sabato 26 gennaio 2008

Bilancio finale

Domani partirò per l’India. Penso che sia il momento giusto per fare un bilancio dell’esperienza di Torino. Ero tornato da Torino con una testa in subbuglio, e avevo bisogno di un po’ di tempo per calmarmi e per lasciar sedimentare i pensieri. Ora penso di aver digerito le esperienze e posso tentare di farne un bilancio finale.

Alessandro del Premio Grinzane mi aveva contattato verso il 20 novembre 2007. Zahoor gli aveva dato il mio nome. Zahoor è originario del Kashmir. Lui insieme alla sua moglie, Renata, ha scritto il libro Storie dell’India, pubblicato da Edizioni Progetto Cultura di Roma. E’ un libro molto particolare. Quando l’avevo letto, mi aveva fatto pensare alla mia vita da bambino negli anni sessanta. I racconti di questo libro sono un po’ retro, ciò è scritti in uno stile che somiglia alle storie dei libri popolari di quelli anni, quelli che allora erano trattati come libri “pulp fiction”. Rispecchiavano la semplicità di quei giorni, quando le scelte erano limitate, non c’era corrente elettrica in casa e la luce delle lanterne scandiva le ore serali.

Penso che Alessandro aveva contattato Zahoor per parlargli degli scrittori indiani e Zahoor gli aveva dato il mio indirizzo di email. Dalla prima volta che avevo parlato con Alessandro, subito avevo cercato di promuovere l’idea che la letteratura indiana va molto oltre i pochi scrittori conosciuti in occidente, quelli che scrivono in inglese. Non solo, ma che vi sono dei dibattiti importanti tra gli scrittori indiani riguardo la rappresentanza dei gruppi emarginati, come gli scrittori dalit, e le domande che scaturiscono da questi dibattiti, per esempio sulla definizione della letteratura.

Dall’India, i libri sulla religione, sulla spiritualità e sui temi esotici come il kamasutra, la meditazione e lo yoga sono stati tradotti e hanno trovato larga diffusione in occidente. I testi considerati i capolavori della scrittura antica indiana come gli scritti di Kalidasa nel 4° secolo d.c. sono completamente sconosciuti in Italia e in Europa, se non tra pochi studiosi nelle università. Gli innumerevoli scrittori indiani del ventesimo secolo, i quali hanno scelto di esprimersi in lingua indiana sono ugualmente sconosciuti in occidente. Scrittori prolifici e popolari come Bimal Mitra, Asha Purna Devi, Acharya Chatur Sen, Rangey Raghav, Munshi Prem Chand, ognuno dei quali ha scritto decine di libri importanti non sono mai stati tradotti in nessuna lingua europea. Poeti più importanti della letteratura hindi come Mahadevi Varma, Nirala, Muktibodh, Raghuvir Sahay, hanno subito lo stesso destino. Tagore, l’unico premio nobel indiano per la letteratura, riuscì ad avere il riconoscimento grazie alla traduzione in inglese della sua opera Gitanjali, infatti, la citazione alla consegna del premio recitava, “.. per i suoi versi profondamente sensibili, freschi e belli che con consumata abilità lui ha scritto il suo pensiero poetico, esprimendosi in inglese, per diventare parte della letteratura occidentale …”

Il più importante premio letterario nazionale dell’India, Rashtriya Sahitya Accademy Awards, è un riconoscimento dato agli scrittori più importanti del paese. Dei vincitori del premio negli ultimi cinquant’anni, soltanto uno di questi autori, ha avuto i suoi libri tradotti in italiano.

Vi sono altri spazi all’interno della società indiana che non sono rappresentati nella letteratura indiana. E’ indubbio che negli ultimi cento anni della letteratura indiana le voci dominanti sono quelle delle persone appartenenti alle caste più alte, delle persone che rappresentano le classi più alte e fino a un certo punto, le classi medio borghesi. Questo è vero anche per gli scrittori nelle lingue indiane. C’è invece l’India delle caste basse, i dalit (letteralmente i calpestati), l’India delle minoranze religiose, etniche e sociali, l’India dei gruppi poveri e emarginati che non avevano e per molti versi continuano a non avere una voce nel mondo letterario indiano. All’interno di questi gruppi le voci delle donne rimangono ancora più nascoste. Soltanto negli ultimi decenni le voci dei dalit hanno assunto un valore importante nel mondo della letteratura. Tra i gruppi emarginati vorrei sottolineare i gruppi omosessuali, gay e lesbiche, che sono completamente assenti dallo scenario letterario per i forti tabù sociali e culturali.

Alessandro aveva accolto quasi subito questa mia tesi e ha dato la possibilità a due scrittori che scrivono in Hindi, Uday Prakash e Bhagwan Dass Morwal, di partecipare al convegno. Non è molto ma è un inizio. Dopo il convegno, ho già avuto qualche contatto con le case editrici interessati alla pubblicazione di scrittori indiani ancora sconosciuti in Italia.

La mia partecipazione al convegno di Torino ha dato molta visibilità anche a me. Qualcuno mi ha chiesto di scrivere per qualche rivista. Qualcuno si è mostrato interessato alla traduzione in italiano di alcuni miei racconti scritti in Hindi. Molte persone mi hanno scritto per dire che avevano apprezzato il mio intervento. Tutto questo è molto gratificante ed vorrei impegnarmi per fare uno sforzo in più per scrivere non soltanto in hindi ma anche in italiano.

Dall’altra parte, il convegno di Torino mi ha aiutato a capire me stesso meglio e che cosa voglio dalla mia vita. Anzitutto mi ha fatto capire che la mia prima passione resterà il mio lavoro con AIFO, il lavoro di medico della lebbra e che la scrittura sarà in seconda fila, sempre una passione per il mio tempo libero.

Avevo sentito che qualcuno ha scritto un commento critico su il Manifesto riguardo la riunione di Torino e subito avevo immaginato che avranno criticato la scelta di avere quasi tutti gli scrittori come rappresentanti dell’India ricca e anglofona e pochi rappresentanti delle altre letterature indiane. Ieri finalmente sono riuscito a leggere questo articolo. E’ scritto da una persona che si firma, m.t.c. e l’articolo mi ha sorpreso un po’. m.t.c. ha ragione quando scrive che sono stato invitato a Torino soltanto perché ero di Bologna. Ma per il resto non ho capito la sua critica. Si lamenta che non vi erano nomi famosi, i personaggi importanti della scrittura indiana! Sono contento che al premio Grinzane le persone la pensavano diversamente da m.t.c.

Penso che era bello il miscuglio di nomi affermati come Shashi Tharoor, M. J. Akbar e Tarun Tejpal; i giovani talenti come Nirpal Singh, Lavanya Shanker e Altaf Tyrewala e che vi erano 3 rappresentanti della scrittura nelle lingue indiane, Gayathri Murthy, Uday Prakash e Bhagwan Dass!

L’unica critica che posso fare è che erano troppe le persone provenienti dalle grandi metropoli, scrittori che appartengono alla classe medio alta, che hanno beneficiato dalla crescita economica dell’India degli ultimi anni. Mentre gli scrittori rappresentanti dell’altra India, quella che è sempre povera e emarginata, erano pochi. Ma devo riconoscere che almeno c’erano, perché quasi sempre non ci sono, perché sono molto spesso dimenticati. Grazie Alessandro.

domenica 20 gennaio 2008

Il Mahatma e il Mercato

Sono tornato da Torino, dopo 3 giorni intensi. Penso di aver fatto un'indigestione degli scrittori. Era così bello incontrare diversi scrittori. Quando leggi un autore, ne crei un'immagine interna e poi, quando hai occasione di incontrare la persona, scopri le differenze tra il personaggio della tua creazione e la persona. Comunque, per il momento, ho una tempesta di pensieri nella testa e bisogna che aspetti che si calmi per capire il significato di queste esperienze e eventualmente, di parlarne. Vorrei dire soltanto che oltre agli scrittori indiani, il viaggio a Torino è stato bello anche per incontrare autori come Tahar Ben Jalloun e Luis Sepulveda.

E, vi presento qui un articolo, pubblicato in parte sul quotidiano, La Stampa del 18 gennaio 2008, "Il Mahatma e il Mercato".
Le foto sbiadite del passato

Ero piccolo. Forse avevo cinque anni. Era la prima volta che visitavo il museo memoriale di Mahatma Gandhi, vicino a Rajghat dove lui fu cremato nel 1948, e dove sorge il suo samadhi, il luogo dove è divenuto tutt’uno con il creatore.

In quegli anni, lui era ancora una persona. Qualcuno che aveva vissuto come le persone normali. La storia dell’India indipendente non era ancora diventata la storia. Diversi personaggi di quella storia erano ancora delle persone in carne e ossa. Avevo visto Pandit Nehru, il primo ministro dell’India alla scuola, al quale avevo consegnato una rosa di benvenuto.

La mamma parlava di loro qualche volta. Raccontava del suo lavoro come segretaria di Maulana Abdul Kalam Azaad, uno dei leader musulmani moderati, membri del partito del congresso, i quali avevano deciso di restare in India, rifiutando l’idea di una patria basata sulla religione. Lui era diventato il ministro dell’educazione dell’India indipendente.

Lei parlava anche di quella casa dove abitavamo, che apparteneva ad un ricco musulmano haji, commerciante di rifornimenti ospedalieri, il quale aveva scelto di sfuggire in Pakistan con la sua famiglia. Quella casa dove le finestre della zenana, la parte della casa riservata alle donne, con schermi di legno finemente scolpiti permettevano alle donne della casa di guardare fuori senza essere viste. Parlava dei giorni sanguinosi della divisione dell’India e la pazzia omicida che regnava nel cuore degli uomini. Di come un giorno lei era entrata in una casa abbandonata per salvare una donna musulmana da un gruppo di uomini indù che la volevano violentare e del certificato di apprezzamento che aveva ricevuto dal Pandit Nehru per questo atto di coraggio.

Lei parlava anche di Bapu. Era così che chiamava il Mahatma. Bapu, papà. Parlava delle sedute a Birla Bhavan dove andava a ascoltare Gandhi e a cantare insieme a tutti gli altri le bhajan, le preghiere favorite del suo Bapu. Parlava di quel giorno quando Nathuram Godse aveva sparato e ucciso il suo Bapu. Parlava della sua preghiera favorita, Vaishnav jan to tane kahiyeji pir parayi janni re, "E’ lui l’uomo di Dio, soltanto colui che cerca di capire il dolore altrui".

Il museo del memoriale di Mahatma Gandhi era una struttura semplice e spoglia dove erano esposte tutte le cose personali di Bapu. Il suo bastone per camminare. I suoi occhiali con la montatura rotonda. Quelli che erano caduti per terrà quando gli avevano sparato e che si vedono un po’ storti sull’erba, nella foto di quando li avevano trovati. I suoi libri, la sua carta e la sua penna, un foglio di carta dove sono scritte alcune righe. Non aveva una calligrafia molto bella, avevo pensato, il mio maestro di calligrafia alla scuola gli avrebbe fatto riscrivere tutto da capo!

Ma l’oggetto che aveva catturato la mia immaginazione era il suo dhoti, il panno di khaadi bianco, tessuto a mano, che lui portava quel giorno, con le macchie del suo sangue. Guardavo quelle macchie marroni con macabra curiosità. Per me, erano quelle macchie che lo rendevano una persona vera più di qualunque altra cosa.

Il 30 gennaio di ogni anno alle 11,00 suonavano le sirene per ricordare il padre della nazione, Mahatma Gandhi, per ricordare quel momento tremendo del suo assasinio. Dovevamo tutti alzarsi in piedi e stare in silenzio per due minuti finché suonavano le sirene un’altra volta. Per molti anni dopo quella visita al museo di Gandhi, in quei momenti di silenzio, pensavo a quelle macchie marroni di sangue.

Fra qualche giorno saranno passati sessanta anni da quel lontano 1948. Chissà se suoneranno le sirene alle 11,00 per ricordare l’uccisione di Bapu?

Oramai il mondo è cambiato. Non ci sono più quelle lezioni dell’antica arte di calligrafia di hindi. Ognuno di noi aveva la sua takhti, una tavola di legno per la scrittura. Si applicava uno strato di gesso bianco bagnato sul legno ogni mattina per avere la superficie bianca sulla quale scrivere con il pennarello di bambù che dovevi bagnare nell’inchiostro nero. Mercato, competizione, progresso, sviluppo, crescita e pragmatismo, sono queste le parole in voga oggi.

Il ritorno del Mahatma
Non si può dire che l’India abbia dimenticato il Mahatma. Le sue foto continuano a adornare le aule giudiziarie e gli uffici governativi. E’ sua la faccia sulle banconote da 500 rupie, quelle si usano spesso per le bustarelle e per i pagamenti in nero. Sono più facili da nascondere. Se qualcuno vi parla di Gandhi mentre cercate di sbrigare qualche servizio, è possibile che lo faccia per ricordarvi che aspetta la mancia.

Per le elezioni non servono più le foto di Mahatma Gandhi, bastano quelle di Indira Gandhi. Ormai esistono delle generazioni cresciute dopo la morte di Indira Gandhi che non conoscono chi era lei, è inutile parlare a loro di Mahatma. Si parla di Mahatma Gandhi il 2 ottobre, il giorno della sua nascita, e il 30 gennaio, il giorno del suo martirio. Poi quando serve, si può tirare fuori la sua bandiera per parlare della forza della verità, o della non violenza, per subito ripiegarla e metterla nel dimenticatoio.

In questo contesto generale, nel 2006-07 all’improvviso il Bollywood, il cinema di Bombay, ha ripescato il Bapu dal dimenticatoio, con due nuovi film che parlavano di lui e l’hanno presentato alle generazioni che non lo conoscevano.

Lage raho Munna Bhai (Continua fratello Munna), il primo film uscito nella seconda metà del 2006 è la storia di Munna, un malavitoso di Bombay, il quale incontra un giorno il fantasma di Gandhi in una biblioteca. Munna è disperato, ama una ragazza, ma non sa come vincere il suo cuore. Il fantasma di Gandhi promette di aiutarlo a patto che Munna segue ogni suo consiglio. Il film ha ottenuto grande successo della critica e del pubblico, e ha fatto capire ai giovani, in maniera semplicistica, i messaggi di Gandhi sulla non violenza, sul dialogo e sulla verità.

Gandhi My Father (Gandhi, mio padre), il secondo film uscito nel 2007 è la storia vera dei tormentati rapporti tra Gandhi padre e il suo primogenito Harilal. Il film basato sull’autobiografia di Harilal Gandhi, affronta temi poco conosciuti anche alle persone che pensano di conoscere la figura del Mahatma. Il film ha avuto l’approvazione della critica ma è stato ignorato dal pubblico.

Grazie a questi due film la figura di Gandhi è tornata all’attenzione pubblica. Il museo memoriale di Gandhi ha dichiarato che il numero dei visitatori giornalieri è cresciuto a 2000 persone al giorno. I giornali hanno iniziato nuovi fumetti che parlano di Gandhi. Una radio ha lanciato un quiz sulla sua vita e un’altra ha organizzato una serie di laboratori sul significato pratico del suo messaggio nel mondo di oggi. Un’associazione ha proposto un programma per visitare i villaggi per aiutare le persone bisognose, ottenendo adesione di molti giovani volontari. La vendita dei libri sulla sua vita ha avuto un’impennata.

Gandhi e il mercato

E’ stato riconosciuto il valore del marchio Gandhi per il mercato.

Nell’India che tocca vertiginosi livelli di crescita economica, il mercato è sempre più importante, e il mercato dice che Gandhi ha alto valore commerciale. Serve per vendere l’immagine della nuova India emergente. Questa nuova immagine dell’India non parla di povertà, di carestie, di bidonville. Invece ripesca i valori antichi, come quelli di spiritualità, di yoga, guru e meditazione, e li mette insieme alla tecnologia informatica, ai call centre, all’economia in forte espansione. Quante macchine, quanti cellulari, quanti schermi ultrapiatti, quante lavatrici, tutto da vendere, numeri che mandano in fibrillazione le multinazionali che annusano l’odore dei guadagni.

E dove è Mahatma Gandhi in questa nuova India? Come dice Salman Rushdie, “E’ diventato astratto, fuori dalla storia, postmoderno, non più un uomo del suo tempo ma un concetto libero, uno dei tanti simboli culturali, un’immagine che puoi prendere in prestito, usare, deformare, reinventare secondo il caso e il momento …”.

La sua immagine è ora protetta e venduta da agenzia americana CMG Worldwide, la stessa che detiene i diritti sulle immagini di altre icone come Einstein, James Dean e Marilyn Monroe. Il messaggero della semplicità, austerità e autosufficienza sta incatenato nella piazza pubblica e si chiamano gli acquirenti al mercato degli schiavi. Lui può essere usato da qualunque per vendere di tutto. Ditte come Telecom Italia e Apple americana l’hanno già fatto. Il suo torso nudo, il suo dhoti di ruvido khaadi bianco tessuto a mano, i suoi occhiali con la montatura rotonda, il suo sorriso sdentato, la sua voce con l’erre moscia, sono tutte in vendita.

Dal suo messaggio si sceglie quello che va bene per il mondo di oggi. Quello che non va, si può semplicemente scartare. “Il mondo ha sufficienti risorse per soddisfare i bisogni di tutti, ma non può soddisfare l’ingordigia ne anche di uno”, lui aveva detto ed è diventato un simbolo da usare per la cultura del consumismo, quella di sfruttare, usare e buttare. Ha perso lui la battaglia contro le forze del mercato.

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15 gennaio 2008

giovedì 10 gennaio 2008

Lo scrittore

Quando sono stato presentato agli ospiti come “uno scrittore che vive in Italia”, sono rimasto scioccato per un po’. Ero a casa di Om Thanvi, responsabile di Jansatta, uno dei maggiori quotidiani nazionali in India. Tra gli ospiti c'erano diversi scrittori, artisti, musicisti. Qualcuno lo conoscevo già. Altri li conoscevo perchè avevo letto di loro nelle riviste indiane. Ogni volta che Om mi presentava a qualcuno sentivo una strana sensazione di piacere, disagio e senso di colpa.

Non volevo diventare uno scrittore. L’avevo deciso quando ero piccolo.

Forse avevo cinque anni quando scrissi un piccolo racconto per Parag, una rivista indiana per bambini. Il racconto parlava di un grande topo e di dolci laddu. L’avevo fatto vedere a una delle mie zie. Mi aveva detto: “Sei proprio bravo, diventerai uno scrittore come il tuo papà”. Allora forse non sapevo cosa volesse dire “essere uno scrittore”, ma mi erano piaciute le sue parole perché aveva detto “come il tuo papà”.

Eravamo circondati da scrittori e artisti. A partire dalla mia nonna, dalle mie zie e dai miei cugini. Ricordo la delusione della nonna quando, una delle riviste locali, le aveva rimandato indietro il suo racconto dicendo che non era adatto per la pubblicazione.

C’era anche un libro scritto dal nonno sul gioco dell'hockey. Avevo tutti questi manoscritti mai pubblicati.

Di tutte le persone che vivevano in quella casa perché il nonno aveva dato il suo manoscritto a me? E poi cosa è successo a quei manoscritti? Forse sono stati buttati via come carte stracce? O forse li abbiamo persi in uno dei traslochi?

Avevamo l’armadio pieno di libri. Non mi ricordo quando ho iniziato a leggerli. Libri di autori come Nanak Singh, Rangey Raghav, Krishen Chander, Mohan Rakesh e tanti altri. Non c’era un libro in quell'armadio che non avessi letto. Qualcuno di quei libri, letti quando avevo 6-7 anni, li ho ancora con me. Come il libro di racconti Dharti ki Beti (Figlia della terra) scritto da Soma Vera e pubblicato nel 1961.

Qualche volta,la sera, andavamo al coffee house di Connaught Place con mamma e papà. Oggi lì c’è la stazione della metropolitana di Delhi. Ci incontravamo con gli amici di papà. Quanto fumo di sigarette e quante tazze di caffè nero! Assistevo alle loro discussioni appassionate e infinite sulla lotta di classe, sulla difesa delle lingue indiane, sui poveri e sugli oppressi. La loro passione era coinvolgente, ma vedevo anche che erano tutti poveri, proprio come noi. Penso che sia stato li, in quel coffee house, che iniziai a credere che fare lo scrittore era un mestiere difficile.

Papà lavorava come responsabile di Jan, il mensile del partito socialista indiano. Ma questo non era lavoro per lui, era la sua passione, era la sua idealità. Inoltre scriveva qualche romanzo e tanti racconti, traduceva libri dall’inglese all’hindi, faceva il critico letterario. Scriveva sempre, ma, non guadagnava mai abbastanza. Neanche la mamma guadagnava molto come insegnante della scuola elementare. Non avevamo mai soldi sufficienti. Non sono mai andato a letto affamato, ma ero molto consapevole che bisognava stare attenti ad ogni centesimo.

Avevo due pantaloncini. In biblioteca, la signora mi aveva chiesto di non portare quelli pantaloncini, “Ti sono troppo stretti. Poi, non sei più un bambino, dovresti portare i pantaloni lunghi fino ai piedi.” Ma non ne avevo detto niente in casa perché sapevo che era un momento difficile e non c’erano soldi per comprare nuovi vestiti. E poi, un giorno mentre cercavo di recuperare la mia palla dal muro della chiesa davanti alla nostra casa, il mio pantaloncino bianco con orlo blu, si era strappato. Correva giù sangue dalla coscia dove il filo spinato mi aveva punto, ma il mio primo pensiero fu per mia mamma, come farà adesso? Dove troverà i soldi per comprare uno nuovo? Cosa porterò mentre mamma mi laverà l’unico pantaloncino rimasto?

Penso che era in quelli giorni che decisi che non avrei fatto mai lo scrittore. Non fu una decisione chiara e netta ma qualcosa che era maturato dentro di me, poco alla volta. Quando arrivò il momento delle iscrizioni alla scuola superiore, informai papà che mi ero iscritto ai corsi di scienza e biologia, perché avevo deciso di fare il medico.

Infatti, ho studiato medicina, ho lavorato come medico. Le parole non mi hanno mai lasciato, ho continuato a scrivere, ma non mi definisco uno scrittore. Un articolo per un libro o una rivista, un racconto, uno spazio mensile fisso in una rivista, parte del comitato editoriale di un’altra rivista - poco alla volta, lo spazio occupato dalle parole nella mia vita si è allargato, e continua ad allargarsi sempre di più. Ma la mia identità, come mi vedo dentro di me, non mi riconosce come scrittore. E si che ora sono grande, dovrei avere la capacità di superare paure infantili!

E’ per questo che quando Om mi aveva presentato come “scrittore che vive in Italia”, mi ero sentito strano.

Fra dieci giorni, il 18-19 gennaio 2008, vi sarà una manifestazione letteraria a Torino, organizzata da Fondazione Grinzane Cavour. Sono stati invitati circa 15 autori indiani. Alcuni di loro come M.J. Akbar, Shashi Tharoor, Tarun Tejpal, Anita Nair, Thrity Umrigar, sono nomi famosi. Altri come Lavanya Shanker, Altaf Tyrewala, sono nomi meno conosciuti, sono i nomi del futuro. Vi sono anche persone che scrivono in lingue indiane come Uday Prakash, Bhagwan Dass e Gayathri Murthy. Tra di loro, c’è anche il mio nome.

E di nuovo, ho questa sensazione strana. Sento un miscuglio di piacere, disagio e senso di colpa, quando penso al mio nome messo li, in quella lista tra gli “scrittori”.

giovedì 3 gennaio 2008

Bollywood 2007: I film più significativi

Alla fine dell’anno, forse vale la pena di parlare dei film indiani del Bollywood più significativi del 2007.

Guru del regista Mani Ratnam, uscito nel gennaio 2007 era ispirato dalla vita del famoso industriale Dhirubhai Ambani, scomparso alcuni anni fa. Un elogio alla libera impresa e al capitalismo, il film segue la lotta di Gurubhai (Abhishekh Bacchan) per uscire dalla povertà, la sua amicizia con un giornalista (Mithun Chakraborty) e il suo rapporto con la moglie (Aishwarya Rai) e con la figlia disabile del giornalista (Vidya Balan), durante la sua ascesa come industriale più importante dell’India neo indipendente.



Salaam-e-ishqe (Saluti all’amore) del regista Nikhil Advani, uscito subito dopo era un film collage con diverse storie legate al tema dell’amore, pieno di stelle di Bollywood, a partire da Salman Khan e Priyanka Chopra. Il film fu un grande flop della critica e del pubblico nonostante le performance appassionate di Vidya Balan e John Abraham. Il film segnò anche il ritorno del attore Govinda sul grande schermo, dopo un esilio di alcuni anni.



Febbraio fu segnato da Honeymoon Travels del neo regista, Reema Kagti. Un altro film collage sul tema della luna di miele, questo film con attori meno noti, ha avuto più successo. Il film raccontava le avventure di alcune copie di neo sposati, i quali partono per un viaggio organizzato per la loro luna di miele. Shabana Azmi e Boman Irani come la coppia di mezza età e una danza scatenata di KK erano i punti forti di questo film.



Altri due film importanti di febbraio 2007 erano Nishabd (Senza Parola) di Ram Gopal Varma e Eklavya (Il guardiano reale) di Vidhu Vinod Chopra.

Nishabd con Amitabh Bacchan nel ruolo di un fotoreporter sessantenne e il suo amore incontrollabile per una ragazza giovane (Jia Khan), amica di sua figlia era ispirato da Lolita di Nabokov. Il film non era male, ma fu rifiutato dal pubblico, forse per il suo tema.

Eklavya, storia di un leale guardiano (Amitabh Bacchan) in un palazzo del Rajasthan, dove c’è una lotta di potere tra il principe (Saif Ali Khan) e il fratello del defunto re e il guardiano nasconde un segreto terribile nel suo cuore, era un film sofisticato con ottima fotografia e bravi attori. Anche questo film fu rifiutato dal pubblico.



In aprile 2007 uscì Provoked (Provocata) del regista inglese di origine indiana Jag Mohan Mundra. Il film basato su una storia vera, racconta la storia di una donna del Punjab, Kiranjit (Aishwarya Rai) e il suo matrimonio (Navin Andrews) con un uomo violento. Dopo dieci anni di violenze, una notte Kiran da fuoco al suo marito mentre lui dorme e viene condannata all’ergastolo. Un’associazione di donne asiatiche che opera per la donne vittime di violenze domestiche decide di aiutarla. Il film non era male ma sembrava un documentario, e non trovò il successo del pubblico.

Tara Rum Pum con due delle più importanti stelle di Bollywood, Rani Mukherjee e Saif Ali Khan, era stato prodotto da Yashraj Films. Ambientato in America nel mondo delle corse delle macchine, il film un flop del pubblico e della critca.

Life in a ..Metro del regista Anurag Basu, fu il terzo film collage del 2007, uscito in aprile. Questa volta il filo conduttore del film era la vita nella grande metropoli di Bombay. Il film con bella musica e ottimi attori (Shilpa Shetty, Shiny Ahuja, KK, Sharman Joshi, Minissha Lamba) trovo consensi sia del pubblico che della critica.



Maggio aveva due film interessanti – Shoot Out at Lokhandwala (Sparatoria di Lokhandwala) di Apoorva Lakhia e Cheeni Kum (Poco zucchero) di R. Balki.

Shoot out parlava di una sparatoria in un condominio ed era un film basato su un fatto realmente accaduto a Mumbai qualche anno fa. Crudo e violento il film ha avuto pubblico commerciale.

Invece Cheeni Kum era una storia di amore tra un chef inglese sessantenne di origine indiana (di nuovo, Amitabh Bacchan) e una donna indiana trentaquattrenne venuta a Londra per lavoro. Il tema dell’amore tra un uomo vecchio e una donna più giovane era simile a quello di Nishabd, questo film era più spumeggiante e leggero. Questo film ha ottenuto il consenso della critica e del pubblico.



Jhoom Barabar Jhoom (Ballate, divertite) era il terzo film del regista Shaad Ali, era stato prodotto da Yashraj Films e aveva 4 attori bravi e famosi di Bollywood (Abhishek Bacchan, Preity Zinta, Bobby Deol e Lara Dutta). Il film fu rifiutato da critici e dal pubblico, anche se personalmente mi è piaciuto. Con ottima musica e bravi attori (soprattutto Lara Dutta), il tonfo commerciale di questo film fu un grande shock per Bollywood. Il film racconta la storia di alcuni amori improbabili tra due giovani coppie, una coppia indiano-pakistana e l’altra coppia di un ragazzo sikh timido con una prostituta.

Agosto vide l’uscita di tre film importanti – Cash (Contanti) di Anubhav Sinha, Gandhi My Father (Gandhi, mio padre) di Firoz Abbas Khan e Chak de India (Brava India) del neo regista Shimit Amin.

Cash era un film azione senza senso anche se aveva bella musica e diverse stelle di Bollywood. Il film fu subito dimenticato sia dai critici che dal pubblico.

Gandhi My Father del neo regista Firoz, prodotto dal attore Anil Kapoor era la storia di conflitto tra Mahatma Gandhi (Darshan Zaveri) e suo primogenito Hari Ram (Akshay Khanna), basato sulla biografia di Hari Ram. Il film inizia quando Mahatma Gandi si trovava in sud Africa e il suo figlio maggiore arriva dall’India con la sua moglie Gulab (Bhumika Chawla), e segue il conflitto tra il famoso padre e il figlio che si sente mediocre e che non riesce a misurarsi mai con la grandezza del padre, ne ad uscire dalla sua ombra, mentre l’India cerca l’indipendenza dal regime inglese. Il film, serio e intenso, ha perfette ambientazioni e diversi attori che meritano applausi per le loro performance. Lodato dalla critica, il film fu largamente ignorato dal pubblico.



Chak De India è il film su uno sport quasi dimenticato, l’hockey femminile e aveva l’attore più famoso del cinema di Bollywood, Shahrukh Khan. Oltre al famoso Khan, il film aveva 12 attrici nuove. In questo film, per la prima volta Shahrukh era un personaggio musulmano e non aveva nessun sottofondo romantico. La sceneggiatura del film era quella classica seguita da tutti i film sportivi, una squadra di quelli ignorati e dimenticati, l’allenatore che vuole riscattarsi da un passato da dimenticare e la partita finale che non si sa fino all’ultimo minuto se i nostri eroi riusciranno a vincere. Il film era ispirato da una storia vera, dalla vincita della squadra di hockey femminile ai campionati del commonwealth. Tutti i pronostici concordavano che il film sarebbe stato un grande insuccesso, invece il film diventò uno dei grandi successi del 2007. La canzone del film, Chak de India (Brava India, fa lì vedere) divento quasi l’inno nazionale. Per una volta Shahrukh Khan ha ricevuto complimenti per la bravura come attore e non come stella del Bollywood.



Tra il settembre e l’ottobre 2007, usciranno due film noir, un genere quasi dimenticato nel cinema di Bollywood – Manorama six feet under (Manorama, sei piedi sotto) e Johnny Gaddaar (Johnny il traditore). Panorama con Abhay Deol e Johnny con Neil Mukesh, avevano due performance bravura ma nessuno dei due film trovò il consenso del pubblico.

In ottrobe, vi erano anche due film “grandi” con le grandi stelle di Bollywood: Bhool Bhulaiyya (Il Labirinto) e Laga Chunari Mein Daag (La mia sciarpa si è macchiata).

Bhool Bhulaiyya aveva Shiney Ahuja, Vidya Balan, Paresi Rawal, Amisha Patel, Rajpal Yadav e Akshay Kumar. Il film era la storia di un palazzo con un fantasma. Vidya Balan nel ruolo di una persona nella quale vive lo spirito vendicativo, era credibile e il film, ignorato dalla critica, ottenne il successo commerciale.

Laga Chunari Mein Daag con una lunga lista di grandi stelle di Bollywood (Rani Mukherjee, Abhishekh Bacchan, Jaya Bhaduri, Konkana Sen Sharma, Karan Kapur, Anupam Kher) fu subito deriso dalla critica perché ritenuta poco credibile la sua storia di una ragazza costretta a prostituirsi per aiutare la propria famiglia. Con tutte le opportunità di lavoro e sviluppo nell’India di oggi, pensare che prostituzione sia l’unico modo di trovare lavoro per una ragazza è difficile. Il film giudicato retrogrado fu anche ignorato dal pubblico ed era tra i più clamorosi insuccessi del 2007, anche se le performance delle due attrici, Rani Mukherjee e Konkana Sen Sharma, furono apprezzate.

Alla fine di ottobre, un altro film Jab We Met (Quando ci incontrammo) trovò il grande successo. I due attori del film romantico (Kareena Kapoor e Shahid Kapoor) furono apprezzati e allo stesso momento, la storia e la musica del film hanno trovato grande consenso sia della critica che del pubblico. Il film raccontava la storia di un viaggio di una ragazza sikh spumeggiante che chiacchiera in continuazione e un ragazzo che si trova in guai e pensa di suicidarsi. Si pensa che l’attrice Kareena Kapoor riceverà il premio per la migliore attrice del 2007 per questo film.



A metà novembre, era la volta di due film grandi – Om Shanti Om e Saawariya (Amore).

Om Shanti Om del regista Farah Khan era la storia di reincarnazione, probabilmente “inspirata” da alcuni altri film di Bollywood e aveva Shahrukh Khan, Shreyas Talpade, Arjun Rampal e Deepika Padukone. Nel film Om (Shahrukh) una comparsa nel mondo di Bollywood è innamorata di un’attrice famosa, Shanti (Deepika), ma entrambi sono assassinati. Entrambi rinascono e si vendicano del loro assassino. Era un film masala di Bollywood, senza grandi pretese per la credibilità, piena di danze e musica. Il film fu un grande successo commerciale.



Saawariya (Amore) con due attori nuovi (Ranbir Kapoor e Sonam Kapoor) era del regista Sanjay Leela Bhansali, riconosciuto tra i registi più importanti dell’India di oggi. Basato sul racconto “Notti bianche”di Dostoevsky, ambientato in una città immaginaria, un po’ Venezia, un po’ RK Films a Bombay, un po’ Parigi, il film fu deriso sia dalla pubblica e dalla critica.

Alla fine del 2007, il 21 dicembre è uscito è primo film del regista Aamir Khan, uno degli attori più famosi di Bollywood, conosciuto in Italia per Lagaan: C’era una volta in India. Storia di un ragazzo dislessico e del suo insegnate, il film Taare Zameen Par (Le stelle sulla terra) è stato definito dai critici il migliore film di Bollywood del 2007.


martedì 1 gennaio 2008

Auguri indiani di capodanno

Forse l’India è l’unico paese del mondo dove il 1 giorno dell’anno non è un giorno festivo. Forse ciò dipende dal fatto che gli indiani pensano che quello che succederà durante il primo gennaio influenzerà tutto l’anno. Per questo gli indiani consigliano di fare tutte le cose che vorresti fare durante l’anno in questa giornata – svegliare presto, ma poi tornare a letto per dormire ancora, farsi un bel massaggio rilassante seguito da un bel bagno, portare qualcosa di nuovo, fare tante coccole e possibilmente anche un po’ di sesso, tanti baci, cucinare una ricetta nuova insieme alla persona che amate, leggere un buon libro, guardare un bel film nuovo, ascoltare un po’ di musica, ridere molto, litigare un po’, dormire in pomeriggio, mangiare un dolce, fare una passeggiata o magari una nuotata, scrivere sul vostro blog, fare un po’ di lavoro che vi piace, un po’ di meditazione, una preghiera o magari un buon libro spirituale, … Datevi da fare subito, tutto quello che volete da questo 2008!

Auguri.


giovedì 20 dicembre 2007

Gender gap, la distanza tra uomini e donne

Ieri sera in un quiz televisivo, la domanda era, “Quale di questi stati ha avuto per primo un capo di stato donna”? La ragazza che doveva rispondere alla domanda iniziò dicendo, “India, l’escluderei, forse può essere un paese nordico …”. Alla fine, la risposta alla domanda era l’Islanda. Ma questo mi ha fatto pensare che come le nostre immagini mentali influiscono sulla nostra comprensione della realtà. Quanto ne so io, le donne forti che hanno guidato i loro paesi, non come figure decorative ma in sostanza, sono quasi tutte nel sud del mondo, da Golda Meir in Isreale, Indira Gandhi in India, Bhandarnaike in Sri Lanka, Benazir Bhutto in Pakistan, a Swarnaputri in Indonesia. Invece, se per caso dovessero eleggere Hilary Clinton come presidente degli Stati Uniti, penso che per domande simili, le persone risponderanno “Stati Uniti”!

Sempre ieri, ho sentito dire, “.. la democrazia più grande del mondo, gli Stati Uniti..”. Scusi ma grande in quale senso? Brogli elettorali o prepotenza? Se parliamo del numero dei cittadini che partecipano alle elezioni, la risposta doveva essere l’India.

E invece se la domanda fosse, come stiamo con la parità tra uomini e donne in Italia, quale risposta avreste dato? Il World Gender Gap Report, ossia, il rapporto sulla distanza tra le generi mi ha sorpreso. Non mi aspettavo di trovare l’Italia così in basso.

E’ vero che se devi basare tuo giudizio sulla condizione femminile in Italia su quello che vedi in televisione, non penso che Italia arriverà molto lontano. Basta pensare a tutte le veline, professoresse e personaggi femminili simili, condannate a fare qualche passo di danza e a sorridere in vestiti succinti, mentre sono gli uomini i veri conduttori dei programmi. Quando riescono a fare qualcosa di leggermente complicato, vengono elogiate con “Quante sono brave le mie professoresse!”

Ma pensavo che nella vita reale, le donne italiane non sono poi messe male. Invece il Gender Gap Report, mette Italia al 84 posto nella classifica di 128 paesi analizzati. E’ la Svezia al primo posto nella classifica, lo Sri Lanka arriva al 15 posto, Stati Uniti al 31, Bangladesh al 100, e India al 114 posto.



Il rapporto ha analizzato 4 ambiti per fare questa classifica, vediamo questi ambiti per capire dove le donne italiane non hanno raggiunto la parità con gli uomini:

Ambito economico e opportunità: per le disparità tra i salari percepiti dalle donne e dagli uomini per lo stesso tipo di lavoro, Italia è al 111 posto nel mondo. Il reddito annuale medio delle donne arriva a 18.070, mentre i maschi prendono 38.902. Donne in ruoli di commando sono 21%, e sono 45% per i lavori tecnici e altamente qualificati. Per cui in ambito economico, le disparità tra maschi e femmine sono alte.

Ambito educativo: In questo ambito l’Italia riceve punteggio molto buono. Per esempio, la presenza delle donne nelle scuole superiori e nelle università supera i maschi, per cui in queste due classifiche, Italia è al primo posto nel mondo.

Anche in Ambito della Salute, le disparità non sembrano molto rilevanti.

Ambito politico: Le donne in parlamento sono 17%, donne ministre sono 8% e nessuna donna ha mai occupato il ruolo di capo dello stato e del primo ministro. In queste classifiche, Italia perde molti punti.

Potete trovare molti più dettagli nel World Gender Gap report.

domenica 16 dicembre 2007

Una ricetta indiana: Pollo al burro (Butter chicken)

Introduzione: Si tratta di un piatto delicato ma sostanzioso, sicuramente non adatto se volete perdere qualche chilo! E’ un piatto per le grandi occasioni.

Spezie: Tutte le spezie si trovano presso i negozi asiatici e gli alimentari gestiti da persone dell’India, del Bangladesh e del Pakistan. Le spezie usate in questo piatto non sono piccanti e hanno diverse qualità medicinali – per esempio, il Curcuma è un antisettico e anti infiammatorio, mentre il Cummino è un digestivo. Per conoscere meglio il mistero delle spezie vi consiglio il libro “La maga delle spezie” (pubblicato da Einaudi) della scrittrice indiana, Chitra Banerjee Divakaruni.

Ingredienti:

Una cipolla media, 2 spicchi di aglio, un quadrato di zenzero (circa 2 cm per 1 cm), 1 pezzettino di finocchio (30 gm), 1 pezzettino di carota – tutto frullato insieme in un purée

Olio di oliva: 4 cucchiai

Spezie: sale secondo i gusti, 1 cucchiaio di curcumma, ½ cucchiaio di cummino in polvere, ½ cucchiaio di polvere di coriandolo, 1 cucchiaio di tandoori masala

Carne: ½ chilo di Pollo tagliato in pezzitini (non molto grandi, meglio se senza ossa)

Altro: una scatola di passato di pomodoro (o in cubetti), una confezione piccola di panna da cucina (50 ml), un cucchiaio di burro, 1 cucchiaio di salsa ketchup

Totale tempo di preparazione: 45-60 minuti

Ricetta

(1) Versate il purée frullato in una pentola capiente – personalmente mi piace usare il wok, ma se non l’avete, potete usare una pentola normale, aggiungete l’olio.



(2) Accendete il fuoco al massimo e mescolate il purée con olio. Aggiungete tutte le spezie.



(3) Il purée diventerà giallo. Fateli rosolare per circa 2-3 minuti, affinché il purée inizia a staccarsi dalla pentola.



(4) Versate i pezzettini di pollo e mescolateli con il purèe affinché la miscela di purée e le spezie coprono bene tutti i pezzi di pollo.



(5) Continuate a girare il pollo per circa 10 minuti con il fuoco alto, affinché i pezzettini di carne assumono un colorito rosa.



(6) Aggiungete il passato o i cubetti di pomodoro e un cucchiaio di salsa di Ketchup. Mescolate il tutto per bene per circa 5 minuti sul fuoco alto. Poi, abbassate il fuoco al minimo e coprite la pentola con un coperchio. Lasciate il tutto sul fuoco lento per circa 25 minuti, ma mescolate il tutto ogni tanto. Nel frattempo, potete pulire tutte le cose che avete sporcato fin'ora e mettere la cucina in ordine!



(7) Ora aggiungete un cucchiaio di burro e tutta la panna. Mescolate il tutto sul fuoco basso per circa 5 minuti e poi ricoprite la pentola per altri 5 minuti.



(8) Spegnete il fuoco. Il butter chicken o il pollo al burro è pronto per servire.


Il giorno che avevo scattato queste foto, questo piatto era stato molto apprezzato. Se provate a farlo, fatemi sapere se vi è piaciuto! Buon divertimento in cucina.

giovedì 29 novembre 2007

E dove il pensiero scientifico non arriva?

Chiara Lalli, bioeticista, non è covinta sull’utilità dell’omeopatia e cita uno studio inglese uscito sul giornale inglese The Guardian e la rivista scientifica The British Medical Journal, “Goldacre demolisce le false credenze riguardo ai presunti benefici dell’omeopatia, enorme contenitore in cui confluiscono interessi commerciali, cattiva informazione e vera e propria ignoranza scientifica”. Lei punta il dito contro il fanatismo omeopatico, “I sostenitori, mettendo in discussione la medicina basata sull’evidenza, spesso non adottano misure profilattiche importanti (molti fautori dell’omeopatia si oppongono al vaccino contro la rosolia per i propri figli…)”.

Condivido il pensiero di Lalli soprattutto per quanto riguarda il fanatismo di alcuni omeopati soprattutto in Europa, ma vorrei presentare alcune esperienze personali legate al tema. Forse l’India è il paese dove l’omeopatia, originata in Germania, ha trovato il terreno più fertile per il suo radicamento e per la sua crescita. E’ un sistema di salute riconosciuto dal governo indiano con tanto di università e scuole di omeopatia. Allo stesso momento, in India si riconosce il valore degli omeopati autodidatti e con grande sensibilità e esperienza. In India l’omeopatia è il sistema di cure sanitarie meno costoso in assoluto se confrontato con altri sistemi di medicina compreso altri sistemi tradizionali quali Ayurveda, Sidha e Unani. Spesso i medici omeopati offrono consulenza e medicine gratuite e in ogni caso, acquistare i farmaci omeopatici al mercato costa meno di un decimo di quanto costano le medicine “normali” (dette anche medicine allopatiche). E’ il sistema di medicina meno influenzato da interessi commerciali.

Alla scuola di medicina dove ho studiato a Nuova Delhi, avevo un professore di farmacologia molto scettico sulla medicina omeopatica, e forse è stata la sua influenza che quando ho cominciato a esercitare la professione di medico di base, non parlavo contro la medicina omeopatica, ma non la consigliavo agli altri.

India ha una cultura inclusiva, influenzata fortemente dalle religioni come l’induismo, il buddismo e il gianismo, dove si accettano che vi siano diverse strade per arrivare alla verità. Ciò evita esclusione degli altri perché anche se sono diversi da te, sono ugualmente accettati. Allo stesso tempo, questo modo di ragionare ti permette di sperimentare diversi approcci apparentemente contraddittori simultaneamente. Non ho mai incontrato un omeopata “fanatico” in India che consigliasse le persone di non vaccinarsi!

La mia opinione personale verso l’omeopatia mutò nel 1985, quando rimasi bloccato alla spalla sinistra con un forte dolore. Prima ho provato a curarmi da solo con gli anti infiammatori. Dopo due giorni andai da un amico ortopedico, il quale mi consigliò di cambiare il farmaco e mi disse che se non mi passava, si poteva provare con i cortisonici. Ma avevo già la nausea, i dolori gastrici e l’acidità per le medicine che prendevo. Il sabato andai a trovare mia zia che insegnava all’università e che aveva la pressione alta. Ogni tanto andavo da lei per controllare la sua pressione. Dopo, mentre prendevamo il thé, parlai del mio dolore alla spalla con il mio zio, un ex ufficiale del dipartimento di fisco in pensione e ora un medico omeopata caritativo nel suo tempo libero. Mi fece un sacco di domande sull’ora precisa del dolore, se mi faceva male respirare girato a destra o sinistra e tante altre cose che secondo la mia conoscenza della medicina, non centravano con la diagnosi o con la cura. Dopo lui mi preparò tre piccoli pacchettini di carta di un vecchio giornale e mi disse di prendere il primo pacchettino subito, il secondo alla sera e il terzo la mattina dopo. Erano piccole pastiglie dolci come si usano di solito in omeopatia.

Circa 10 minuti dopo il primo pacchettino, il dolore era completamente scomparso. Ero stupefatto. Pensai che forse era una casualità, forse era un effetto psicologico, ma conservai gli altri due pacchettini, che sono rimasti nel mio portafoglio per anni. Dopo qualche anno chiesi al mio zio di prepararmi qualche altro pacchettino di quelle medicine ma lui non si ricordava le medicine! Per lui bisognava approfondire ogni volta il problema e decidere la medicina adatta secondo quel approfondimento e mi disse che non esiste in omeopatia “una medicina per il mal di spalla sinistra”.

Da quella volta penso alla medicina omeopatica e alle medicine tradizionali in maniera diversa. Posso capire meglio uso delle piante e delle erbe perché tutto sommato il ragionamento scientifico dietro il loro uso è simile a quello che ho imparato alla scuola di medicina. Altri sistemi come agopuntura e omeopatia usano un sistema di spiegazioni che non sembrano logiche con il modo di ragionare “scientifico”. Non pretendo di capirli ma li rispetto.

lunedì 6 agosto 2007

Crescere in una famiglia non convenzionale

Sulla questione del riconoscimento dei diritti delle persone conviventi, compreso gli omosessuali, vi è stata molta discussione sull’importanza della famiglia e se una coppia formata da due persone dello stesso sesso può essere riconosciuto come una famiglia. E’ stato detto che una coppia dello stesso sesso non può essere paragonato ad una famiglia “normale” formata da un uomo e una donna, perché è contro natura, ecc.

Sul nuovo numero della rivista inglese Wellcome Science, è uscito un articolo sullo studio condotto dalla prof.ssa Susan Golombok dell’università di Cambridge sui bambini che crescono nelle famiglie non convenzionali. Prof.ssa Golombok è direttrice del centro di ricerca sulla famiglia in Inghilterra.

La ricerca più lunga riguarda bambini nelle famiglie formate da coppie lesbiche e copre un periodo di 24 anni.

Altre ricerche riguardano i bambini nelle situazioni particolari compreso bambini concepiti nella provetta, bambini nati con la fecondazione assistita (sia dove l’ovulo e lo sperma provengono da genitori naturali che dove lo spera è donato da un donatore esterno), bambini nati da gravidanze portate avanti da mamme affitta-utero.

Come gruppo di controllo la ricerca ha coinvolto i bambini che crescono nelle famiglie eterosessuali.

Vorrei parlare soltanto della ricerca che riguarda i bambini nelle coppie lesbiche, ciò è, formate da due donne, che è la ricerca più affidabile perché copre un periodo molto lungo (24 anni) per valutare l’impatto della famiglia non convenzionale sulla crescita di un bambino. Le altre ricerche coprono un periodo molto più limitato (circa 3 anni), per cui i loro risultati non sono altrettanto affidabili.

Per quanto riguarda i bambini cresciuti nelle famiglie formate da una coppia di donne, le credenze popolari includono le seguenti affermazioni: questi bambini non hanno amici, sono spesso vittime di attacchi e disprezzi da parte di altri bambini, hanno sviluppo psicologico non naturale per cui le ragazze crescono con eccessive caratteristiche maschili e i ragazzi crescono con caratteristiche femminili, bambini cresciuti in queste famiglie hanno maggiore difficoltà a stabilire rapporti normali con le persone del altro sesso, ecc.

Sulla base di queste credenze popolari, in diversi paesi del mondo una donna che vive in coppia con un’altra donna perde il diritto di tenersi i bambini, i quali sono affidati al padre o alle strutture statali dai tribunali.

La ricerca della dott. Golombok non ha trovato riscontri per nessuna di queste affermazioni. I bambini crescono e diventano adulti proprie come i bambini nelle famiglie eterosessuali, ne più ne meno. Secondo questa ricerca la qualità di come una coppia decide di fare i genitori è molto più importante di se è formata da persone lesbiche o meno.

Anzi, in questo studio hanno trovato che i bambini cresciuti in queste famiglie, quando sono diventati adulti, avevano rapporti molti migliori con i partner della propria madre, se paragonati con il rapporto tra i bambini e i loro patrigni nelle coppie eterosessusali dove le mamme avevano risposato, nel gruppo di controllo della ricerca.

lunedì 30 luglio 2007

Bollywood a Bologna

Poco dopo che sono salito in autobus ho capito che stava succedendo qualcosa di particolare. L'autobus numero 18 inizia vicino a casa nostra e quando sono salito, l’autobus era vuoto. Poi alla fermata successiva è salita una famiglia pakistana. Poi, alla fermata successiva, vi erano due famiglie del Bangladesh. E’ raro che le famiglie orientali, maschi, donne e bambini, tutti insieme, escono da casa alla sera dopo le 21,00.



Eravamo un po’ preoccupati che non saranno in molti ad assistere al film di Bollywood in Piazza Maggiore. Tutte le nostre iniziative fin’ora avevano avuto discreto successo ma era diverso organizzare qualcosa in una saletta con 100 posti e organizzare una proiezione in una piazza che può contenere 10.000 persone!

In ogni caso nelle iniziative organizzate dal Comune, la partecipazione di emigrati resta molto limitata.



L’iniziativa era stata organizzata dalla Cineteca di Bologna e dal Comune di Bologna. Avevamo mandato gli email a tutti i nostri contatti, chiedendoli di passare la parola e di far venire quante più persone possibili in Piazza Maggiore perché era una questione del nostro onore. Era la prima volta che Comune si organizzava qualcosa del genere a Bologna.

Sono decenni che si proiettano i film impegnativi (il cienma parallelo) dall'India, nei cinema d’essai delle città. I film come “Matrabhumi”, che parla del infanticidio femminile. Poche persone, sopratutto gli appassionati e gli studiosi del cinema, guardano questi film.



Negli ultimi anni, i film di registi come Mira Nair (Monsoon wedding, Destino nel nome), Gurinder Chadha (Bride and Prejudice, Bend it like Beckham) e Deepa Mehta (Fire, Water) hanno trovato un mercato in Italia, ma si tratta di film girati da persone che vivono in occidente e che cercano di mescolare la sensibilità indiana alle tradizioni cinematografiche occidentali.

Invece il cinema popolare di Bollywood, quello che produce centinaia di nuovi film ogni anno che si vedono in Asia, medio-oriente e Africa, quello che non cerca di adattarsi alla sensibilità occidentale, questo cinema è quasi sconosciuto in Italia.

Il film di ieri sera, Veer Zara, faceva parte di questa tradizione di Bollywood, cinema secondo i gusti indiani.

E’ stato un grande successo. La piazza era piena di emigrati e italiani, forse vi erano più emigrati. Oltre a tutte le sedie già occupate un’ora prima dell’inizio del film, centinaia di persone si erano sedute per terra da tutte le parti in piazza. Era una folla che respirava e viveva il film insieme. La scena quando Preity Zinta appare per la prima volta, si alza dal letto e si mette a cantare, ha fatto scatenare una prima ondata di fischi e applausi. Dopo questa prima espressione dell'apprezzamento, ad ogni canzone, sentivo le persone emigrate sedute intorno a me canticchiare e battere le mani.

Per una sera, gli emigrati asiatici si erano sentiti a casa loro nella piazza di Bologna. Proiettare il film era come legittimare la loro presenza in città.

Una ragazza italiana seduta vicina disse che le piaceva l’eroe, che aveva una faccia molto espressiva. "Si chiama Shahrukh Khan", le disse un bengalese emozionato e entusiasta seduto vicino, "ha girato molto altri film altrettanto belli!"

Forse dopo questo inizio così partecipato, avremmo altre iniziative che riconoscono il valore delle espressioni popolari anche se sono così diverse da forme artistiche più evolute e impegnative.

venerdì 27 luglio 2007

Biciclette – simbolo del consumismo?

Le notizie sul cambiamento climatico e l’inquinamento mi angosciano.

Ho scelto di usare la bicicletta quanto più possibile e così penso di mettere la mia coscienza a posto e posso anche sentirmi un po’ superiore a tutte queste persone le quali hanno bisogno di una grande berlina o peggio, una SUV mangiabenzina e mangiaspazio per sentirsi importanti sulle strade affollate delle città che ormai non hanno più posti liberi dove parcheggiare. Infatti, il giornale di oggi dice che Italia è il secondo paese del mondo per il numero delle macchine per abitanti, secondo soltanto al piccolo e ricco Luxemburgo, che abbiamo una macchina ogni due persone.

Ma ultimamente ho un dubbio: se anche la mia amata bicicletta è entrata nel meccanismo del consumismo e che ormai come individuo non posso fare niente per contrastare questo?

Prima di tutto oggi non puoi più comprare una bici semplice, ciò e senza il cambio shimano e senza tutta quella ferraglia che fa parte di questo cambio, e che è inutile sulle strade delle città.

Poi, quando ti si buca una ruota, che cosa fai? Cerchi qualcuno che te lo può aggiustare. Non è così facile come sembra. Sembra che la maggior parte delle persone che aggiustano le bici a Bologna sono vecchi e quando essi chiudono il negozio per qualche motivo, nessuno lo vuole riaprire e continuare il lavoro. Forse non c’è più interesse in questo mestiere perché non si guadagna bene? In ogni caso, penso che tutti i sud asiatici che aprono negozi clonati di alimentari, tutti clonati e tutti nella stessa zona in competizione con tutti gli altri, forse loro non l’hanno ancora che questo è un campo libero? Da una parte si dice non c’è lavoro, non sappiamo come contrastare questi centri commerciali che stanno ammazzando tutti i piccoli negozi e dall’altra, se hai la ruota della tua bici bucata, devi fare chilometri per trovare uno che te la può aggiustare!

E poi se trovi uno che te la può aggiustare, indovina cosa ti dirà? Dirà, costa troppa fatica aggiustare una camera d’aria, faccio prima cambiartela. E’ vero che comprare una nuova camera d’aria non costa molto e così un’altra camera d’aria va ad aggiungersi al mucchio di immondizie che nessuno vuole che sia seppellito in una discarica vicina a casa sua.

Questa anno, nei primi 7 mesi dell’anno, fin adesso mi si è bucata la ruota tre volte. Forse è una cospirazione dell’assessore per la viabilità che continua parlare dell’inquinamento ma che riesce a fare ben poco per ridurre il numero delle macchine nella città, che vuole convincermi che non ne vale la pena di andare in giro sulla bici?

Il sindaco di Parigi Bertrand Delanoë, socialista, ha lanciato un nuovo servizio che permette ai cittadini di noleggiare biciclette pubbliche presso 750 stazioni in tutta la città. Il servizio si chiama Vélib (viene da “velo” ciò è bici e da “liberté”, la libertà). L’abbonamento annuale costa 30 euro! Se l’amministrazione vuole ridurre l’inquinamento seriamente, potrebbe pensare a Bolib per Bologna!

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Qualche giorno fa avevo scritto della mia paura per il coinvolgimento di alcuni medici musulmani dall’India negli attacchi terroristici in Inghilterra. Oggi i giornali raccontano che uno di questi ragazzi è stato scarcerato dopo 4 settimane in una prigione australiana. La sua colpa era soltanto quella di aver dato la sua carta SIM del suo cellulare al suo cugino 2 anni fa, quando aveva lasciato Inghilterra per trasferirsi in Australia. Suo cugino era coinvolte negli attacchi. Forse gli investigatori australiani erano così convinti della sua colpevolezza che hanno “inventato” prove per giustificare la sua carcerazione.

Una persona innocente che è stata etichettata come terrorista, soffrirà le conseguenze di questa ingiustizia per tutta la sua vita.

E’ per questo è controproducente etichettare persone sulla base delle loro religioni. Si rischia di creare ingiustizie.

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Oggi la prima notizia di BBC riguarda circa 2 milioni di profughi iracheni. Si dice che sia la più grande emergenza umanitaria. La maggior parte di questi si trovano in Siria e Giordania. Sembra che ogni mese circa 50.000 iracheni stanno scappando dall’Iraq. Le persone e i paesi responsabili di questo catastrofe, loro cosa hanno da dire? Fanno fatica a giustificare quello che hanno fatto e quello che continuano a fare?

Potete immaginare la risposta da soli! Purtroppo.

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