamate gli intoccabili, appartengono al livello gerarchico più basso tra tutti i gruppi e subiscono discriminazioni e oppressione da tutti. Sono due i sottogruppi più importanti tra gli intoccabili, i ciamar che si occupano del lavoro di concimare la pelle ed i bhanghi, che si occupano della pulitura delle toilette.
Oltre a queste caste tra gli induisti, anche i popoli indigeni sono considerati induisti dal punto di vista legale, ma non appartengono alle caste, e sono conosciuti come popoli tribali o gli scheduled tribes. Per tutte le considerazioni pratiche, queste persone “fuori casta” sono equiparabili alle caste basse.
Le discriminazioni sulla base delle caste sono vietate e sono punibili secondo la costituzione indiana. Nella storia indiana, vi sono diversi movimenti di riformismo religioso dell’induismo e diversi personaggi religiosi hanno predicato per superare le barriere delle caste. Già un secolo fa, Mahatma Gandhi aveva avviato un simile movimento, nominando le persone che appartengono alle caste basse come gli harijan, ciò è, il popolo di dio. Ciò nonostante, ancora oggi, il sistema delle caste è vivo e esse continuano ad esercitare una forte influenza nella vita pubblica in India.
Diverse religioni basate sull’idea dell’eguaglianza tra le persone, venute dall’estero come l’islam e il cristianesimo, o nate in India, come il sikhismo e il buddismo, hanno cercato di superare le barriere delle caste, ma spesso hanno creato altri sistemi altrettanto discriminatori. Così le persone delle basse caste che si convertono alle altre religioni per sfuggire al sistema delle caste, incontrano nuove discriminazioni, e ciò crea nuove tensioni in queste religioni.
Vorrei parlare di due esempi recenti che illustrano questa situazione nelle religioni che teoricamente non prevedono discriminazioni sulla base delle caste.
Il primo esempio riguarda il cattolicesimo. La pratica di avere entrate e banchi diversi nelle chiese per diversi gruppi di fedeli è stata denunciata più volte. I cattolici “dalit”, ciò è, persone delle basse caste convertite al cristianesimo, non possono entrare dalla porta principale in alcune chiese in India.
Amen – l’autobiografia di una suora” (Amen – the autobiography of a nun”, Penguin Books India, 2009) è il libro scritto da una suora, Sr. Jesme, nel quale lei parla della sua decisione di rinunciare alla sua vocazione e denuncia i diversi mali che affliggono la chiesa cattolica in India, compreso lo sfruttamento sessuale delle suore da parte dei preti e dei vescovi. In questo libro lei parla anche delle discriminazioni basate sulle caste anche tra le suore:
Primo che entrassi nel convento negli anni settanta, vi erano discriminazioni delle caste anche tra le suore. Le suore meno educate e con meno privilegi erano quelle che appartenevano alle classi più basse, e esse seguivano percorsi formativi diversi dalle altre suore sotto la tutela di suore specifiche. Queste suore tutor, anche esse dalle classi basse, sono diverse dalle cheduthies, anche se esse hanno preso i tre voti della povertà, castità e obbedienza e portano l’abito delle suore. Queste suore non possono sedersi sulle sedie accanto alle loro consorelle, ma devono sedersi sui propri “bauli”. Esse lavorano soprattutto nelle cucine, nell’accoglienza, nei campi e nei cortili. Poi, quando ho iniziato, alcune di queste distinzioni sono diventate meno evidenti, ma esse restano ancor’oggi nelle menti delle suore. Così vi sono suore della pelle chiara e le suore della pelle scura.
Il secondo esempio riguarda i sikh. Qualche settimana fa, un gruppo di sikh appartenenti alle “caste alte” è entrato in Guruduara (tempio sikh) di Vienna e hanno sparato ai fedeli radunati dentro, perché questi erano “sikh delle basse caste”, e venti persone sono morte. Nello stato di Punjab in India, vi sono scoppiati disordini, durante i quali sono stati altre morti.
In un articolo scritto da Sujata Parmita intitolato, “Nafrat ke Bige” (I semi dell’odio) uscito sul quotidiano Jansatta l’11 giugno 2009, si parla di questa situazione e le regole di comportamento descritte nel loro libro sacro, “Guru Granth Saheb”:
E’ difficile trovare spiegazioni così chiare e inequivocabili del principio di eguaglianza in un libro sacro. Ma la verità è che le realtà sociali non coincidono con le realtà religiose. Nella religione dei sikh, non vi sono caste e vi sono chiare e forti istruzioni per rifiutare caste e riti superstiziosi. … Ma come l’induismo, anche la società sikh è piena di disuguaglianze sociali e religiose, e così sono presenti le discriminazioni basate sulle caste… Il controllo dei templi principali, delle terre e del potere è tutto nelle mani dei sikh Jaat (di alte caste). Anche dopo la conversione religiosa, i sikh di origine dalit (di basse caste), essi non hanno uguali diritti e non godono di rispetto. Le persone che volevano sfuggire all’oppressione delle caste, e rinunciano alla religione indù, sperano in un ordine sociale senza caste e quando esse chiedono la dignità, sono bersagliati di insulti e di violenza.
L’urbanizzazione e il progresso economico rendono il peso delle discriminazioni basate sulle caste meno pesanti nelle città, ma la situazione nelle aree rurali fa fatica a cambiare. La democrazia popolare, praticata a livello comunitario nei villaggi, è spesso controllata dalle caste alte e diventa un altro strumento di discriminazione. Speso sono i consigli comunitari nei villaggi a decidere le norme sociali basate sul sistema delle caste.
Qualche giorno fa, per la prima volta nella storia indiana, una signora di origine dalit, signora Meira Kumar, è diventata il presidente della camera bassa del parlamento indiano. India ha già avuto anche un presidente dalit. In uno degli stati della federazione indiana, il partito dei dalit ha formato il governo. Vi sono leggi affermative nazionali per aiutare le persone dalit delle caste basse a migliorare la propria situazione educativa e economica, ma dopo 60 anni dell’indipendenza, la strada da fare per superare lo scoglio delle caste resta ancora lunga.
Il sistema delle caste era presente in altre società, come nel Giappone medievale, dove gruppi di persone che si occupavano di lavori più umili, erano considerati i paria, ma il Giappone è riuscito a cambiare questo sistema. Forse, in India, dobbiamo studiare questi altri paesi per capire come sono riusciti a cambiare questa situazione, so vogliamo superare questo retaggio del passato che ha permeato tutti gli strati della società.

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