sabato 30 agosto 2008

Il Mondo Stretto

L’altro giorno (28 agosto’08) sul Bologna c’era una lettera che parlava di danni alla sua macchina perché considerata “troppo ingombrante”. Inizia la sua lettera con “premetto che non possiedo una ferrari nè tantomeno una mega SUV, ma una più modesta Fiat multipla”, e poi racconta il suo dramma. Non riesce a mettere la sua macchina dentro il suo garage o nel parcheggio condominiali, date le sue dimensioni, e se lo lascia fuori trova spesso che la macchina è stata presa di mira e danneggiata.

Sullo stesso giornale, c’era anche un articolo di Patrizio Dimitri, “Incubo di una notte d’estate”. Sig. Dimitri, docente di Genetica all’università La Sapienza, scrive di una sua esperienza, “Guardo nello specchietto retrovisore e metto a fuoco un mutante che mi sta alle calcagna con il suo Suv e suona il clacson senza darmi tregua. Mi fermo prima delle strisce pedonali per far passare due vecchiette e una coppia con passeggino. L’energumeno ha cranio rasato, epidermide timbrata, occhiali scuri dove si mimetizza l’espressione muta dei bulbi oculari. Vuole superarmi a destra ad ogni costo, anche rischiando di stendere sull’asfalto bollente un tappeto di ossa e carne maciullata. .. E’ costretto a inchiodare, urla e gesticola, i pedoni attraversano e sono finalmente in salvo. Poi il mutante sgomma, invade la corsia opposta, mi manda a fanculo e se ne va.”

Mi piace l’immagine del mutante con l’epidermide timbrata che mi fa pensare ad una scena da uno dei film della serie Guerre Stellari dove in un bar tanti tipi diversi bevono qualcosa e scherzano tra di loro. Comunque, nonostante l’estremismo dell’esempio raccontato da Dimitri, si riconosce qualche tratto di tanti padroni dei Suv che sempre di più occupano le strade strette ed i parcheggi che non bastano mai.

Ogni volta che riunisce la nostra assemblea del condominio, vi sono litigi continui sulla questione parcheggio ma ogni anno abbiamo nuove Suv che si aggiungono e lottano per il lo spazio nel sempre più stretto parcheggio. Stanno lì nella loro imponenza, togliendo spazi ai due lati. Fin’ora ogni volta ci pensavano finivo con un senso di irritazione. Ora forse proverò un po’ di compassione. E’ vero che ogni tanto i padroni di questi fuori classe, invadono le aiuole o spazi dove devono passare le carrozzine perché non trovano altro spazio, ma sicuramente qualche volta saranno costretti a parcheggiare fuori da qualche parte perché queste macchina non stanno dentro i garage e i tutti gli altri spazi aperti del parcheggio condominiale, compreso le aiuole, sono occupati.

Parlano continuamente del prezzo della benzina, del prezzo del pane che aumenta, dei rifiuti che non si sa dove seppellire o dove incenerire, del riscaldamento del pianeta Terra e poi, parlano anche di questi imballaggi infiniti, la crescita di “usa e butta”, il traffico che sembra impazzito. Intanto si fa la pubblicità per comprare le nuove Suv “fatte su misura per le città”, perché ormai si sa che le città sono una giungla! Viviamo in un mondo schizofrenico.

mercoledì 20 agosto 2008

Telecom Italia e Mahatma Gandhi

Mi aveva incuriosito la pubblicità di Telecom che parlava del ritrovamento della registrazione audio del discorso fatto da Gandhi a Nuova Delhi il 14 aprile 2008, all’occasione di un incontro dei governi asiatici. Questa pubblicità invitava di visitare il sito di A Voi Comunicare, il 15 agosto 2008.

Il 15 agosto è Ferragosto, ma è anche il giorno dell’indipendenza dell’India. Quest anno, India indipendente ha compiuto 61 anni.


Proprio in questi giorni ho letto cose importanti su Mahatma Gandhi, sopratutto le 3 relazioni di Narayan Desai, il figlio di Mahadev Desai, segretario di Gandhi. Non conosco bene Narayan Desai anche se era un amico di papà. Invece conosco molto meglio suo figlio, Aflatoon (Aflu), che è diventato quasi un parente quando ha sposato l’ex-moglie di un cugino. Per molti anni, non avevo fatto il collegamento che il papà di Aflu era "quel Narayan Desai", cresciuto nel ashram di Mahatma Gandhi, il bambino che si vede in alcune foto storiche. Sono rimasto affascinato dalle relazioni di “Narayan bhai”, fratello Narayan, perché parlano della grandezza della persona di Gandhi e delle sue idee, nella sua dimensione umana con tutti i suoi difetti e le sue difficoltà, senza cercare di mitificarlo. Narayan bhai è l’autore della biografia di Gandhi in quattro volumi.


Il mondo di dibattito in lingua hindi sull’internet offre molte opportunità di conoscere questo tipo di discussioni tra i seguaci di Gandhi, dove c’è molto fermento ma anche un modo di ragionare molto diverso da quello che trovo in altre lingue, a partire dall’inglese. Le discussioni indiane sono più complesse e globali sulla figura di Gandhi e dei suoi insegnamenti, mentre penso che spesso le discussioni in occidente sulla figura di Gandhi restano unidimensionali e focalizzano su alcuni aspetti come la non violenza e la pace.

Invece non avevo notato discussioni particolari riguardo questo “ritrovamento della registrazione audio” in questo mondo indiano di seguaci di Gandhi, a parte una breve notizia su qualche portale indiano di lingua hindi. Forse ciò dipende dalla disponibilità di enorme mole di scritti e di relazioni di Gandhi in lingua hindi, per cui il ritrovamento di un’altra sua relazione non li sembra una cosa così fondamentale? In mondo anglofono, si esprime particolare interesse verso questa registrazione audio “perché era stata registrata soltanto 10 mesi prima del suo assassinio”, mentre per il mondo che capisce hindi, ciò non è particolarmente significativo perché si possono leggere le ultime relazioni del Mahatma durante gli incontri di preghiera a Birla Bhawan a Nuova Delhi, fino alla sera della sua morte. In ogni caso, questo testo non era “perso”, era già conosciuto, per cui forse è anche per questo che non ne hanno parlato molto in India.

Comunque è interessante leggere la trascrizione della relazione di Gandhi perché quella era una delle poche volte quando aveva parlato in inglese. Penso che la lingua influisce molto sul quello che devi dire e non soltanto su come lo dici.

Linguaggio di Gandhi: La prima cosa che colpisce di questo testo è proprio il suo linguaggio. Il testo è stato tradotto in italiano in collaborazione con Tara Gandhi Bhattacharjee, la nipote di Gandhi, la quale aveva studiato e poi vissuto a lungo a Roma.

Hanno scelto di non appesantire il discorso di Gandhi, con i commenti e le annotazioni a pie di pagina, che è una scelta condivisibile anche se ciò lo rende un po’ più difficile da capire.

La cosa che salta fuori subito è la semplicità del discorso. Sembra che Gandhi sta parlando ai bambini in maniera informale. All’inizio è preoccupato se le persone in fondo possono sentire la sua voce, “Se la mia voce non vi giunge, non è colpa mia, ma colpa degli altoparlanti.” Poco dopo confessa candidamente che non ha avuto tempo di preparasi la sua relazione, che aveva cercato di mettere giù per scritto i suoi pensieri ma poi ha dimenticato quel pezzo di carta da qualche parte. Appare chiara subito la sua volontà di non assumere il ruolo di grande statista o oratore. Anzi è di un’umiltà disarmante.

Tuttavia, è un discorso che tocca i cuori nella sua semplicità. E’ un messaggio di amore, lui ribadisce e dice, “Voglio catturare i vostri cuori e non voglio i vostri applausi. Fatte battere i vostri cuori in unisono con le mie parole, e io credo che il mio lavoro sarà compiuto.” L’immagine di cuori che battono in unisono è fortemente evocativo e emozionante.

Contesto del messaggio: Gandhi che parlò alla riunione dei capi di governo dei paesi asiatici in quell’aprile 1947 era una persona messa da parte perché la sua insistenza sui grandi principi non era visto come qualcosa di praticabile. I grandi leader politici indiani, Nehru e Jinnah, ormai l’avevano escluso dalle discussioni pratiche per la divisione dell’India per la creazione del Pakistan, e dalle discussioni per la formazione del nuovo governo dell’India indipendente.

In quei giorni, i disordini religiosi tra gli indù e i musulmani erano ormai quotidiani in diverse parti dell’India. Lega Musulmana aveva lanciato violenti disordini nel Bengala tra agosto e settembre 1946 perché tramite i disordini volevano convincere gli inglesi che convivenza pacifica con gli indù era impossibile e che dovevano dividere l’India in due parti. Quando le prime notizie di questi disordini erano arrivate a Mahtama Gandhi lui era partito immediatamente per Calcutta e in periodo di 7 settimane aveva camminato 116 miglia nei villaggi per cercare di convincere le persone di vivere in pace.

Il 15 agosto 1947 quando l’India fu dichiarata indipendente, Gandhi era a Calcutta lontano dal parlamento di Delhi e dalle celebrazioni. Ramnath Guha, lo storico indiano racconta nel suo libro, “India after Gandhi” (India dopo Gandhi), la sera prima il 14 agosto 1947, governatore del Bengala visitò Gandhi per chiedergli come celebrare l’indipendenza dell’India a Calcutta e Mahatma gli aveva risposto secco, “Persone stanno morendo di fame, vuoi organizzare feste in mezzo a questa devastazione?

Due anni prima, gli Stati Uniti avevano distrutto Hiroshima e Nagasaki con le bombe atomiche. Le parole di Gandhi alla riunione internazionale portano il peso di quel bombardamento.

Badshah Khan: Nel suo discorso Gandhi nomina Badshah Khan (Abdul Gaffar Khan), leader della provincia occidentale Balucistan (North West Frontier province, della futura Pakistan), grande amico e seguace del Mahatma, conosciuto anche con il nome di Frontier Gandhi, Gandhi della frontiera. Forse era un tentativo di dimostrare che non tutto il mondo musulmano voleva la divisione dell’India.

L’etnia pashtun che vive nel Pakistan occidentale e in Afghanistan, non voleva diventare parte del Pakistan, ma loro non avevano avuto la possibilità di influenzare le decisioni degli inglesi. Mi ricordo un incontro con Badshah Khan. Era venuto dal Pakistan e aveva tenuto un discorso nel giardino della casa di Ram Manohar Lohia, il leader socialista, in Gurudwara Rakab Ganj Road a Nuova Delhi. Non mi ricordo che cosa aveva detto, ero un bambino e anche se mi affascinava la sua figura alta con i cappelli bianchi, una faccia molto tenera e la pelle chiara, ero troppo preso dai giochi per starli ad ascoltarlo.

Recentemente editore Sonda ha pubblicato la traduzione italiana del libro di Eknath Easwaran, “Badshah Khan, il Gandhi musulmano” (2008).

Le parole non appropriate: Nel suo discorso, Gandhi aveva usato anche parole come Bhangi per parlare delle persone più povere ed emarginate. Oggi usare una parola del genere sarebbe considerato un crimine e contro la dignità umana. Bhangi è una delle caste del gruppo delle persone considerate intoccabili.

Spesso quando si parla di caste in occidente, sembra che siano dei gruppi omogenei, e non si coglie la complessità del sistema delle caste in India. Ogni casta è composta da molti sottogruppi organizzati in complessi sistemi di gerarchie. Tra le caste considerate intoccabili, vi sono diversi gruppi di persone che fanno lavori manuali, come – i kumhar (quelli che lavorano con la terra per costruire vasi e piatti), i ciamar (quelli che lavorano con la pelle), i moci (i calzolai), ecc. I bhangi (pronunciato bhanghi) sono il gruppo più intoccabile tra gli intoccabili, né anche gli altri intoccabili vogliono avvicinarli, perché sono persone che lavorano con gli escrementi umani, puliscono i gabinetti e con le mani nude portano via gli escrementi.

Gandhi stesso aveva trovato una nuova parola per parlare degli intoccabili, i harijan (il popolo di Dio). Non so perché aveva voluto usare la parola bhangi in questa relazione, forse per dire con chiarezza che parlava degli ultimi degli ultimi?

Pensavo che oggi nessuno deve più fare questo tipo di mestiere, di dover portare sulla propria testa gli escrementi umani, ma recentemente ho letto racconti di persone che lavorano nei villaggi e che parlano che questa pratica ancora continua sessant anni dopo l’indipendenza. Dall’altra parte, le persone delle diverse caste degli intoccabili, che oggi preferiscono chiamarsi i Dalit (i calpestati) hanno oggi una valenza politica importante e non possono essere lasciate da parte. India ha già avuto un presidente da questo gruppo e oggi nello stato più popoloso dell’India, l’Uttar Pradesh, il primo ministro del governo statale, sig.ra Mayawati è una Dalit, proveniente dal gruppo dei ciamar.

Il nocciolo del discorso di Gandhi: Questo discorso è stato criticato da qualcuno perché parla di una “vittoria” dell’Asia sull’occidente.

Penso invece che in questo discorso Gandhi ricordava i paesi asiatici di non dimenticare i propri valori basati sui principi antichi, ispirati da una visione non materialistica del mondo. Il pensiero razionale occidentale con il potere dello sviluppo scientifico e industriale degli ultimi 3-4 cento anni ha ormai conquistato il mondo e tutti gli altri modi di ragionamento stanno scomparendo.


Forse ho letto il messaggio di Gandhi pensando alla crescita del consumismo sfrenato e la distruzione dell’ambiente degli ultimi cinquant anni, e magari nell’aprile 1947 lui non poteva sapere che il mondo sarebbe diventato così, ma penso che esistono altri modi di ragionare oltre al pensiero razionale e scientifico occidentale e che questi modi di ragionamento inclusivo hanno dato luogo a maggior parte delle figure religiose del mondo, i quali parlavano di amore, di pace e di fratellanza, e bisogna assicurare che questi messaggi continuano ad essere vivi e non sopraffatti dal pensiero occidentale che si basa sulla razionalità, sulla differenza tra io e gli altri, sulla superiorità di un gruppo sugli altri.

Gandhi e Telecom: Gandhi parlava sempre di vivere con poco, il valore dei villaggi autosufficienti, l’importanza di vivere in armonia con la natura. Che cosa avrebbe pensato lui dell’uso del suo nome per promuovere un’azienda, che promuove comunicazione e rapporti tra le persone, ma è anche un mondo di consumismo e di profitto? Due industriali indiani, Birla e Bajaj, erano tra i stretti collaboratori di Gandhi. Quando lui fu assassinato, parlava nel centro di preghiera costruito dal industriale Birla.

Personalmente non trovo giusto i tentativi di demonizzare le industrie. Senza le industrie e il commercio, non ci sarebbe la qualità della vita che conosciamo, non ci sarebbe benessere del lavoro e non potrà sconfiggere la povertà e la fame. Ma bisogna assicurare che le industrie e i commercio trovi un equilibrio, dove la natura e tutti gli esseri siano rispettati, dove i lavoratori siano tratti giustamente e dove il profitto sia ragionevole. Penso anche che la responsabilità sociale delle aziende sia importante, ma confesso di non saperne molto e istintivamente ho paura della “responsabilità sociale” come uno dei mezzi di marketing perché migliora l’immagine per poter vendere di più.

In questo senso non credo che le aziende diventeranno “giuste” per conto proprio e penso che un regolamento e controllo dello stato sia fondamentale. Se invece parliamo delle aziende multinazionali guidate soltanto dai profitti e da una massa di azionisti e contano soltanto i ritorni sui loro investimenti, allora i miei dubbi crescono.

Ma non riesco ad immaginare cosa ne avrebbe pensato Gandhi che il suo discorso sia utilizzato da Telecom, magari per promuovere una riflessione sui valori di messaggi importanti per l’umanità, ma anche per promuovere la propria immagine! Gandhi aveva questa capacità continua di sorprendere e di cambiare. Se veramente lui fosse presente oggi, come avrebbe ragionato?

Nota: Le foto di Mahadev Desai e Gandhi in questo articolo sono tutte dal sito della rivista indiana Outlook.

domenica 17 agosto 2008

E’ Arrivato Bollywood

Se vi piacciono i film di Bollywood allora forse vi siete già accorti che in questi giorni, ogni sabato in prima serata, su Rai 1 c’è un film di Bollywood (ciclo "Amore con turbante").



Non so quando è iniziato questo ciclo di film indiani su Rai 1. Ho visto il primo film “Senza Zucchero” (Cheeni Kum) il 9 agosto sera e poi, ieri 16 sera, c’era “Io e te: confusione d’amore” (Hum tum). Non so fino a quando proseguirà questo festival. Sul sito di Rai 1 ho cercato in vano per trovare qualche informazione. Forse agosto è un mese morto per i programmi televisivi e forse non si ha grandi aspettative da questi film, o magari le informazioni vi sono ma non sono riuscito a trovarle!

In ogni caso penso che sia un’idea grandiosa. Bollywood è ormai riconosciuto come un fenomeno. In Inghilterra, America e Australia, ogni tanto qualche film indiano riesce ad entrare nella classifica dei film più visti, magari al decimo posto, ma comunque inizia ad avere una sua rilevanza economica.

In Italia, la comunità indiana non è molto grande ma se mettiamo insieme le persone provenienti da Bangladesh, Pakistan e Sri Lanka, tutti paesi dove si guardano anche i film di Bollywood, allora un bacino importante di emigrati esiste per questi film, oltre agli spettatori italiani.

In questo senso penso che i film possono essere un ponte per promuovere integrazione. Spesso gli adulti in queste famiglie non guardano la TV italiana e non sanno parlare bene l’italiano, mentre i ragazzi che frequentano la scuola in Italia crescono diversamente. Penso che queste persone adulte possono avvicinarsi all’italiano tramite i film dei loro paesi.

La cultura odierna in Italia esprime immagini e giudizi fortemente negativi verso gli emigrati. Quando si parla in maniera indiscriminata degli emigrati come ladri e criminali, ferisce tutte le persone, anche quelle che vivono e lavorano in Italia da molti anni. Per questi ragazzi d’origine straniera che crescono in Italia, è atroce scoprire che il paese che considerano come il proprio, li giudica come esseri spregevoli tramite i mass media.

Invece, accettare e valorizzare queste diversità significa migliorare l’integrazione di questi ragazzi. In questo senso, penso che il servizio pubblico italiano dovrebbe fare uno sforzo in più per portare e presentare i prodotti culturali di paesi presenti in Italia, come le Filippine, il Cina, i paesi del mediterraneo, Africa del nord.



Per tornare ai film di Bollywood su Rai 1, non so se la scelta di doppiare questi film in italiano sia la scelta migliore. E’ vero che in Italia non esiste una cultura dei film in altre lingue con i sottotitoli, tutto deve essere doppiato in italiano. Ma forse il doppiaggio di questi film richiede la capacità di immedesimarsi in un’cultura lontana dalla cultura occidentale e forse quella manca di esperienza. In fatti mentre guardavo i due film, qualche volta avevo l’impressione che i doppiatori non erano convinti delle parole che dicevano, e le loro voci erano caricature di quello che loro pensavano il modo di esprimere indiano. Forse è stata soltanto una mia sensazione e nessun altro se ne è accorto, ma delle volte mi metteva a disagio!

L’altra questione che mi ha colpito è la scelta di tagliare tutte le canzoni da questi film (tranne le canzoni di sottofondo). E’ vero che i film indiani sono troppo lunghi e con le pause pubblicitarie, dureranno troppo. E’ altrettanto vero che spesso le canzoni servono soltanto per accentuare le emozioni di un momento e toglierle non toglie elementi essenziali dal film. Dall’altra parte, le canzoni, la musica e le danze sono fattori importanti e integrali della cultura comunicativa di Bollywood, e tagliarli del tutto mi sembra un’operazione di chirurgia ricostruttiva per renderli più vicini ai film occidentali, ma disabili.



Per esempio, nel film di ieri, “Io e te: Confusione d’amore”, la scena verso la fine quando Ria (Rani Mukherjee) viene a prendere Karan (Saif Ali Khan) mentre lui si ubriaca insieme ad un gruppo di persone, continuava con una canzone che li portava alla spiaggia dove facevano l’amore. Secondo me, quella canzone si poteva lasciare con i sottotitoli per capire meglio il momento clou del film, e toglierlo ha reso il film un po’ meno comprensibile. Anche per la canzone girata a Parigi, dove karan cerca di far sorridere una Ria dipressa e malinconica, era importante per lo stesso motivo e secondo me non doveva essere tagliata.

Comunque queste sono piccole critiche e sono proprio contento che Rai 1 ha deciso di ospitare questo ciclo di film. Non so cosa faranno vedere il prossimo sabato sera, se il festival si è già concluso o se continuerà, ho le dita incrociate.

giovedì 14 agosto 2008

Mio Sogno

Leggevo un articolo che parlava male dei musulmani e della loro idea di costruire la nuova moschea a Bologna, e ho pensato al mio sogno.

Sogno un grande spazio. Un enorme spazio che si chiama “Casa della Umanità” o si chiama, “Casa di Dio”. Dentro questo spazio persone di tutte le religioni possono riunirsi, pensare, meditare e pregare. Cattolici, protestanti, ortodossi, ebrei, musulmani, indù, buddisti, parsi, sikh, giani, ma anche atei e quelli che pensano che la religione sia qualcosa di negativo. La domenica può essere il giorno per i cristiani, sabato per gli ebrei, venerdì per i musulmani, martedì per gli indù, lunedì per i parsi, e così via. E se lo stesso giorno è sacro per due o tre religioni diverse, questi si faranno le loro preghiere uno dopo l’altro o insieme o a turno. Anche gli atei avranno il loro turno e potranno pensare a Gandhi, a Martin Luther King, a Newton, o a Sabrina Ferrilli o a Raoul Bova, se vorranno. Quelli contro le religioni, potranno discutere e criticare Rama, Krishna, Zarathustra, Gesu o Maometto o altri. Si potrà ragionare su quello che dicono i vari libri sacri e quello che dice la dichiarazione universale sui diritti dell’uomo. Potrai imparare gli inni e le preghiere di tutte le religioni che vorrai.

Sogno questo grande spazio.

sabato 2 agosto 2008

Poeti e Assassini

Eravamo in una pizzeria vicino al lungomare di Rimini e parlavamo delle torture. Delle torture “normali”, tipo quello che possono subire i bambini che si trovano chiusi dentro le istituzioni, compreso le istituzioni gestite dalle suore. Delle torture un po’ meno “normali”, tipo quelli che occupano le prime pagine dei giornali come i fatti delle prigioni di Abu Gharaib controllati dai militari americani.

La domanda era, perché le persone apparentemente normali si rivelano sadiche e non molto normali? La seconda domanda era più personale, sarei stato capace di torturare gli altri se mi trovavo in quelle situazioni?

Ci avevo pensato e avevo concluso di si. Si, forse anch’io ero capace di comportarmi come alcune suore negli istituti o alcuni militari nelle prigioni.

Penso che trovarsi in condizioni di forti squilibri di potere, dove hai la “responsabilità” di prendere decisioni che riguardano i soggetti più deboli, dove ti trovi in un “branco” che garantisce sostegno reciproco, dove puoi contare sullo silenzio dei compagni, possono favorire che elementi sadici “normali” della tua personalità trovano un’espressione. Penso anche che se situazioni del genere durano per lunghi periodi, forse è più facile che ciò succederà prima o poi.

Alla fine non c’è differenza tra il bambino che innocentemente tira le ali di una farfalla per vedere come è fatta, senza rendere conto che sta torturando un essere vivente e la persona che picchia un debole, perché è stanca e stressata, o perché ha bisogno di uno sfogo o perché è annoiata o perché è così che vuole fare?

Qualche mese fa all’assemblea dell’Organizzazione Mondiale della Salute, Monsignor Desmond Tutu, ex-vescovo sud africano e vincitore del premio nobel per la pace, aveva detto, “I responsabili dell’olocausto erano persone normali, non avevano né corna né code. Il male sta dentro di noi.” Poi parlando della commissione della verità e della riconciliazione sud africana aveva detto, “Ma allo stesso momento, è incredibile che nonostante tutte le sofferenze e le torture, tanti esseri umani sono capaci di perdono.”

Angeli e demoni entrambi convivono dentro di noi, e dipende soltanto dalle circostanze cosa verrà fuori? Qualcosa dipenderà dalla nostra personalità, ma forse qualcosa dipende anche dalle esperienze, dall’età e dalla maturazione dei singoli, così quando ci troviamo a dover prendere delle decisioni, scegliamo a comportarci con amore, dignità e onore?

Crescere in un paese come l’India, impari presto che torture e morti nelle prigioni sono cose normali. Che i “criminali” o i “sospetti criminali” siano picchiati e torturati per ottenere le confessioni, o che siano uccisi in “encounter” perché in ogni caso “la giustizia è troppo lunga e poi questi criminali riescono sempre a farla franca”, sono ragionamenti “normali” e spesso condivisi.

Ma l’Italia è diversa? Basta leggere i racconti di quello che era successo alla scuola Diaz o a Bolzaneto a Genova nel 2001, e poi guardare il sondaggio nel magazine di Corriere della Sera sulle condanne ai poliziotti responsabili. Non mi ricordo bene, ma mi era sembrato che circa l’80% di italiani non approva e condivide queste condanne! Forse è tutta colpa della tv che ci instupisce e non fornisce informazioni, così la maggior parte degli italiani non sanno quello che era successo? o non hanno letto questi racconti perché erano troppo sgradevoli e nauseanti? o pensano che è giusto agire così contro i “no global” e altri criminali vari?

E perché la polizia si è comportata così? Immagino che se si può parlare con le loro famiglie, con i loro figli, diranno che il loro papà è una persona per bene, ogni tanto va alla messa, ma è contro l’aborto e contro la pena di morte. Magari scrive anche delle poesie nel suo tempo libero.

Nell’Internazionale (754, 25/31 luglio 2008), c’è l’editoriale di Slavenka Drakulic sul arresto di Radovan Karadzic, dove lei racconta di un documentario nella quale Karadzic aveva invitato un ospite russo a provare a sparare di sparare su Sarajevo da una mitragliatrice, e scrive:
“Com’è possibile che intellettuali, poeti e psichiatri come Karadzic facessero cose del genere? Ci ho messo un po’ a capire che questa era la domanda sbagliata. E’ sbagliata perché da per scontato che le persone educate, gli artisti, abbiano standard morali superiori a quelli dei comuni mortali. Spesso non è vero. ... La nostra prima reazione è quella di definire “mostri” Radovan Karadzic, Ratko Mladic e Slobodan Milpsevic, perché è il modo più facile di sfuggire al terribile pensiero che anche noi potremmo compiere delle atrocità.”



E quando la violenza fa parte del sistema e serve a “difenderci”, facciamo fatica a vederla. Diventa normale.

venerdì 1 agosto 2008

Rifiuti di Napoli: Lettera di Alex Zanotelli

"Carissimi, è con la rabbia in corpo che vi scrivo questa lettera dai bassi di Napoli, dal Rione Sanità nel cuore di quest'estate infuocata. La mia è una rabbia lacerante perché oggi la Menzogna è diventata la Verità. Il mio lamento è così ben espresso da un credente ebreo nel Salmo 12: " Solo falsità l'uno all'altro si dicono: bocche piene di menzogna, tutti a nascondere ciò che tramano in cuore. Come rettili strisciano, e i più vili emergono, è al colmo la feccia."

Quando, dopo Korogocho, ho scelto di vivere a Napoli , non avrei mai pensato che mi sarei trovato a vivere le stesse lotte. Sono passato dalla discarica di Nairobi, a fianco della baraccopoli di Korogocho alle lotte di Napoli contro le discariche e gli inceneritori.Sono convinto che Napoli è solo la punta dell'iceberg di un problema che ci sommerge tutti.Infatti, se a questo mondo, gli oltre sei miliardi di esseri umani vivessero come viviamo noi ricchi (l'11% del mondo consuma l'88% delle risorse del pianeta!) avremmo bisogno di altri quattro pianeti come risorse e di altro quattro come discariche ove buttare i nostri rifiuti.

I poveri di Korogocho, che vivono sulla discarica, mi hanno insegnato a riciclare tutto, a riusare tutto, a riparare tutto, a rivendere tutto, ma soprattutto a vivere con sobrietà. E' stata una grande lezione che mi aiuta oggi a leggere la situazione dei rifiuti a Napoli e in Campania, regione ridotta da vent'anni a sversatoio nazionale dei rifiuti tossici.Infatti esponenti della camorra in combutta con logge massoniche coperte e politici locali, avevano deciso nel 1989, nel ristorante "La Taverna" di Villaricca", di sversare i rifiuti tossici in Campania.Questo perché diventava sempre più difficile seppellire i nostri rifiuti in Somalia. Migliaia di Tir sono arrivati da ogni parte di Italia carichi di rifiuti tossici e sono stati sepolti dalla camorra nel Triangolo della morte (Acerra-Nola- Marigliano), nelle Terre dei fuochi (Nord di Napoli) e nelle campagne del Casertano. Questi rifiuti tossici "bombardano" oggi, in particolare i neonati, con diossine, nanoparticelle che producono tumori, malformazioni, leucemie.

Il documentario Biutiful Cauntri esprime bene quanto vi racconto. A cui bisogna aggiungere il disastro della politica ormai subordinata ai potentati economici-finanziari.Infatti questa regione è stata gestita dal 1994 da 10 commissari traordinari per i rifiuti,scelti dai vari governi nazionali che si sono succeduti. In 15 anni i commissari straordinari hanno speso oltre due miliardi di euro, per produrre oltre sette milioni di tonnellate di "ecoballe", che di eco non hanno proprio nulla : sono rifiuti tal quale, avvolti in plastica che non si possono nè incenerire, né seppellire perché inquinerebbero le falde acquifere. Buona parte di queste ecoballe, accatastate fuori la città di Giugliano, infestano con il loro percolato quelle splendide campagne denominate "Taverna del re".

E così siamo giunti al disastro! Oggi la Campania ha raggiunto gli stessi livelli di tumore del Nord-Est, che però ha fabbriche e lavoro.Noi, senza fabbriche e senza lavoro, per i rifiuti siamo condannati alla stessa sorte. Il nostro non è un disastro ecologico -lo dico con rabbia- ma un crimine ecologico, frutto di decisioni politiche che coprono enormi interessi finanziari. Ne è prova il fatto che Prodi, a governo scaduto, abbia firmato due ordinanze:una che permetteva di bruciare le ecoballe di Giugliano nell'inceneritore di Acerra, l'altra che permetteva di dare il Cip 6 (la bolletta che paghiamo all'Enel per le energie rinnovabili) ai 3 inceneritori della Campania che "trasformano la merda in oro -come dice Guido Viale- Quanto più merda, tanto più oro!".

Ulteriore rabbia quando il governo Berlusconi ha firmato il nuovo decreto n.90 sui rifiuti in Campania. Berlusconi ci impone, con la forza militare, di costruire 10 discariche e quattro inceneritori. Se i 4 inceneritori funzionassero, la Campania dovrebbe importare rifiuti da altrove per farli funzionare. Da solo l'inceneritore di Acerra potrebbe bruciare 800.000 tonnellate all'anno! E' chiaro allora che non si vuole fare la raccolta differenziata, perché se venisse fatta seriamente (al 70 %), non ci sarebbe bisogno di quegli inceneritori. E' da 14 anni che non c'è volontà politica di fare la raccolta differenziata. Non sono i napoletani che non la vogliono, ma i politici che la ostacolano perché devono ubbidire ai potentati economici-finanziari promotori degli inceneritori. E tutto questo ci viene imposto con la forza militare vietando ogni resistenza o dissenso, pena la prigione. Le conseguenze di questo decreto per la Campania sono devastanti. "Se tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge (articolo 3 della Costituzione), i Campani saranno meno uguali, avranno meno dignità sociale-così afferma un recente Appello ai Parlamentari Campani Ciò che è definito "tossico" altrove, anche sulla base normativa comunitaria, in Campania non lo è; ciò che altrove è considerato "pericoloso"qui non lo sarà. Le regole di tutela ambientale e salvaguardia e controllo sanitario, qui non saranno in vigore. La polizia giudiziaria e la magistratura in tema di repressione di violazioni della normativa sui rifiuti, hanno meno poteri che nel resto d'Italia e i nuovi tribunali speciali per la loro smisurata competenza e novità, non saranno in grado di tutelare, come altrove accade, i diritti dei Campani ...

Per questo sono andato con tanta indignazione in corpo all'inceneritore di Acerra, a contestare la conferenza stampa di Berlusconi, organizzata nel cuore del Mostro, come lo chiama la gente. Eravamo pochi, forse un centinaio di persone. (La gente di Acerra, dopo le botte del 29 agosto 2004 da parte delle forze dell'ordine,è terrorizzata e ha paura di scendere in campo). Abbiamo tentato di dire il nostro no a quanto stava accadendo.Abbiamo distribuito alla stampa i volantini :"Lutto cittadino.La democrazia è morta ad Acerra.Ne danno il triste annuncio il presidente Berlusconi e il sottosegretario Bertolaso." Nella conferenza stampa (non ci è stato permesso parteciparvi!) Berlusconi ha chiesto scusa alla Fibe per tutto quello che ha "subito" per costruire l'inceneritore ad Acerra! (Ricordo che la Fibe è sotto processo).Uno schiaffo ai giudici! Bertolaso ha annunciato che aveva firmato il giorno prima l'ordinanza con la Fibe perché finisse i lavori! Poi ha annunciato che avrebbe scelto con trattativa privata, una delle tre o quattro ditte italiane e una straniera, a gestire i rifiuti.Quella italiana sarà quasi certamente la A2A ( la multiservizi di Brescia e Milano) e quella straniera è la Veolia, la più grande multinazionale dell'acqua e la seconda al mondo per i rifiuti. Sarà quasi certamente Veolia a papparsi il bocconcino e così, dopo i rifiuti, si papperà anche l'acqua di Napoli.Che vergogna! E' la stravittoria dei potentati economici-finanziari, il cui unico scopo è fare soldi in barba a tutti noi che diventiamo le nuove cavie. Sono infatti convinto che la Campania è diventata oggi un ottimo esempio di quello che la Naomi Klein nel suo libro Shock Economy, chiama appunto l'economia di shock! Lì dove c'è emergenza grave viene permesso ai potentati economico-finanziari di fare cose che non potrebbero fare in circostanze normali. Se funziona in Campania, lo si ripeterà altrove. (New Orleans dopo Katrina insegna!)...

Non abbandonateci. E' questione di vita o di morte per tutti. E' con tanta rabbia che ve lo scrivo. Resistiamo!".
Padre Alex Zanotelli, Napoli, 12 luglio 2008

martedì 29 luglio 2008

Amitav Ghosh sulla Birmania

In India è uscito il nuovo libro di Amitav Ghosh, The Sea of Poppies (Il mare dei papaveri). Ne avevo già parlato poco tempo fa. Dopo pochi giorni ho scelto di tornare a parlare di Ghosh, anche perché è tra i miei scrittori preferiti.

In occasione dell'uscita del suo nuovo libro, Rediff.com ha pubblicato un’intervista molto interessante con Ghosh, fatta da Bijoy Venugopal. Se conoscete l’inglese e vi piace Amitav Ghosh, vi consiglio di leggere questa intervista.

Come sempre, Ghosh è schietto e chiaro, non cerca di nascondersi dietro i giri di parole. Il libro riguarda il commercio dell’oppio dell’impero inglese. Secondo lo scrittore, questo commercio di droga, prodotta in India e venduta in Cina, ha costruito la base della ricchezza dell’impero inglese del diciannovesimo secolo.


Qui presento un estratto di quest’intervista di Ghosh dove lui parla della situazione nella Birmania, perché è una posizione che quasi non si sente mai in Europa:
“Uno dei problemi reali della Birmania è che è diventata una fronte per il confronto dei poteri tra il Cina e gli Stati Uniti. Spesso le persone con intenzioni buone diventano parte di questo confronto, che mira soltanto al cambiamento del regime.
Ero rimasto scioccato dall’impatto del ciclone Nargis nella Birmania. Ma ero ugualmente scioccato dal modo in cui i media americane parlavano di questo in un modo puramente politicizzato – non riguardava le persone che morivano; riguardava il regime. E’ molto cinico usare una tragedia umana per promuovere un obiettivo politico.
Penso che dobbiamo preoccupare per la Birmania, ma è importante riconoscere che un cambiamento improvviso e catastrofico in Birmania sarà un disastro non solo per il popolo Birmano ma anche per altri nella regione. Non penso che qualcuno di noi lo vorrebbe.
La Birmania è una pentola in ebollizione – non dobbiamo dimenticare che ha avuto 16 guerre civili etniche. L’attuale situazione della Birmania è dovuta quelli disturbi. Quello che vorremmo per la Birmania è un cambiamento graduale dove Aung San Suu Kyi potrà assumere la guida del governo. Ciò non è qualcosa che vorresti all’improvviso o in una notte.
Quando leggo alcune dichiarazioni europee e americane, penso che non pensano per il bene del popolo birmano. Vogliono soltanto realizzare i propri progetti politici in Birmania. Era così anche in Iraq, dove si è deciso di fare uno sperimento politico nella quale le vite dei cittadini iracheni sono state sacrificate.
Trovo rivoltanti le prediche di Laura Bush al governo birmano riguardo ai morti dovuti al ciclone. Dove era lei, quando era arrivato il ciclone Katrina a New Orleans? Ma aveva sentito un po’ di pietà umana per la tragedia nazionale? Perché non è andata ad aiutare le persone colpite a New Orleans? Ancora oggi centinaia di persone restano senza i loro beni a New Orleans. All’improvviso, è così interessata alla situazione in Birmania, non vi fa venire un sospetto?”
Chiaramente, la posizione di Ghosh riguardo al cambiamento in Birmania è di cauzione e lui paragona la situazione in Birmania alla situazione in Iraq ai tempi di Saddam Hussein.

Ghosh conosce bene la Birmania. Ha già scritto più volte di suoi viaggi nella Birmania e di suoi incontri con la sig.ra Aung San Suu Kyi. Uno di suoi libri, “Il Palazzo degli Specchi” (ed. Neri Pozza, 2007) era ambientato nella Birmania. Consiglio vivamente anche suo libro, “Circostanze incendiare” (Neri Pozza, 2005), dove troverete i suoi articoli sulla Birmania.
Ho letto le recensioni del nuovo libro di Anita Nair (Goodnight and Godbless) e dicono che sia il suo migliore libro. Ho sentito bene anche di due altri libri scritti da scrittori indiani, Salman Rushdie e Jhumpa Lahiri. Spero che tutti questi libri uscirono presto anche nella versione italiana!

lunedì 28 luglio 2008

Salute dei Cubani

Nel suo saggio, “Cultura e Sviluppo” (Sotto Sopra – la globalizzazione vista dal sud del mondo, curato da Marco Zupi, ed. Laterza, 2004), l’economista indiano Amartaya Sen dice, “La crescita del benessere e la conquista della libertà che perseguiamo con lo sviluppo non possono non includere un arricchimento della vita umana tramite la letteratura, la musica, le arti e altre forme di espressione e di consuetudini culturali che abbiamo motivo di tenere in gran conto.

Quando ho letto questo, qualcosa si è scattato dentro di me. Finalmente avevo una risposta, magari parziale ad un mistero che mi aveva tormentato da molti anni.

Era proprio Amartaya Sen che aveva posto le basi di quel mistero. All’assemblea generale dell’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) dove Sen era l’ospite d’onore, lui aveva parlato delle diseguaglianze della salute tra i paesi e all’interno dei singoli paesi. Salute e il prodotto interno lordo pro capite sono collegate, ma questo non è sufficiente per spiegare le differenze nello stato di salute dei popoli, aveva detto, e aveva parlato di Cuba. Anche se l’America ha un PIL 10 volte più alto, per quanto riguarda gli indicatori basilari della salute come l’aspettativa media della vita o la mortalità infantile, è più o meno allo stesso livello di Cuba.

Poi, avevo avuto l’occasione di approfondire meglio il tema delle diseguaglianze della salute. In fatti, l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Italiano sulla salute Globale (A Caro Prezzo, OISG, ed. ETS, 2006) per quale avevo contribuito qualche articolo, era centrato tutto sulle diseguaglianze della salute. Le scelte del governo cubano di privilegiare i servizi di salute comunitaria, la garanzia dell’accesso universale ai servizi sanitari di base, buon livello di educazione primaria, ecc. sono fattori che spiegano il perché dei buoni risultati raggiunti dalla Cuba in questo senso.

Tra le persone che si occupano dei temi legati alla salute globale, più di una volta si è discusso della cecità degli esperti internazionali verso questi risultati cubani, quando si parla delle strategie per migliorare lo stato della salute dei popoli.

Poi, qualche anno fa in una riunione ragionale tenutasi in Nicaragua, ho avuto l’opportunità di interagire con un gruppi di medici cubani. Pensavo di sentire una immediata simpatia verso loro invece dopo qualche dibattito ho iniziato a cercare di evitarli. Era lo stesso con il gruppo che rappresentava la Venezuela. Mi sembravano paranoici, insistevano a usare parole come proletariato, rivoluzione, imperialismo, ecc. come formule retoriche, ogni tanto tiravano fuori riferimenti alla nobilità e grandezza dei loro leader massimi (Castro e Chavez) e sembravano incapaci di ragionare in maniera libera su qualunque tema senza ricorrere a queste parole.

Forse non mi conoscevano abbastanza. Forse non si fidavano di me. Forse perché era una riunione dell’OMS ed erano presenti i rappresentanti governativi. Non so il motivo. Comunque ne ero rimasto male. Non lo volevo ammettere ma dentro di me sentivo un disagio invece della simpatia.

Così quando ho letto le parole di Sen, “Avere un alto prodotto interno lordo (PIL) pro capite ma poca musica, poca arte, poca letteratura e così via, non sarebbe un indice di grande successo dello sviluppo”, qualcosa si è scattato dentro di me. Era questa sensazione della loro non libertà, di dover esprimersi con certe parole, che mi aveva creato il disagio, anche se sentivo e tutt’ora sento, ammirazione per i risultati raggiunti dai loro programmi sanitari.

Yaoni Sànchez, una cubana che descrive la vita quotidiana in Cuba nel suo blog Generación Y, è una delle persone che esprimono questo disagio.

Ma allora è giusto guardare soltanto gli indicatori della salute e dell’educazione senza pensare alle libertà individuali? Se guardiamo il numero dei paesi con dittatori feroci che limitano le libertà individuali e che hanno pessimi indicatori della salute e dell’educazione, l’esempio di Cuba comunque resta importante.

Questo ha fatto nascere un’altra domanda dentro di me. I risultati raggiunti da Cuba, i loro sistemi di sanità comunitaria e educazione primaria, sono possibili in un macro sistema che non è basato sulla censura e sul controllo di quello che le persone pensano e esprimono? Forse si, perché oltre a Cuba, anche lo stato di Kerala in India con un PIL pro capite dei paesi poveri, vanta di indicatori basilari relativi alla salute e all’educazione pari ai paesi sviluppati.

mercoledì 9 luglio 2008

Una cerimonia speciale a Bologna

Mark Dyczkowski è uno degli esperti mondiali sul tema del Tantrismo. Da moltissimi anni lui vive in India. Lunedì 14 luglio, ha organizzato una serata molto particolare a Bologna che darà la possibilità di vedere un rito di preghiera indù e di capirne i l significato con le spiegazioni di Mark.

Siete tutti invitati, anche al suo concerto sul Sitar (con Stefano Grazia sul tabla) che seguirà il puja.


domenica 6 luglio 2008

In Nome di Allah

“In Nome di Allah” (nome originale “Khuda Ke Liye”), è il nuovo e coraggioso film del regista pakistano Shoaib Mansoor. Nella pubblicità del film, il suo nome è stato tradotto in “In Nome di Dio”, invece ho preferito tradurlo come “In Nome di Allah”, perché il film è l’analisi della situazione dei musulmani moderati assediati dal fondamentalismo islamico da una parte e dall’altra, circondati da pregiudizi occidentali contro i musulmani dopo i fatti dell’11 settembre 2001. E’ un film onesto che affronta la questione in una maniera diretta.



Trama: Mansoor (Shan) e Sarmad (Fawad Khan) sono due fratelli musicisti che vivono con i genitori a Lahore in Pakistan. La loro è una famiglia benestante e liberale, che vuole vivere in maniera libera dai dettami dell’islam conservatore. I due fratelli sono appassionati della musica pop moderna.
Lo zio paterno di Mansoor e Sarmad vive a Londra. Lui convive con una donna inglese e ha una figlia Mary/Maryam (Iman Ali) da un precedente matrimonio con una donna inglese. Mary/Maryam è cresciuta con i valori più cristiani che musulmani ed è innamorata di un ragazzo inglese, Dave (Alex Naz), ma suo padre vuole che lei si comporti da una ragazza musulmana.
Tramite Sher Shah (Hameed Sheikh), un vecchio collaboratore afgano della famiglia, Sarmad viene in contatto con un prete musulmano, Maulana Tahir (Rasheed Naz). Secondo Maulana Tahir, suonare musica, vivere senza seguire le regole Coraniche, ecc. sono tutti peccati gravi e contro la legge islamica. Poco alla volta Sarmad comincia a cambiare, non vuole suonare musica, vuole che la madre porti il velo, si fa crescere la barba e inizia a frequentare la moschea.

Mansoor resta scioccato dal cambiamento che vede nel suo fratello ma non riesce a cambiarlo. Alla fine, i due fratelli so allontanano.

A Londra, il padre di Mary/Maryam non vuole che sua figlia si sposi con un cristiano ma finge di essere d’accordo e propone alla figlia di andare in Pakistan per una vacanza prima del matrimonio.

A Lahore, lui chiede a Mansoor di sposare forzatamente con Maryam, per salvarla dal "peccato mortale di sposare un non musulmano". Mansoor rifiuta lo zio. Il Papà di Mansoor chiede al fratello di non tentare di forzare il matrimonio della propria figlia, dice che anche tu avevi sposato una donna cristiana. Ma il papà di Maryam insiste, secondo lui l’uomo musulmano può sposare un infedele ma non una donna, e alla fine riesce a convincere Sarmad e Sher Shah, i quali portano Maryam in un villaggio isolato dell’Afghanistan, dove Maryam è costretta a sposare Sarmad, anche se dichiara di non voler sposare il suo cugino.

Il padre di Maryam parte lasciando la figlia con Sarmad nella casa di Sher Shah, dove vivono anche la madre a sposa di Sher Shah. Maryam cerca la fuga ma viene catturata. Sarmad ha dei dubbi continuamente se quello che lui fa nel nome di islam è giusto e tra Maulana Tahir e Sher Shah viene rassicurato. Così Sher Shah lo convince di violentare la moglie, “perché altrimenti cercherà sempre di sfuggire e non potremmo mai essere tranquilli”.



Mansoor e la famiglia non sanno dove si trovi Sarmad e non sanno né anche che ha avuto il matrimonio forzato con Maryam. Mansoor riceve una borsa di studio per l’America per studiare la musica e lascia il Pakistan. In America lui conosce Jenny (Austin Marie Sayse), una musicista e due si innamorano, ma Mansoor cerca di resistere perché ha molti dubbi se è il rapporto con una donna non musulmana funzionerà. Alla fine Mansoor parla con i suoi genitori i quali lo consigliano di seguire il suo cuore e non pensare alla differenza delle religioni.

Vi sono gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 e in quel clima, Mansoor e Jenny si sposano. Poco dopo Mansoor viene prelevato dalla polizia americana e portato in prigione, c’è sospetto che lui sia un terrorista.

Maryam in Afghanistan resta incinta e fa finta di essere una donna sottomessa ma continua a tramare un modo per scappare, e alla fine riesce a mandare una lettera a Dave in Inghelterra. Dave insieme alla madre di Maryam, mobilità l’ambasciata inglese e la madre di Maryam parte per il Pakistan.

Mansoor è rinchiuso in prigione in America e viene torturato. Il fatto che suo fratello Sarmad sia un fondamentalista in Afghanistan, è una delle prove contro di lui.

Il padre di Sarmad quando conosce quello che hanno fatto suo fratello e padre di Maryam insieme al figlio Sarmad, parte subito per Afghanistan. Nessuno nel villaggio può fermarlo perché essendo padre dello sposo, può portare con se la nuora. Anche Sarmad decide di tornare in Pakistan insieme al padre e a Maryam. Essendo cittadina inglese, nessuno può fermare Maryam da lasciare il Pakistan, ma è in cinta e Maulana Tahiri chiede al tribunale che le sia vietato lasciare il paese in quanto il futuro bimbo appartiene al padre.



Al tribunale la testimonianza di un altro prete islamico, Maulana Wali (Naseeruddin Shah) è importante. Lui spiega che secondo il Corano, il matrimonio forzato non è valido e in ogni caso, Maryam non è musulmana per cui non si possono applicare le leggi musulmane per lei. Lui spiega anche che i divieti fondamentalisti contro la musica sono sbagliati in quanto uno dei santi musulmani Dawood era in musicista. Maryam è libera di tornare a Londra e Sarmad chiede scusa a Maryam e al padre per essersi lasciato influenzare da fondamentalisti.

Mansoor quando viene rilasciato dalla polizia americana per mancanza di prove, è un uomo distrutto, non riesce a stare in piedi e ha avuto danni cerebrali. Lui chiede di tornare in Pakistan. Sarmad pentito, suona la musica per il suo fratello, sperando che un giorno tornerà ad essere come era prima.

Commenti: E’ il secondo film pakistano che ho visto. Qualche anno fa avevo visto anche Khamosh Pani (Acque silenziose) che mi era piaciuto molto. In generale, il Lollywood (cinema di Lahore) è vista come una copia pallida del cinema di Bollywood ma ogni tanto vi sono registi indipendenti coraggiosi che riescono a sorprendere.

Non penso che sia facile per un regista Pakistano di parlare contro il fondamentalismo islamico. Dall’altra parte, il film ragiona anche sugli eccessi americani e occidentali, ed i rischi quando non si rispettano i diritti civili e umani delle persone, e per lottare contro il terrorismo, si sovvertono le leggi e la giustizia.

Il fatto che il film cerchi di mostrare Mansoor e i suoi genitori come bravi musulmani (persone che non bevono alcolici, che pregano, ecc.) anche se amano la musica e portano vestiti occidentali, mi ha colpito molto. Anche le discussioni conclusive al tribunale, dove tutto viene dibattuto in termini di lecito e illecito secondo il Corano, mi ha fatto pensare un po’.

Personalmente penso che nessun libro sacro può e deve dettare come dobbiamo viverci, se ciò è contro i diritti umani e la dignità delle persone secondo le concezioni sociali odierne. Dover ragionare tutto in termini di quello che dice o non dice il Corano mi sembra eccessivo. Ma questa è più una critica verso come si lascia che la religione determini tutto e non un problema del film. Si possono usare le stesse critiche anche verso altre religioni quando chiedono che le decisioni siano prese sulla base di quello che dice la Bibbia o il Bhagvad Gita o Il Torah.

Comunque il film cerca di mostrare che l’islam è una religione ragionevole e che i musulmani moderati si trovano in difficoltà più complesse. Nonostante qualche limite, il film fa riflettere e ci aiuta a capire i dilemmi per il mondo musulmano. Gli attori sono tutti bravi, il film è stato fotografato molto abilmente e la musica è bella.

giovedì 3 luglio 2008

Stato di emergenza in Mongolia

Il 23 giugno ero a Ulaan Baatar, mentre camminavo verso il palazzo dell’Opera dove si presentano gli spettacoli tradizionali di musica e danze per i turisti. Avevo la piazza Sukhbataar alle mie spalle, con il palazzo del parlamento e attraversavo la strada, quando intravidi la statua dietro i cespugli. Ero passato da lì molte altre volte, ma non avevo notato quella statua prima d’allora. Nascosta dai cespugli, dentro un piccolo parco, c’è la statua di Sanjaasurengiin Zorig, il leader del movimento democratico assassinato nel 1998.

Dietro la statua di Zorig, c’era un grande manifesto elettorale. Per tre settimane avevo girato in Mongolia. Ero stato a Ulgii vicino alla frontiera ovest del paese, dove vivono i Kazaki musulmani. Avevo visitato Ondorhan ad est di Ulaan Baatar dove si era abbattuta una terribile tempesta nel maggio 2008, uccidendo più di 300.000 capi di bestiame, gonfiando le file di nuovi poveri che si emigrano verso la capitale alla ricerca della sopravvivenza. Dappertutto si percepiva la febbre elettorale.

Hari, l’ex-vice sindaco di Ulgii è il coordinatore del programma di riabilitazione su base comunitaria (RBC) sostenuto da AIFO, ed è anche un esponente del partito democratico. Dorjgotov, il medico responsabile della provincia di Uvs e capo del comitato provinciale di RBC di Uvs, è un esponente del partito rivoluzionario. Partito democratico e partito rivoluzionario sono i due partiti principali, protagonisti delle elezioni previste per il 29 giugno 2008. Eravamo tutti insieme, Hari, Dorjgatov e altri, vicino al lago Achint, e parlavo con loro per cercare di capire i programmi dei due partiti.

Tuki (Tulgamma), la rappresentante di AIFO in Mongolia aveva detto, “Vedi Hari e Dorjgatov? Sono amici, anche se appartengono a due partiti diversi. Qui tutti sanno che dobbiamo pensare alle persone disabili, povere ed emarginate e la politica non entra nel nostro lavoro.

Mentre guardavo la statua di Zorig a Ulaan Baatar, pensavo alle discussioni con Hari e Dorjgatov. Non serve preoccuparsi. Le elezioni si svolgeranno in pace senza grosse difficoltà. Forse la Mongolia ha superato la fase più critica della trasformazione dallo stato protetto dell’Unione Sovietica ad una democrazia normale. Mi dicevo.

Erano così buffi questi ragazzi e ragazze con le magliette gialle e arancio che sbandieravano i programmi dei loro partiti, organizzavano piccoli comizi elettorali a sostegno dei propri candidati, giravano con le bandierine dei partiti sulle moto. Mi facevano pensare alle ragazze pom-pom del baseball americano.

Ieri sera li ho rivisti, quei ragazzi con le magliette gialle e arancio, nei telegiornali. Con i bastoni rompevano i vetri di un edificio e dietro bruciava qualcosa. “Sono scoppiati i disordini in Mongolia dopo la dichiarazione della vittoria del partito rivoluzionario... la polizia ha sparato ... i dimostranti hanno dato fuoco alla sede del partito rivoluzionario nel centro di Ulaan Baatar ... è stato dichiarato uno stato di emergenza di 4 giorni ...”, raccontano i telegiornali.

Nei 18 anni dopo lo scioglimento del regime comunista, simile situazione non si era mai vista prima, né anche quando avevano ucciso Zorig.

Come usare le enormi risorse minerali del paese sembra la vera domanda che divide i due partiti. Partito rivoluzionario vuole tenere il controllo statale per le miniere scoperte con aiuto pubblico, vuole che lo stato abbia il 51% delle azioni. Invece, il partito democratico propone la possibilità di proprietà completamente privata di queste miniere. In un mondo globalizzato, oggi le risorse naturali sono sempre più preziose. Avevo visto le enormi tendopoli dei “Ger Districts”, con i “ger”, le tende rotonde alla periferia di Ulaan Baatar, dove vivono circa 70% di oltre 1 milione di abitanti della capitale, e immagino che anche la Mongolia vuole la sua parte della torta della globalizzazione.

Forse era prevedibile che succedevano questi disordini. Quando sono di mezzo i miliardi da spartire, è naturale che vi siano dei disordini. E forse ci sono di mezzo anche gli altri? A Ulaangom, c’era un gruppo di volontari stranieri, ragazzi e ragazze venuti da paesi come Taiwan, Nuova Zelanda, Australia, Francia, Olanda, ecc. per andare in giro sulle bici e per fare la compagna per il partito democratico. Forse anche gli altri partiti hanno interessi nelle miniere mongole.

Mi dispiace per Mongolia. Spero che i miei amici, le persone conosciute durante il viaggio, riusciranno a salvarsi dall’impatto di questa violenza.

















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