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sabato 24 dicembre 2022

L'Arte di fare lo Scrittore

Amo leggere i libri e mi piace parlarne. Mi piace anche scrivere - questo blog ne è la prova. Molti anni fa avevo partecipato ad un corso di scrittura creativa. Attualmente faccio parte di un gruppo dei lettori e mi piacerebbe far parte di un gruppetto delle persone che scrivono o che cercano di scrivere.

Mi è sempre piaciuto scrivere. Il mio primo racconto (pubblicato in una rivista letteraria indiana) era nel 1983. In Italia, alcuni miei racconti sono usciti in qualche rivista (Incroci, El Ghibli) e in alcune antologie (Madre Lingua, Passaparole). Ho iniziato a scrivere un romanzo per la prima volta nel 2001 e da allora, ho provato a scrivere dei romanzi più volte, ma senza mai completarli. Finalmente, recentemente (dicembre 2022) ho completato il mio primo romanzo.

Questo mio scritto tocca un po' tutti questi punti.


Scrittori e Lettori

Nel 2009-10, avevo partecipato al corso di scrittura creativa organizzato da Eks&Tra - Laboratorio di Scrittura Interculturale a Bologna. Era un'iniziativa multiculturale con persone provenienti da diversi paesi. Far parte di questo gruppo mi aveva fatto capire il piacere di stare insieme alle persone che scrivono e di parlare con loro di quello che scriviamo.

Invece, fare parte del gruppo di lettura (Lettori in Circolo) dove discutiamo dei libri che abbiamo letto, mi ha fatto capire che non esiste un libro che piace a tutti. Anche i libri che io trovo belli, c'è sempre qualcuno del nostro gruppo che trova noiosi. Capire questo è stato qualcosa di liberatorio, perché vuol dire che bisogna scrivere anzitutto per il proprio piacere.

Comunque, in vita reale, quando uno scrive, far zittire la voce critica interna è difficile se non impossibile. Per questo penso che far parte di un piccolo gruppo di persone che si trovavano con le stesse mie insicurezze e ansie, e che danno un sostegno reciproco per i nostri momenti di crisi, sarebbe bello.

Utilità dei Corsi di Scrittura Creativa

Quel corso di scrittura creativa che avevo frequentato era utile perché ci aveva costretti a sperimentare nuovi modi di espressione. Per esempio, mi piaceva (e tutt'ora mi piace) scrivere in prima persona. Invece durante il corso, avevamo ragionato sui vantaggi e svantaggi di scrivere in terza persona o come un narratore esterno onnisciente.

Avevamo anche fatto esercizi di "pensare di essere" un ombrello o una scarpa e cercare di vedere la nostra trama da un punto di vista diverso. Provare a vedere gli eventi del nostro scritto da un'angolazione diversa è un bel esercizio, perché ci potrebbe far capire degli aspetti che avevamo ignorato.

Devo riconoscere anche il ruolo giocato da Daniele Barbieri, uno degli insegnanti del nostro corso, in apprendere l'importanza delle revisioni e di togliere tutto il superfluo dal nostro scritto.

Tutti questi sono gli strumenti di lavoro degli scrittori, più o meno utili - prima del corso, non ci avevo mai pensato bene a questi "strumenti".

Il Mio Romanzo

Negli anni 1990, avevo perso quasi tutti i contatti con la mia lingua materna (hindi). Nel 2001, dovevo stare a Ginevra per circa 6 mesi, mentre lavoravo all'OMS. Ero da solo e avevo più tempo, così avevo iniziato a scrivere un romanzo in inglese - dopo 2 anni l'avevo abbandonato incompleto. Nei venti anni successivi, ho provato a scrivere diverse volte e tutte le volte li ho abbandonati i miei romanzi incompleti.

Nel 2020, grazie al Covid eravamo chiusi in casa e ero in pensione. Ho ripreso la scrittura di uno dei romanzi che avevo abbandonato, con la differenza che questa volta scrivevo in hindi. Con l'internet, negli ultimi 15 anni, mantenere i contatti con gli amici in India, leggere i libri e le riviste in hindi e guardare i programmi e film in hindi è diventato molto facile, così poco alla volta avevo ritrovato la mia lingua materna.

Ho completato la seconda stesura del mio romanzo qualche giorno fa. Una casa editrice indiana si è mostrata interessata. Se andrà tutto bene, il mio primo romanzo uscirà nel 2023 in India.

Ho altri 2 libri nella testa - penso a questi 3 romanzi come la mia trilogia "Amar, Akbar, Anthony", un film di Bollywood degli anni settanta che parlava di fratelli smarriti e genitori separati dai figli - anche i miei 3 romanzi hanno le famiglie separate e disperse. Il primo è quasi pronto e ho le dita incrociate per finire anche gli altri due.

Leggere e Giudicare i Libri degli Altri

In passato, più di una volta, alcuni scrittori italiani mi avevano chiesto di leggere le bozze dei loro romanzi ambientati in India.

Quando le persone mi chiedono un parere sulla correttezza delle informazioni sull'India, è relativamente facile dare i miei consigli. Anche quando i loro scritti mi piacciono, è facile parlare con loro e spiegare che cosa mi è piaciuto e perché.

Invece, quando un libro non mi piace, faccio molta fatica a dire allo scrittore quello che penso perché so bene quanta fatica e sudore ci si mette a scrivere qualcosa. Scrivere un romanzo richiede ore, giorni e mesi, passati in solitudine a cercare le parole. Per ciò, non riesco a esprimere critiche sincere, e spesso preferisco non esprimere il mio parere in questo caso.

Ora che ho scritto il mio primo romanzo e l'ho mandato in giro alle persone per avere il loro parere, posso vedere questo stesso dilemma dall'altra parte. Quando qualcuno non mi dice quello che pensa del mio libro, posso capire le sue difficoltà - vorrei dirgli di non preoccupare, che capisco le loro difficoltà, e che va bene lo stesso.

Conclusioni

Il mondo dei libri è nato soltanto qualche secolo fa. All'inizio del 1900, più del 50% della popolazione italiana era analfabeta, mentre in India, quando è diventata indipendente nel 1947, questa percentuale di analfabeti saliva all'88%. Eravamo un mondo basato sulla cultura orale, dove i racconti erano il dominio delle cantastorie.

Poi per qualche decennio siamo diventati una cultura che si esprime tramite gli scritti, ma ultimamente con gli smartphone e gli App come YouTube e TikTok, la comunicazione orale è tornata ad essere importante di nuovo. Chissà, nel mondo di domani, ancora la gente leggerà dei libri? Ho letto di uno studio su come oggi la gente legge online - sembra che le persone dedicano meno di mezzo minuto a scorrere un sito o una pagina web e saltano la maggior parte delle parole.

Ciò dovrebbe dare conforto agli scrittori che passano ore e giorni a leggere, rileggere e correggere quello che scrivano? Non serve tormentarci più di tanto perché in ogni caso, i nostri lettori non leggeranno i testi parola per parola.
 
Alla fine due appunti:
 
(1) Se siete di Schio o nei dintorni e vi piace/piacerebbe scrivere e volete fare parte di un gruppo di sostegno reciproco per incontrare occasionalmente e di parlare di scrivere, lasciate un commento qui sotto.

(2) Se sapete l'hindi e volete leggere la bozza del mio romanzo, fatemi sapere - lasciate un commento qui sotto. Se dopo aver letto il mio libro, non avrete la voglia di darmi il vostro parere, non preoccupatevi, vi vorrò bene lo stesso.
 
E, per concludere un'immagine di Indro Montanelli mentre scrive seduto tranquillamente in un parco pubblico di Milano.



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lunedì 22 agosto 2022

Mammolo e la Regina dei Cuori Sanguinanti

Nota: Nel 2009-10, avevo seguito un corso di scrittura creativa a Bologna. Questo racconto è il risultato di quel corso, che era uscito nella antologia degli scritti dei corsisti.



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Primavera poteva arrivare anche in autunno? Come si faceva a sapere che non era solo un’illusione? E cosa doveva fare Fernanda, ascoltare la musica che si sentiva dentro o quella voce interiore che le diceva di non essere sciocca?

“Allora vi siete baciati?” Alba le aveva chiesto e Fernanda era diventata rossa come un peperoncino. “Non dire sciocchezze” aveva risposto bruscamente all’amica.

Ma Alba la conosceva da tutta la vita e aveva insistito: “Perché non puoi ammettere che Mammolo ti piace? Lo guardi come fosse George Clooney. Non devi sposarlo, ma solo farci un po’ di sesso”.

Fernanda aveva guardato l’amica con irritazione ma poi si era messa a ridere: “Hai una bella fantasia, dici le cose più assurde. Dovevamo parlare del banchetto per il mercatino, invece non so perché hai tirato fuori questa storia”.

Dopo una vita passata tra gli scaffali della libreria dove lavorava e le medicine della mamma, Fernanda aveva trovato terrificante il vuoto creato dal suo pensionamento e la scomparsa della mamma. Così si era rifugiata tra gatti randagi, piccioni affamati, anziani abbandonati e le attività della parrocchia.

Anche Alba si era messa a ridere, ma poi aveva aggiunto con un tono più serio: “Ti piace fare la regina dei cuori sanguinanti, invece per una volta nella vita dovresti pensare a te stessa. Forse hai paura”.

La sua amica aveva ragione, Fernanda lo sapeva. Aveva conosciuto Mammolo qualche mese prima nel parco mentre portava Blu, la cagnetta di Alba, a passeggio. Alba era andata a trovare la figlia a Roma e aveva affidato Blu a Fernanda per qualche giorno. Faceva freddo. Mammolo era seduto su una panchina e Blu aveva cominciato a abbaiargli.

“Non badi a lei, abbaia soltanto, non morde nessuno, vuole solo salutare” Fernanda aveva cercato di rassicurare ma poi aveva visto che la faccia dell’uomo era bagnata di lacrime: “Scusi, va tutto bene?”

Imbarazzato, l’uomo aveva cercato di asciugare la sua faccia. Si era alzato e andato via, balbettando qualcosa. Fernanda era rimasta lì a guardare la sua schiena mentre lui si allontanava, colpita dal dolore nei suoi occhi. Non l’aveva mai notato prima. Sembrava uno straniero. Forse aveva perso qualcuno?

Da quella volta aveva cominciato a cercarlo ogni volta che passava dal parco. Dopo qualche giorno, mentre tornava con la spesa, l’aveva visto di nuovo e si era fermata per salutarlo. L’uomo era arrossito ma aveva cercato di sorriderle. Sembrava una persona timida.

La volta successiva, quando l’aveva visto camminare nel parco, si era sforzata per raggiungerlo e camminare accanto a lui. Avevano scambiato qualche parola sul freddo e passeggiato insieme in silenzio.

“Abito in quella casa, vuole venire per un tè?”

L’aveva invitato a casa sua senza pensare ed era rimasta un po’ sorpresa dalla propria audacia. Lui aveva balbettato qualcosa riguardo un impegno.

“Magari un’altra volta?” lei aveva proposto e lui aveva annuito con un piccolo sorriso.

“Chi era?” Alba le aveva chiesto.

“L’ho conosciuto nel parco”, Fernanda non aveva voluto parlarne.

“Ti piace, vero?” Alba aveva insistito.

“Sei fuori di testa, dici la prima cosa che ti passa per la mente”.

Alba non si lasciava intimidire facilmente, “Nanda ti conosco da troppi anni, non puoi ingannarmi. Ti piace. Invece il tuo principe azzurro mi fa pensare a Mammolo “.

“Chi è Mammolo?” Fernanda aveva chiesto.

“Sai quel nano in Biancaneve e i sette nani, quello timido che continua ad arrossire?” Alba aveva strizzato l’occhio all’amica: “Mi piacerebbe tanto nascondermi nell’armadio della tua camera e guardarvi di nascosto. Sarà come vedere la matrigna di Biancaneve che va a letto con uno dei nani”.

Fernanda si era imbronciata, ma era difficile restare arrabbiati con Alba per lungo tempo. L’immagine di sé stessa, alta e magra con il caschetto di cappelli color bianco cenere, e lui così piccolo e calvo, le era sembrata così buffa che aveva cominciato a ridere insieme all’amica.

Intanto aveva continuato a incontrarlo. Avevano iniziato a parlare. Era venuto anche a sua casa. Lui si chiamava Puran, era originario dell’India e viveva a Bologna da circa 40 anni. Aveva sempre lavorato come cuoco in un ristorante indiano, uno dei primi in Italia, ed era andato in pensione alcuni mesi prima.

Dopo alcuni giorni, Fernanda gli aveva chiesto aiuto. “Puoi darci una mano? E’ per una festa dei popoli che si terrà nel parco di Corticella. Parteciperanno tutte le associazioni di Bologna. Ogni associazione deve presentare la cucina tipica di un Paese. Se ci dai una mano, possiamo presentare la cucina indiana”.

Così si erano incontrati più volte a casa sua e Fernanda aveva imparato a cucinare il “ciapati”, il pane indiano. Aveva avuto un po’ di problemi con qualche altro piatto, perché aveva scoperto di non sopportare il forte odore delle spezie indiane. Qualche giorno dopo Puran aveva cucinato il pollo e lei aveva subito voluto rassicurarlo per non urtare i suoi sentimenti: “Penso che questo pollo sarà squisito, sembra così gustoso e cremoso”. Invece quando lui era andato via, aveva cercato di assaggiarlo e poi l’aveva dato da mangiare a Blu.

“Allora raccontami dove sei arrivata con lui? Vi siete almeno baciati?” Alba le aveva chiesto alcuni giorni dopo.

“Allora non vuoi proprio capire?” Fernanda era esplosa. “Non c’è niente tra noi e non voglio andare a letto con lui! Voglio solo aiutarlo. È vedovo, non ha nessuno. È andato in pensione sei mesi fa e questo l’ha mandato in crisi. Era tornato in India, ma non è riuscito a adattarsi. Si sentiva cambiato, non andava d’accordo con i parenti. Alla fine è tornato qui di nuovo, ma non sa cosa fare. È depresso, e ha ammesso che ha anche pensato al suicidio. Ha appena cominciato a parlare di queste cose con me, ma fa fatica a parlarne”.

Per evitare le spezie, lei aveva trovato una soluzione: “Puran, penso che dobbiamo fare un bel dolce indiano, qualcosa di semplice ma diverso che può attirare le persone. Tutti i soldi che raccoglieremo serviranno per operare i bimbi nati con il labbro leporino.”

All’inizio lui non aveva capito bene di quali bambini lei parlava. “Sono i tuoi nipotini?” aveva chiesto.

“Non ho nipotini, né i figli, non mi sono mai sposata”, Fernanda aveva risposto.

Lui non aveva detto niente ma lei aveva capito la domanda non detta del suo sguardo. “Seguivo mia mamma che non stava bene e poi forse non ho mai trovato la persona giusta.” lei aveva aggiunto.

“E i bambini?”

“Sono bambini poveri del sud dell’India. Li opereranno e poi potranno frequentare la scuola”, Fernanda aveva spiegato.

“Andranno a scuola?” lui aveva chiesto, come se non riuscisse a capire quello che lei diceva. Allora Fernanda aveva cercato una copia della rivista dell’Associazione che le arrivava a casa: “Guarda qui, vedi questo appello per aiutare i bambini?”

Lui aveva annuito con la testa. Quando stava per andare via, Fernanda aveva allungato la rivista verso di lui: “Vuoi portarla con te, così puoi leggerla con più calma”.

Ma lui aveva scosso la testa con un piccolo sorriso: “Faccio fatica a leggere, non solo l’italiano ma anche la mia lingua. Ho cominciato a lavorare quando ero piccolo e ho studiato poco”.

Il giorno dopo quando lui era tornato, lei lo aveva portato in sala: “Puran, non facciamo nessuna ricetta oggi. Voglio parlarti. Cosa volevi dire quando hai detto che lavoravi da quando eri piccolo?”

Per un po’ lui l’aveva guardata in silenzio ma poi aveva raccontato la sua storia. Era nato in un villaggio di montagna nel nord dell’India. Studiava in seconda elementare quando suo padre era morto. Insieme a sua madre, abitavano con i fratelli di suo padre. Aveva smesso di andare a scuola, doveva badare alle capre e portarle al pascolo. Poi un parente aveva proposto di portarlo a Delhi, dove poteva lavorare in un ristorante e guadagnare di più. A Delhi era finito in una mensa universitaria e per due anni aveva avuto un padrone violento e ubriacone.

“Una sera il padrone aveva organizzato una festa per gli amici. Lui mi aveva chiesto di prendere una bottiglia di alcolico dall’armadio. Mentre camminavo verso il tavolo, sono scivolato e la bottiglia mi è caduta dalle mani. Lui era già ubriaco, è diventato furioso. Ha cominciato a picchiarmi”. Puran aveva alzato la manica sinistra della camicia per farle vedere una lunga cicatrice che passava intorno al gomito: “Mi sono tagliato contro un pezzo di vetro caduto per terra. Sanguinavo, ma lui continuava a picchiarmi e alla fine, mi ha cacciato fuori dalla porta. Diceva che per punizione dovevo restare fuori tutta la notte”.

Puran era rimasto in silenzio per un po’, perso nei pensieri. Poi con un lungo sospiro, aveva ripreso il filo della sua storia: “Era inverno, faceva freddo, ma non conoscevo nessuno, non sapevo dove potevo andare. Così ho passato tutta la notte fuori, vicino la porta della mensa, tremavo. La mattina dopo, mi ha trovato il marito di una delle professoresse che lavoravano all’università. A lui piaceva andare a passeggio presto. Lui mi ha portato a casa sua. Avevano fatto una denuncia al preside e quell’uomo che gestiva la mensa ha dovuto andare via”.

Fernanda aveva ascoltato la sua storia con un crescente senso di orrore e a un certo punto si era trovata con le lacrime negli occhi.

Puran le aveva sorriso e per la prima volta, aveva messo la sua mano sopra la sua: “Quel momento, quando sono scivolato e caduto, ha cambiato il corso della mia vita. Quando penso a quella notte, mi sento felice. Era un piccolo prezzo da pagare per avere un destino diverso”.

Lui aveva guardato fuori dalla finestra. Era una giornata calda. Nel parco, i bambini giocavano. Qualcuno si era disteso sull’erba per prendere il sole. Ma forse lui non vedeva tutto questo e invece vedeva il suo passato: “La professoressa e suo marito sono stati molto gentili con me. Dovevo aiutarli nei lavori di casa, ma potevo mangiare quanto volevo, potevo riposare e dormire senza preoccupazioni. Hanno provato a mandarmi a scuola, ma non volevo andarci. Mi sentivo troppo vecchio e non capivo niente, gli altri bambini mi prendevano in giro. Invece col tempo sono diventato bravo a cucinare”.

Qualche giorno dopo, quando Fernanda si era ripresa, aveva fatto una proposta a Puran: “Per tutta la vita ho lavorato in una libreria. Proviamo a leggere insieme dei libri? Non è detto che imparerai ad amare la lettura ma possiamo provare? Se ami i libri, non devi più preoccuparti per la solitudine, avrai sempre compagnia e conoscerai tanti mondi nuovi”.

Si sente confusa Fernanda, non sa cosa sente per Mammolo. Sa solo che si trova bene con lui. Oramai si incontrano ogni giorno. Fernanda cerca i suoi libri preferiti per leggerli insieme a lui.

È amore questo? Fernanda non lo sa.

Quando si siedono sul divano per leggere un libro, delle volte i loro corpi si toccano, le loro mani si sfiorano. Ieri avevano guardato insieme un film alla tv e a un certo punto si erano girati uno verso l’altro per guardarsi negli occhi. Per un attimo, Fernanda aveva pensato che lui stava per baciarla e presa da un piccolo attacco di panico si era alzata con la scusa di andare a bere qualcosa.

Vorrebbe dirgli che lei non è mai stata con un uomo prima d’ora ma non sa come affrontare questo argomento.

È cambiata. Dopo tanti anni, non è più terrorizzata all’idea di non fare niente. Resta seduta vicino alla finestra per guardare la primavera che si è esplosa nel parco con i fiori di diversi colori come i fuochi artificiali.

Primavera può arrivare anche nell’autunno della vita? Cosa deve fare Fernanda, ascoltare la musica che si sente dentro o quella voce interiore che le dice di non essere sciocca?

***

lunedì 23 maggio 2022

Il Poeta delle Rivoluzioni

Dushyant Kumar, il poeta indiano scomparso nel 1975, è chiamato "il poeta delle rivoluzioni". È uno dei poeti contemporanei più amati dell'India.
  
Se parliamo di scrittori indiani, alcuni nomi conosciuti a livello internazionale sono Arundhati RoyVikram Seth e Amitabh Ghosh - sono tutti scrittori che scrivono in inglese. Invece, tra gli scrittori che scrivono in lingue indiane, soltanto una piccolissima parte è conosciuta fuori dai confini nazionali. Negli ultimi anni, vi è stato un tentativo di tradurre nelle lingue europee le opere di alcuni, ma la maggior parte di loro rimane sconosciuta. Quest'anno (2022) per la prima volta un libro scritto in Hindi è entrato nei candidati per il premio Booker per le opere tradotte ("La Tomba della sabbia" di Geetashree).

Per quanto riguarda i poeti indiani, penso che oltre al nome di Rabindranath Tagore, nessun altro poeta indiano è conosciuto fuori dall'India.

Questo articolo parla delle poesie di Dushyant Kumar (pronunciato Dusciant). Penso che in qualche modo la sua figura può essere paragonata al mitico James Dean che incarnava i giovani ribelli nel cinema di Hollywood. Anche Dushyant era morto giovane e le sue poesie scritte circa 50 anni fa, sono ancora oggi cantate e gridate dai giovani indiani durante le proteste. Alcune di queste poesie sono state usate anche nei film di Bollywood.


Dushyant Kumar – Brevi Cenni Biografici

Dushyant era nato il 27 settembre 1931 nel distretto di Bijnor, a circa 200 km a nord-est di Delhi. Per le sue prime poesie, scritte quando era ancora adolescente, aveva scelta il pseudonimo di “Vikal” (malinconico). Si dice che l'improvvisa morte di 2 suoi fratelli in quelli anni l’avevano mandato in crisi e determinato il tono malinconico delle sue prime poesie.

Nel 1949, quando aveva 18 anni, era stato sposato con una ragazza di nome Rajeshwari, che allora aveva 16 anni. Dushayant morì per infarto nel 1975 all'età di 44 anni. Invece sua moglie Rajeshwari si è spenta nel 2021. La coppia aveva avuto 2 figli - Alok e Apoorv.

Dushyant si era laureato in letteratura indiana presso l’università di Allahabad. Il suo primo libro scritto in quelli anni, era una critica sui poeti locali. Era famoso per il suo modo di cantare e recitare le sue poesie nei raduni dei poeti. Oltre a centinaia di poesie raccolte in 5 collezioni, ha scritto qualche racconto, qualche critica letteraria e 2 pezzi teatrali, uno dei quali in verso. Tuttavia, ha trovato la fama per le sue poesie. 

Aveva passato la maggior parte della vita professionale nella città di Bhopal dove lavorava nel servizio radiofonico statale. Si sentiva attratto dalle lotte dei contadini e dei poveri lavoratori manuali. Molte delle sue poesie parlano della corruzione.

Le sue opere più popolari che esprimono la rabbia e sono usate nelle proteste, risalgono all’inizio degli anni settanta, l’epoca quando nasceva il mito dell’attore Amitabh Bachchan come “the angry youngman”, il giovane arrabbiato. Dushyant aveva frequentato la casa Bachchan quando studiava a Allahabad perché era un'ammiratore del padre, il poeta Harivansh Rai Bachchan.

Quelli erano gli anni di proteste in India, iniziate nello stato di Bihar nel nord-est, capeggiate da Jaiprakash Narayan (JP), e poi diffuse in diversi altri stati del paese. JP incolpava Indira Gandhi, allora il primo ministro, di un regime autoritario e invocava il Sampurna Kranti (rivoluzione totale).

La signora Gandhi aveva risposto con la dichiarazione dello stato di emergenza e messo in prigione la maggior parte dei politici dell’opposizione mentre tutti i giornali venivano censurati. Le poesie più infuocate di Dushyant risalgono a quel periodo. Pochi mesi dopo, Dushyant morì nel dicembre 1975 per un infarto.

Poco alla volta, i giovani hanno scoperto le sue poesie e hanno iniziato a recitarle durante le proteste e durante gli scioperi. Per esempio, dieci anni fa, India aveva avuto una serie di proteste contro la corruzione, che avevano messo in difficltà il governo. Quelle erano guidate da Anna Hazare e Arvind Kejriwal. Più volte Kejriwal, oggi il capo del governo di Nuova Delhi, aveva recitato le poesie di Dushyant durante i raduni.

Una selezione delle poesie di Dushyant, tradotta in inglese con il titolo “Redeeming Fuzzy Reflections” (Redimere Pensieri Sfumati) è uscita nel 2018 ed è disponibile su Amazon.

Due Poesie di Dushyant

Qui presento 2 delle sue poesie più famose, cantate spesso durante le proteste nel nord dell’India e usate più volte nei film di Bollywood. Per esempio in un video su Youtube, il famoso attore di Bollywood, Manoj Bajpai parla del fascino di Dushyant Kumar e recita una sua poesia

Le due poesie che presento qui sono: “Ho Gayi hai Pir Parvat Si” (Il dolore è diventata una montagna) e “Iss Nadi Ki Dhar” (Dalla corrente di questo fiume). Entrambe le poesie fanno parte della collezione “Saaye me Dhoop” (Sole nell’Ombra) del 1975.

Non penso di essere all’altezza di tradurre delle poesie. Penso che per tradurle, serve qualcuno che conosce la lingua meglio di me. Comunque, l'ho fatto con la speranza che ciò motiverà qualche studente italiano di hindi di approfondire le sue opere e magari preparare una collezione di sue poesie da pubblicare in Italia.

1. Iss Nadi Ki Dhar Se – Dalla corrente di questo fiume

इस नदी की धार से ठंडी हवा आती तो है, नाव जर्जर ही सही, लहरों से टकराती तो है
एक चिंगारी कहीं से ढूँढ लाओ दोस्तो, इस दिये में तेल से भीगी हुई बाती तो है
एक खँडहर के हृदय-सी, एक जंगली फूल-सी, आदमी की पीर गूँगी ही सही, गाती तो है 
एक चादर साँझ ने सारे नगर पर डाल दी, यह अँधेरे की सड़क उस भोर तक जाती तो है 
निर्वसन मैदान में लेटी हुई है जो नदी, पत्थरों से ओट में जा-जा के बतियाती तो है 
दुख नहीं कोई कि अब उपलब्धियों के नाम पर, और कुछ हो या न हो, आकाश-सी छाती तो है 

Dalla corrente di questo fiume arriva un po’ di aria fresca. Anche se malridotta, questa barca sa alle onde resistere.
Trovatemi una scintilla da qualche parte amici. Lo stoppino di questa lampada ha ancora un po’ di olio da bruciare.
Come il cuore delle rovine, come un fiore nella foresta. Il dolore dell’uomo sarà anche muto, ma esso sa cantare.
La sera ha steso una coperta sulla città. Questa strada buia, proprio in quella direzione vuole andare.
Il fiume svestito è steso per terra nella piazza. Dietro le pietre, di nascosto continua a chiacchierare.
Non abbiamo raggiunto nessun traguardo, non importa. Almeno un petto grande come il cielo c'è l'abbiamo.

2. Ho Gayi Hai Pir Parvat Si – Il dolore è diventata una montagna

हो गई है पीर पर्वत-सी पिघलनी चाहिए, इस हिमालय से कोई गंगा निकलनी चाहिए।
आज यह दीवार, परदों की तरह हिलने लगी, शर्त लेकिन थी कि ये बुनियाद हिलनी चाहिए।
हर सड़क पर, हर गली में, हर नगर, हर गाँव में, हाथ लहराते हुए हर लाश चलनी चाहिए।
सिर्फ हंगामा खड़ा करना मेरा मकसद नहीं, मेरी कोशिश है कि ये सूरत बदलनी चाहिए।
मेरे सीने में नहीं तो तेरे सीने में सही, हो कहीं भी आग, लेकिन आग जलनी चाहिए।

Il dolore è diventata una montagna che deve sciogliersi. Un fiume che nasce da questa montagna, ci vuole.
Oggi questo muro trema come una tenda. Una scommessa per far traballare le sue fondamenta, ci vuole.
In ogni strada, ogni viuzza, ogni città e ogni villaggio. Ogni cadavere che cammina con le braccia in aria, ci vuole.
Non voglio soltanto una baraonda. Tentare che vi sia un cambiamento in questo volto, ci vuole.
Se non è nel mio petto, che sia nel tuo. Non importa dove sta il fuoco, ma un fuoco che arde, ci vuole.

Le Poesie che Piacciono a Me 

Personalmente, mi piacciono di più le poesie romantiche di Dushyant. Per esempio, mi piacciono molto le ultime righe della sua poesia "Chandani Chhat Pe Chal rahi Hogi" (Il raggio di luna passeggerebbe sulla terrazza):

तेरे गहनों सी खनखनाती थी, बाजरे की फ़सल रही होगी
जिन हवाओं ने तुझ को दुलराया, उन में मेरी ग़ज़ल रही होगी

Quelle che tintinnavano come i tuoi braccialetti, forse erano le spighe di miglio
Quelle correnti d'aria che ti hanno accarezzato, forse c'era anche la mia poesia tra esse.

Conclusioni

Penso che tradurre le poesie è il compito più arduo per un traduttore. Le poesie di Dushyant hanno un ritmo e una melodia, è difficile mantenere almeno un'eco di quelle nella traduzione.

Penso anche che i pensieri che compongono una poesia sono molto legati alle culture e ai contesti dei loro poeti. Ciò rende le loro traduzioni più complicate. Le emozioni come il dolore e la rabbia, possono perdere almeno una parte della loro forza espressiva, isolati dal loro contesto storico e culturale. Per esempio, la seconda poesia di Dushyant (Il dolore è diventata una montagna) presentata qui sopra, fa riferimento ad un episodio quando la polizia aveva sparato sui manifestanti, uccidendo alcuni di loro. All’epoca, sentire le parole di questa poesia, che invitavano i cadaveri ad alzarsi, di continuare la marcia e di continuare a nutrire il fuoco della protesta, mi aveva fatto venire i brividi.



Ancora oggi, sentire una folla che recita insieme queste parole, mi emoziona, anche quando non condivido i motivi della loro protesta.

Ci ho messo molto tempo per scrivere questo post. L’idea di tradurre le parole di Dushyant Kumar mi faceva paura. Sono contento che alla fine l’ho fatto, anche se ogni volta che rileggo le poesie tradotte, mi sembrano tutte sbagliate. Se qualche lettore italiano che conosce hindi e ha dei suggerimenti per migliora queste traduzioni, ne sarò grato.

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lunedì 28 marzo 2022

Frammenti dell'India

Il libro “Il Viaggio: Finestre Italiane sull’India” (I Quaderni del Bardo edizioni, 2021) curato da Urmila Chakraborty, è un’antologia di scritti di persone che normalmente non appaiono nei libri. I loro scritti sono estratti di vita quotidiana che parlano dell’India.
Frammenti d'India di Urmail Charkaborty

Nell'antologia, non c’è nessuna pretesa di essere esaustivi e di voler raccontare tutto sull’India, ma sicuramente, troverete punti di vista e modi di raccontare molto diversi tra di loro.

È un libro per le persone che amano l’India o almeno che si sentono attratte dal suo fascino. Sono storie di persone che sono arrivate in India con diverse motivazioni - alcuni avevano scelto di andarci, altri vi sono arrivati quasi per caso, portati dalle correnti della vita. Mentre lo leggevo, mi è venuto in mente uno scambio di battute dal libro “Vita di Pi” di Yann Martel, quando il papà di Pi dice, “Lasceremo l’India, navigheremo come Cristoforo Colombo!” e Pi gli risponde leggermente stizzito, “Ma Cristoforo Colombo stava cercando l’India!

Penso che alla fine, quali scritti del libro vi piaceranno di più, dipenderà molto dai vostri gusti personali. Comunque, se vi interessa l'India, penso che sicuramente troverete qualcosa che ve la farà conoscere meglio e che vi sorprenderà.

Andare oltre gli stereotipi

Nell’immaginario popolare italiano, la prima parola che viene in mente quando si parla dell’India è la sua dimensione spirituale, collegata ai suoi antichi testi sacri e le pratiche come lo yoga e la meditazione. Questa dimensione spirituale è rinforzata dalle idee di non-violenza di Mahatma Gandhi, le poesie di Rabindranath Tagore, gli scritti di Herman Hesse e le opere di Madre Teresa.

Fino a qualche decennio fa, vi era un secondo aspetto legato all’India che era una parte fondamentale dell’immaginario italiano - il mondo dei pirati e dei thugs creato dai libri di Emilio Salgari.

Invece oggi, con la globalizzazione e le nuove tecnologie, i libri di Salgari hanno perso la loro presa, mentre il fascino dell'India come una metà spirituale si è rinforzato. I famosi guru indiani, da Mahesh Yogi (il guru dei Beatles negli anni sessanta) a Sai Baba e Bhagawan Rajneesh (Osho), continuano a trovare nuovi seguaci italiani. I libri di Tiziano Terzani hanno contribuito a rafforzare questa immagine dell’India. Per esempio, nel suo libro “Un Altro Giro di Giostra”, Terzani aveva scritto “Chi ama l'India lo sa: non si sa esattamente perché la si ama. È sporca, è povera, è infetta; a volte è ladra e bugiarda, spesso maleodorante, corrotta, impietosa e indifferente. Eppure, una volta incontrata non se ne può fare a meno.”

Negli ultimi decenni, l’immagine dell’India è stata arricchita da un aspetto nuovo - quello legato ai suoi ingegneri e gli esperti di informatica. È questo l'aspetto che sta dietro la storia personale di Urmila Chakraborty, la curatrice del volume e che appare anche in uno degli scritti.

Un libro sull’India vista dagli italiani che non focalizza sulla sua dimensione spirituale è una novità, come prende nota Stefano Caldirola, uno degli autori che nel libro racconta la sua esperienza in una città indiana provinciale: “Molte persone che conoscevo si erano avvicinate all’India perché attratte da diverse scuole di pensiero filosofico o religioso nate nel paese. Davano perciò per scontato che il fascino che l’India esercitava su di me fosse dovuto ai loro stessi motivi: un intimo interesse di natura spirituale verso pratiche o filosofie, sviluppate da ciascuno in un modo personale e articolato. Il pensiero che io fossi interessato allo studio dell’India “solo” perché affascinato dalla straordinaria diversità culturale e sociale del contesto indiano appariva non sfiorarli nemmeno.”

Le voci che compongono l’antologia

Il libro presenta un pot pourri di voci che variano da uno studente universitario che segue una ricerca in un’università indiana alla ragazza che va a cercare la famiglia della sua nonna di origine indiana, dalle persone che lavorano per i progetti di cooperazione a quella che decide di vivere in un villaggio e di aprire un'agenzia di viaggi molto particolare, dalle persone che si interessano di danza classica indiana, agli artisti in cerca di nuove ispirazioni e alle persone che vogliono apprendere la sua musica tradizionale.

Nel libro ho ritrovato più di qualcuno che conoscevo già, anche se non sempre conoscevo le circostanze che le avevano fatto avvicinare all’India - leggere le loro testimonianze è stato particolarmente gradevole.
Frammenti d'India di Urmail Charkaborty - Nuri Sala

Leggere questo libro era come viaggiare in un treno di notte e di guardare fuori dal finestrino, quando la luce del treno illumina brevemente un pezzo di un mondo nuovo. Uno degli aspetti più belli del libro sono i disegni di Paola Scialpi, che anche con una parsimonia di colori, rendono vive le diverse sfaccettature dell'India.

Il nuovo modo di raccontare l’India

Fino a qualche decennio fa, conoscevamo i mondi lontani tramite i racconti di giornalisti e scrittori. Il giornalista Ugo Trambali, nella sua introduzione al volume, lo spiega con le seguenti parole: “La fortuna del giornalista è di poter entrare in profondità nel paese che ha il compito di raccontare: almeno dei giornalisti della mia generazione. Oggi i quotidiani non hanno più soldi per mandare in giro i loro inviati per fare reportages. A causa di questo, col tempo hanno perso interesse e la curiosità necessaria per commissionarli.”

Invece oggi con l’internet e con le App come YouTube e Instagram, ogni viaggiatore può raccontare e condividere con il mondo la sua visione della realtà. Le persone interessate, possono avvicinarsi alla cultura indiana in molteplici modi senza il tramite di un professionista. Soltanto in un secondo momento, quando vogliono approfondire qualcosa, esse cercano un libro. Gli scritti del libro invece stanno già con un piede nel nuovo mondo, servono soprattutto per stuzzicare la curiosità ed a introdurre frammenti di mondi spesso nascosti ai viaggiatori comuni.
Alla fine

Fa bene vedere il proprio paese attraverso gli occhi degli altri. Le voci che parlano attraverso le pagine di questo libro, non sono quelle che hanno fatto ore di pratica per cantare in un coro melodioso. Anzi, sono spesso voci di persone che non sanno cantare o che non hanno mai cantato prima se non nella propria solitudine. Invece, qui si trovano tutte a dover cantare insieme. Il risultato comprende qualche nota discordante, ma anche quella ha una sua bellezza.

Ho molti amici italiani che amano l’India. Molti di loro hanno le loro storie emozionanti da raccontare sulle proprie esperienze. Mentre leggevo il libro, più volte ho ricordato loro. In questo senso, leggere questo libro era anche un viaggio nei ricordi delle persone con le quali ho condiviso una parte del mio cammino.
Frammenti d'India di Urmail Charkaborty - Mariapia Michelon e Vittorio Tonnon

Nota: Per ordinare il libro dal sito di iQdB Edizioni di Stefano Donno

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giovedì 13 dicembre 2018

Un Dolce Per i Bibliofili

Per il primo compleanno del nostro gruppo di lettura a Schio (VI), avevo preparato un dolce indiano, il Kalakand. Alcuni compagni del gruppo mi hanno chiesto la ricetta di quel dolce. Ho pensato che questa era una buona occasione per parlare anche del gruppo. Infatti, vorrei iniziare proprio dalla mia esperienza del gruppo.



Lettori in Circolo

Il nostro gruppo di lettura si chiama “Lettori in Circolo”, che si riunisce una volta al mese in un bar di Magré. Ogni incontro dura tra una o due ore. Prima di terminare l’incontro, decidiamo il nuovo libro da leggere e la data del successivo incontro.

Da quando ero bambino, ho sempre amato leggere i libri. Più di una volta ho scritto dei libri sul mio blog. Sapevo dei gruppi di lettura ma non ne avevo mai fatto parte. “Lettori in Circolo” è la mia prima esperienza in questo tipo di gruppi.

Un gruppo di lettura

A parte qualche giallo o thriller, ultimamente avevo smesso di leggere i romanzi. Leggevo soprattutto quello che in inglese si dice “Non fiction”. Invece il gruppo mi ha imposto di leggere dei romanzi. Non solo, erano libri che personalmente non avrei mai scelto di leggere – 3 Uomini e una barca, Venne chiamata due cuori e Dove porta la neve. Per ciò, a parte il piacere di trovare nuove amicizie, il gruppo di lettura mi ha costretto a uscire dalle mie abitudini e affrontare spazi mentali nuovi.

Inoltre, sapere che durante l’incontro dovrò parlare del libro, mi costringe a rallentare e soffermarmi di più su quello che leggo. Ultimamente penso di essere diventato un lettore più superficiale e affrettato. Se un libro non mi piace, lo metto via dopo poche pagine. Invece con i libri del gruppo, devo fare uno sforzo diverso. Mi ha fatto riflettere questo cambiamento di passo.

Poi è bello sentire i diversi pareri sui libri nel gruppo e osservare come lo stesso libro entusiasma alcuni, e lascia indifferenti gli altri.

La forza motrice del nostro gruppo, Michela, cerca di tenerci allineati e quando vede che le discussioni partono per le tangenti, le riporta in dietro al libro del mese. Inoltre, lei prepara degli stimoli per farci riflettere e raccoglie le proposte sui nuovi libri da far leggere al gruppo. È un ruolo che richiede passione e impegno. Se pensate di far nascere un gruppo di lettura, dovrete assicurarvi che vi sia qualcuno che assume queste responsabilità.

La ricetta di Kalakand

Dopo questa introduzione al gruppo, arriviamo alla mia ricetta. Quando ero un bambino, preparare il kalakand richiedeva molto tempo. Dovevi iniziare il giorno prima con la preparazione di Paneer, il formaggio fresco. Poi passavi delle ore a mescolare il latte che si cucinava sul fuoco basso affinché diventava solido. Invece la mia ricetta usa sostituti facilmente disponibili al mercato e richiede poco tempo.

Ingredienti

500 gm di ricotta fresca, 1 scatola di latte condensato (300-350 gm), una bustina di zafferano, semi di qualche cardamomo (pestati), una manciata di granella di mandorle, una manciata di altri semi (per esempio, semi di zucca o di melone) e zucchero secondo i gusti (solo se il latte condensato non è zuccherato).

Preparazione

In una pentola anti-aderente mettete la ricotta, versate il latte condensato e mescolate. Cucinate sul fuoco medio-basso. Aggiungete i semi di cardamomo pestati, lo zafferano e la granella di mandorle. Assicurate che la miscela non attacchi sul fondo della pentola, mescolate continuamente e cucinate per circa 20 minuti.

Versate la miscela in una scatola e sulla superficie posate i semi di zucca e di melone, premendo sopra leggermente con un cucchiaio. Lasciatelo raffreddare e poi tenetelo in frigo per qualche ora, affinché la miscela diventi solida. A questo punto potete tagliarla in pezzettini più o meno grandi secondo i vostri gusti.

Personalmente mi piace mangiare il Kalakand quando la miscela è ancora tepida. Immagino che sia pieno di calorie per cui non esagerate e andate piano con le porzioni!

lunedì 31 ottobre 2011

La collina delle tigri

Mi è piaciuto il libro di Sarita Mandanna, "La collina delle tigri" (editrice Piemme, 2010, titolo originale Tiger Hills, traduzione di Stefano Bortolussi).

Mentre leggevo questo libro, più volte avevo pensato che il libro poteva avere un altro titolo - "Il volo degli aironi", perché in tutti i momenti cruciali del romanzo, vi sono gli aironi nelle vicinanze. Il libro è un susseguirsi di momenti drammatici e di coincidenze struggenti. Con il suo modo di raccontare la storia, il libro mi faceva pensare ad una foresta tropicale e le emozioni forti del mondo di Bollywood.

Tiger hills by Sarita Mandanna

A proposito degli aironi, la scena iniziale del libro dove Muthavva, la mamma della protagonista, sta in una risaia e intorno a lei arrivano gli aironi, mi aveva fatto pensare alla storia del guru Ramakrishna Paramhans e alla sua estasi mistica quando aveva visto una coppia di aironi contro le nuvole grigie in cielo. In diversi momenti del libro, avevo queste sensazioni, di pensare che quella parte della storia poteva essere ispirata da questo o da quello ...

Il libro racconta la storia di un triangolo d'amore tra Devi, Machu e Devanna. Devi somiglia un po' a Scarlett O'Hara - è testarda, egoista e bella, desiderata da tutti, e pensa soltanto a quello che vuole lei. Devanna cresce nella sua casa e l'ama da quando è un bambino ma Devi ama soltanto Machu, un cugino molto più vecchio di Devanna, che è famoso perché aveva ucciso una tigre e che ha giurato di non guardare a nessuna ragazza per 12 anni.

Il libro è scritto in un linguaggio poetico. Per esempio, la scena iniziale degli aironi quando Devi sta per nascere è raccontata così:
Muthuvva non riusciva più a sentire nel vento la voce del cognato che gridava le sue istruzioni ai braccianti assoldati per la semina; le sue parole erano soffocate dal battito regolare delle ali. Gli aironi volteggiarono lenti, sempre più bassi, e alla fine effettuarono un'ultima, decisa virata e atterrarono ai suoi piedi. Circondata da un silenzioso mare bianco, Muthavva continuò a massaggiarsi distrattamente le reni. E a un tratto, senza alcun preavviso, gli aironi si rimisero in volo. Si levarono come a un segnale segreto, tutt'intorno a lei, riversandole adosso una cascata di scintillanti gocce d'acqua cadute dalle punte delle ali e dalle zampe. In quel preciso momento, non un attimo prima né dopo, Muthavva avvertì un fiotto di liquido tiepido sulle cosce. Sua figlia era arrivata.
Il romanzo è ambientato a Coorg, tra la comunità bramina che vive nelle montagne nel sud-ovest del Karnataka, alla fine del '800. Era anche la zona dove si erano stabiliti i coloni inglesi.  Questa società bramina di Coorg è una società feudale patriarcale ed è spiegata realisticamente, mentre gli indigeni Puleya "scuri come il carbone" che vivono a Coorg si intravvedono soltanto tramite il personaggio di Tukra che lavora come domestico nella casa di Devi.

Devi è costretta a sposare Devanna e ma lo odia per averla fatta perdere il suo amore Machu. Devanna consapevole della propria colpa, accetta il suo amore per Machu e accoglie il suo figlio in casa. Vi è una storia parallela dell'amore di Devanna per la botanica e il suo rapporto con il missionario tedesco che vede in lui l'ombra del suo amore perduto in Germania.

Come un altro libro, "La sposa bambina" di Padma Vishwanathan, che avevo letto qualche settimana fa, anche "La collina delle tigri" è una saga, una storia che segue la vita degli suoi protagonisti dalla nascita fino alla vecchiaia. "La sposa bambina" era ambientata nello stato di Tamilnadu, ad est di Coorg, non molto lontano e il mondo dei bramini dei due libri si somigliano.

In qualche modo Devi, la protagonista di "La Collina delle tigri" mi ricordava Thangam, la protagonista di "La sposa bambina". Comunque, a parte una vaga somiglianza per alcuni versi, "La collina delle tigri" è un libro scritto molto meglio, con la costruzione di personaggi più approfondita.

Anche in "La sposa bambina" vi erano molti personaggi ma erano tutti un po' superficiali, e questi personaggi entravano e uscivano dalla storia in continuazione. Invece in "La collina delle tigri" la scrittrice è molto focalizzata per cui i tre personaggi principali, Devi, Devanna e Machu, e alcuni famigliari di Devi sono delineati bene e il romanzo non perde tempo con gli altri personaggi meno importanti.

L'ultima parte del libro del rapporto tra Nanju, il figlio di Devi e Devanna, odiato dalla madre perché le ricorda il suo matrimonio, e Appu, il figlio di Machu, mi ricordavano i due protagonisti maschili del film "Main tulsi tere aangan ki" (Sono la pianta del tuo cortile) di Bollywood, dove una donna decide di crescere il figlio del amante di suo marito in casa sua.

"La collina delle tigri" è un libro piacevole e poetico, anche se è un po' troppo tragico-melodrammatico, un po' come le telenovelle indiane.

domenica 11 settembre 2011

Il mondo dei Tam-Brahms

I Tam-Brahms sono i bramini Tamil, un gruppo considerato chiuso e conservatore. Negli ultimi decenni, è anche uno dei gruppi che si sono affermati come "gli intelligenti indiani" che dominano gli istituti di alta formazione in tutto il mondo, soprattutto in campi tecnologici e le scienze. Il loro incontro e scontro con il resto dell'India e con le altre culture è stato oggetto di diversi film e libri - per esempio il film "Knock knock I am looking to marry" (2004) e il libro Two States (Due stati) di Chetan Bhagat.

I Tam Brahms (diminutivo di Tamil Brahmans ovvero i bramini tamil) è uno dei temi caldi anche sulla blogosfera. Per esempio, se non avete difficoltà con l'inglese, potete leggere - i matrimoni Tam Brahms, come discutere con i tam brahms,  di cosa parlano i tam brahms tra di loro, intervista con un tam brahm, perché le persone odiano i tam brahm, come riconoscere un tam brahm, ecc.

La sposa Bambina di Padma Vishwanathan
"La Sposa Bambina" di Padma Vishwanathan (Garzanti, 2009, traduzione di Giuseppe Maugeri, titolo originale "The toss of a Lemon") è la storia di tre generazioni di una famiglia di bramini tamil che inizia all'inizio del 1900 e segue i mutamenti di questo gruppo sullo sfondo dell'indipendenza dell'India e la lotta delle caste emarginate per la dignità.

La scrittrice Padma Vishwanathan è una Tam-Brahm, anche se nata e cresciuta in Canada e ora vive in America.

Il libro racconta la storia della famiglia di Hanumarathnam e la sua giovanissima sposa, Sivakasi. E' ambientato a Cholapatti nello stato indiano di Tamilnadu, a qualche ora di viaggio dalla capitale statale Chennai.

Verso la fine del libro, Thangajyothi, la nipotina di Sivakasi rivela che è lei la scrittrice del libro e ha voluto così raccontare la storia della sua famiglia. Invece, nelle note finali, Vishwanathan chiarisce che il racconto non è una autobiografia, è una storia inventata anche se è basata sulle storie che lei aveva sentito dalla sua nonna, Dhanam Kochoi.

Hanumarathnam è un giovane prete bramino, conoscitore dei movimenti delle stelle e dei pianeti, e bravo a tracciare gli oroscopi. Quando lui sposa Sivakasi, sa già che non avrà una vita lunga perché il suo destino scritto sulle stelle ha deciso così. Thangam, la loro figlia, ha ereditato il dono del padre di guarire le persone mentre Vairum, il figlio che con le stelle della sua nascita accorcia la vita al padre, è un bambino strano e irrequieto.

Hanumarathnam prepara la moglie ad essere indipendente dopo la sua morte e cerca un giovane uomo che potrà fare da serve fedele alla sua famiglia, e così aiutare la vedova Sivakasi. Alla fine Hanumanrathnam sceglie il giovane Muchami come servo, perché è preciso e ordinato, ma anche perché sembra non essere interessato alle ragazze.

Come predetto dall'oroscopo di suo marito, Sivakasi resta vedova a 20 anni. Deve rasarsi la testa al buio ogni mese e osservare un rigido protocollo di comportamento adatto alle vedove, compreso, evitare ogni contatto con i figli durante il giorno. Viverà tutta la sua vita così chiusa dentro il protocollo della casta con l'aiuto di Muchami.

I due figli di Sivakasi crescono con Muchami e con gli zii che abitano vicino. Come era successo per Sivakasi, a 9 anni i fratelli di Sivakasi cercano lo sposo per Thangam e identificano Goli, un bel ragazzo della loro casta. Vairum, il suo fratello invece sviluppa delle macchie bianche sulla pelle, e cresce come un ragazzo emarginato dalla propria comunità.

Il marito di Thangam si rivela un furfante buono a nulla e Thangam inizia a sfornare i figli, che poi crescono vicino alla nonna Sivakasi. Vairum, non crede agli oroscopi e insiste a sposare una ragazza che pensa di amare. Gli anni passano e le distanze tra Sivakasi e il figlio crescono. I figli di Thangam, nascono, crescono, sposano e muoiono.

Commenti: In circa 700 pagine il libro racconta una storia lunga e dettagliata con una descrizione delle antiche tradizioni dei bramini tamil e come queste tradizioni si scontrano con i mutamenti del tempo, con l'indipendenza dell'India e con la rivolta dei gruppi dravidici contro le tradizioni braminiche. I bramini tamil sembra che non possono continuare a vivere come vivevano in passato, devono cambiare ma non sanno come farlo. Molti di loro perdono le loro ricchezze e sono costretti a vivere da poveri, anche se continuano a sentirsi orgogliosi delle loro antiche tradizioni.

Una volta che ho iniziato a leggere il libro, non riuscivo più a metterlo giù finché non l'ho finito. Avevo un lungo viaggio in treno e il tempo è voltato via. Mi sembrava di essere dentro un soap-opera. Forse ciò dipende dal fatto che il libro è pieno di azione e movimento - a parte Sivakasi e Muchami, tutti gli altri personaggi entrano e escono continuamente.

Dall'altra parte il libro i personaggi del libro rimangono molto superficiali, perché il libro racconta quello che succede e quello che fanno le persone ma non descrive cosa pensano, come ragionano, e quali erano le loro motivazioni. Cosi alla fine del libro, quasi tutti i personaggi del libro restano un mistero. Molti personaggi appaiono per poche pagine e poi spariscono, come tutti i figli di Thangam (tranne Janaki, la madre di Thangajyothi che racconta la storia).

Sembra anche che la scrittrice vuole dare il messaggio che l'astrologia è una scienza esatta. Tutti i personaggi del libro obbediscono quanto scritto nelle loro carte natali. Vairum, il razionale che vuole liberarsi dalle catene delle caste e dalle tradizioni, decide di non accettare la tirannia degli oroscopi ma alla fine viene sconfitto dal suo destino che comunque segue quanto era stato predetto dal suo oroscopo.

Il titolo italiano del libro sembra richiamare lo stereotipo dell'India esotica e non ha le sfumature del titolo originale, "A toss of lemon" (un salto del limone), che fa riferimento all'ansia di Hanumanrathnam di conoscere l'ora esatta della nascita di suoi figli per poter tracciare le loro carte natali - infatti, l'ostetrica tradizionale che assiste Sivakasi ha l'ordine di buttare un limone dalla finestra appena esce fuori la testa del bambino.

Alla fine del libro, restano in mente le antiche tradizioni di una società patriarcale che fino ad un certo punto, ancora oggi governano la vita dei bramini tamil e degli altri gruppi che devono convivere con loro, come una gabbia di ferro dalla quale le vie di uscita sono poche e sbarrate. Resta anche un po' di frustrazione per non aver potuto capire fino in fondo i personaggi del libro.

*** 

giovedì 25 agosto 2011

Zachar Prilepin - poesia e desolazione della guerra

E' bello scoprire ogni tanto qualche nuovo scrittore che mi piace. Era successo così con Yiyun Li, anche se poi il suo secondo libro "I girovaghi", non mi aveva convinto (dopo 6 mesi devo ancora finire di leggerlo).

Comunque, ho trovato un altro scrittore che non conoscevo e che mi è piaciuto - si tratta di Zachar Prilepin, un giovane scrittore russo. Ho letto il suo libro Patologie (2011, Voland Roma, titolo originale "Patologii").

Zachar Prilepin

All'inizio quando ho preso il libro in mano, non ero sicuro se lo volevo leggere. Zachar è un veterano della guerra in Cecenia e il libro parla di un gruppo di giovani militari russi che vanno in Grosnyj (Cecenia) per una missione di 45 giorni.

Avevo subito pensato che leggere un libro scritto da un ex-soldato russo sulla guerra in Cecenia, sarebbe come leggere un libro scritto da un soldato israeliano sui bombardamenti di Gaza, e non ero sicuro se ero interessato a scoprire cosa pensano i soldati di una forza di occupazione. Dall'altra parte, penso di sapere qualcosa sulla storia del conflitto israeliano-palestinese, ma non ho una chiara idea dei motivi del conflitto tra i russi e i ceceni.

Le storie dei soldati sono storie di un mondo a parte - quello degli uomini senza le donne costretti a vivere in situazioni di intimità, con l'angoscia della de-umanizzazione della guerra. Non ero sicuro se volevo entrare in questo mondo.

Poi, nonostante un vago senso di disagio, o forse, proprio per questo senso di disagio, ho deciso di leggere il libro.

Zachar Prilepin è bravo a costruire il mondo del suo romanzo. Ergo, il suo eroe viene da una piccola cittadina russa, Svajatoj Spas, dove ha la sua ragazza, Dasa, della quale è molto geloso.

Il romanzo parla di guerra e di morte, per cui ha un linguaggio brutale e crudo, ma ogni tanto, vi sono brevi scene piene di poesia quando Ergo pensa alla sua tormentata storia d'amore. Per esempio, guardate questo passaggio:
Umido e iridescente, come disegnato nell'aria ad acquerello, compariva l'odore dell'estate, di fantomatiche betulle notturne, di piogge brevi come la riparazione istantanea di un calzolaio, di dolcezza. Poi, denso e pigro, affiorava l'odore dell'autunno, come disegnato con colori a olio, odore di alberi di navi di pino e tremolo incatramati, di mestizia. Bianco, gelido, smorto, disegnato come a pastello, l'odore dell'autunno era rimpiazzato dal sapore dell'inverno. I sogni si avveravano. Ci svegliava la sensazione di fame che si inerpicava come un ragno freddo sulla sommità di tutti i sogni, mettendo in fuga quel calore insopportabilmente dolce, spariva senza traccia quel beato torpore e quella tanto felice e fiduciosa cecità. ...
Dasa chiudeva svelta gli occhi, ma le pupille non riuscivano più a vivere dell'indifferente vita notturna e si animavano di nuovo. A quel modo balzerebbero da una macchia di lappole e ortiche due caprette, capendo che è arrivato il padrone.

Mi piace molto l'immagine delle caprette evocato da Zachar quando parla degli occhi della ragazza.

Il romanzo racconta la crudeltà della guerra, e in questo senso, alla fine non si discosta da altri romanzi del genere - i militari russi che ammazzano i ragazzi ceceni per non lasciare vivi i testimoni scomodi, i ragazzi cercano di anestetizzarsi con alcol, le mine anti uomo che scoppiano e all'improvviso uccidono i compagni, i ceceni che quando possono, sono altrettanto feroci nella loro violenza, ecc.

Alla fine del libro i pochi superstiti tornano in Russia alla fine dei 45 giorni, ma sono cambiati per sempre e porteranno le cicatrici dell'esperienza dentro di sé.

Comunque, è il linguaggio dell'autore che alla fine del libro, è rimasto con me:
La pallottola lo centra in mezzo agli occhi. Sul ceffo di Infame che era lì accanto, è come se avessero scrollato un pennello da imbianchino umido: il viso è coperto da schizzi di cavità oculare frantumata.
-Pffu che cazzo! - impreca Infame e si pulisce con la manica. Si guarda la manica con schifo e si mette a strofinarla con l'altra manica.
Sanja Stornello si gira e vomita le alici non ancora digerite.
Andiamo via.
Infame si dà da fare attorno alla vettura. Mi volto e lo vedo innaffiare di benzina i ceceni uccisi con una tanica trovata nel camion.

Alla fine del libro, non non ho capito niente su perché i russi ammazzano i ceceni, ma spiegare il perché del conflitto non era obiettivo dell'autore.

Alla fine del libro, è molto interessante la spiegazione di Enzo Striano, il traduttore del romanzo, riguardo le difficoltà di tradurre il gergo dei militari russi e le parole dei diversi dialetti russi.

***


giovedì 21 aprile 2011

Profezia

A Jean-Paul Sartre, che mi ha raccontato la storia di Alì dagli Occhi Azzurri.

Alì dagli Occhi Azzurri
uno dei tanti figli di figli,
scenderà da Algeri, su navi
a vela e a remi. Saranno
con lui migliaia di uomini
coi corpicini e gli occhi
di poveri cani dei padri

sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sè i bambini,
e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua.
Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali.
Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,

a milioni, vestiti di stracci
asiatici, e di camice americane.
Subito i Calabresi diranno,
come malandrini a malandrini:
« Ecco i vecchi fratelli,
coi figli e il pane e formaggio! »
Da Crotone o Palmi saliranno
a Napoli, e da lì a Barcellona,
a Salonicco e a Marsiglia,
nelle Città della Malavita.
Anime e angeli, topi e pidocchi,
col germe della Storia Antica,
voleranno davanti alle willaye.

Essi sempre umili
essi sempre deboli
essi sempre timidi
essi sempre infimi
essi sempre colpevoli
essi sempre sudditi
essi sempre piccoli,

essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per implorare,
essi che vissero come assassini sotto terra, essi che vissero come banditi
in fondo al mare, essi che vissero come pazzi in mezzo al cielo,

essi che si costruirono
leggi fuori dalla legge,
essi che si adattarono
a un mondo sotto il mondo
essi che credettero
in un Dio servo di Dio,
essi che cantarono
ai massacri dei re,
essi che ballarono
alle guerre borghesi,
essi che pregarono
alle lotte operaie...

. deponendo l’onestà
delle religioni contadine,
dimenticando l’onore
della malavita,
tradendo il candore
dei popoli barbari,
dietro ai loro Ali dagli occhi azzurri

– usciranno da sotto la terra per rapinare –
saliranno dal fondo del mare per uccidere, – scenderanno dall’alto del cielo
per espropriare – e per insegnare ai compagni operai la gioia della vita –

per insegnare ai borghesi
la gioia della libertà –
per insegnare ai cristiani
la gioia della morte
– distruggeranno Roma
e sulle sue rovine
deporranno il germe
della Storia Antica.
Poi col Papa e ogni sacramento
andranno come zingari
su verso l’Ovest e il Nord
con le bandiere rosse
di Trotzky al vento.

(Pier Paolo Pasolini)

Sembra che questa poesia parli proprio di quello che sta succedendo in questi giorni. Grazie a Luisella per aver condiviso questa poesia.

venerdì 18 febbraio 2011

E' tornata

E' tornata. Con una lunga intervista, dove anche le parole che parlano di mondi senza speranza, brillano come pietre forforescenti. Per esempio, leggete come lei racconta il suo rapporto con le parole:
As I said, it was just the beginnings of the recognition of pleasure. To be able to express yourself, to be able to close the gap—inasmuch as it is possible—between thought and expression is just such a relief. It’s like having the ability to draw or paint what you see, the way you see it. Behind the speed and confidence of a beautiful line in a line drawing there’s years of—usually—discipline, obsession, practice that builds on a foundation of natural talent or inclination of course. It’s like sport. A sentence can be like that. Language is like that. It takes a while to become yours, to listen to you, to obey you, and for you to obey it. I have a clear memory of language swimming towards me. Of my willing it out of the water. Of it being blurred, inaccessible, inchoate… and then of it emerging. Sharply outlined, custom-made.
Mi dispiace, non mi sento capace di tradurle in italiano. Se siete fortunati, forse Internazionale tradurrà questa sua intervista in italiano per il prossimo numero.

Invece se vi va bene la versione in inglese, potete leggere la nuova intervista di Arundhati Roy al sito di Guernica.

***

domenica 30 gennaio 2011

Suocere e Nuore

Da ragazzo a Delhi, pensavo che tutti i problemi legati ai rapporti tra le suocere e nuore, era qualcosa di specifico che riguardava solo l'India. Era uno dei temi più popolari nei racconti e nelle lettere delle lettrici che apparivano nelle riviste in Hindi indirizzate alle donne come Sarita, Manorama, Mayapuri, ecc. Oltre agli articoli sulla moda, sulla cucina, sulla pulizia della casa e su come prendere cura dei bambini, i problemi tra le nuore e le suocere, non potevano mancare da queste riviste.

Quando arrivavano a casa i parenti dalle città lontane per qualche matrimonio, le storie sulle suocere crudeli che facevano morire le povere nuore di stenti e di fame, e sulle nuore crudeli che stregavano i poveri ragazzi facendoli allontanare dalle famiglie, erano una parte importante delle chiacchiere pomeridiane.

Era una piccola sorpresa venire in Italia e scoprire che anche qui le storie sulle suocere e sulle nuore non mancavano, anche se non con quella intensità che si sente in India. Non solo in Italia, negli ultimi decadi, ho sentito infinite variazioni di queste storie, in più o meno tutti i paesi dove sono stato. Ci sono anche le storie dei suoceri ed i generi, ma non hanno lo stesso livello di melodramma e di intensità emotiva.

Una volta, questo tema era ricorrente nel mondo di Bollywood, ma ciò era prima dell'arrivo dei canali privati della tv. Se il tema delle telenovelas può essere considerato il metro per misurare l'importanza di un problema sociale nella vita delle persone, sicuramente in India, il tema delle suocere e delle nuore, nonostante i cambiamenti sociali e il progresso economico e sociale, continua ad essere fondamentale dato la sua continua e pervasiva presenza nei vari canali televisivi odierni. Una delle telenovelas più popolare degli ultimi anni è stata, "Kyonki Saas Bhi Kabhi Bahu Thi" ciò è, "Perché anche la suocera era stata una nuora".

Ho pensato al tema delle suocere e le nuore, quando ho letto il nuovo libro di Sudha Murty, "Il dollaro e la nuora" (Felici editore, 2010) tradotto in italiano da Jaya Murthy.

Sudha Murty, la scrittrice del libro è un'ingegnere ed è la moglie di Narayan Murty, il capo-fondatore di Infosys, una delle aziende di informatica più importanti del mondo, che ha fatto di Bangalore la silicon valley dell'India. Il libro è stato scritto proprio da questo stesso punto di vista, di una persona medio-borghese che conosce e apprezza le proprie radici tradizionali indiane, ma allo stesso momento, può guardare alla cultura occidentale in maniera equilibrata, riconoscendone i valori positivi e negativi.

Copertina, Il dollaro e la nuora di Sudha Murty, tradotto in italiano da Jaya Murthy

Il libro racconta la storia di Gowramma, una signora di Bangalore, e le due moglie di suoi figli Chandra e Ghirish. Chandra sposato con Jamuna, una ragazza ricca di Bangalore, vive in America mentre, mentre Ghirish sposato con Vinutha, una ragazza orfana e povera di Dharwad, vive con la suocera in India.

La prima parte del libro, centrata sul difficile rapporto tra la buona nuora Vinutha e la suocera Gowramma, accecata dalla ricchezza americana dell'altra nuora, è più vicina agli stereotipi indiani di suocere e nuore, dove tutto sembra suddiviso tra buoni e cattivi, senza molte altre sfumature.

La seconda parte del libro, centrata sulla visita di Gowramma in America e la sua scoperta dei diversi modi di essere indiani che hanno scelto di vivere in occidente, è molto più variegata, con tante diverse sfumature della diversità umana tra gli emigrati. Se per alcuni, America è sinonimo di perdere i contatti con le proprie radici, per altri, significa liberazione da tabù e oppressioni.

Il libro è chiaramente stato scritto per le sensibilità indiane con le sue melodramme e le sue emozioni, che ultimamente hanno trovato un apprezzamento anche in occidente tramite il mondo di Bollywood. In fatti, vi è già stata una telenovela indiana di grande successo basata su questo libro.

La sua traduzione in italiano, nel suo ritmo, nella scelta delle parole e nella costruzione delle frasi, riesce a mantenere l'originalità del testo in lingua indiana (kannada). Ho letto molti libri degli autori indiani tradotti da persone di grandi professionalità e sensibilità, ma non avevo mai avuta una sensazione come questa, quando ho letto questo libro, di leggere le parole in italiano con la cadenza indiana. Sembra che il libro segue in parte le regole della scrittura italiana e in parte le regole della scrittura kannada. In questo senso il libro ha un sapore esotico, che va oltre la trama della storia.

Il libro è anche una fonte autorevole per conoscere le tradizioni indù di Karnataka, raccontate in maniera naturale come parte del trama del libro, non inserite per spiegarle e raccontarle all'occidente come succede spesso con i libri scritti in inglese da autori indiani.

Se vi piacciono i film di Bollywood, non perdete questo libro. Penso che vi darà un po' di quelle stesse emozioni legate ai film masala. Non è grande letteratura, ma è un libro piacevole. Come tutti i film masala di Bollywood, si sa già come andrà finire la storia, ma il viaggio per scoprirlo ha i suoi momenti di sorpresa.

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lunedì 27 settembre 2010

Vite alla matrioska

Perché certi libri ci piacciono molto e gli altri no?

Preferisco leggere i libri che mi introducono alle esperienze nuove, non sperimentate prima. Allo stesso momento, preferisco i libri che hanno qualcosa di familiare, qualcosa con cui posso identificarmi.

Quando mi piace un libro, spesso vado a cercarne altri simili, ma più delle volte gli altri libri non danno lo stesso piacere.

Per esempio, mi piacciono le storie alla matrioska, dove la storia di una vita racchiude dentro di sé un altra, e quella ti porta ad un'altra ancora e così via. Spesso queste storie sono legate alla ricostruzione ossessiva di un passato.

Le storie alla matrioska ambientate sullo sfondo di shoah sono tra le mie favorite. Forse avevo 13 o 14 anni, quando avevo letto il mio primo libro di questo tipo e ne ero immediatamente catturato. La drammaticità degli eventi, le tragedie di tante vite, le lotte per la sopravvivenza nei ghetti e nei campi di concentramento, erano tutti elementi che mi colpivano con molta forza e quando leggevo una di queste storie, per settimane continuavo a sentire i loro echi nella mia testa.

C'è stato un periodo quando ero convinto che avevo vissuto in un campo di concentramento in un'altra vita. Sognavo di essere chiuso dentro un treno merci con tante altre persone. All'epoca, leggevo le storie dei giovani israeliani che lavoravano dentro i kibbutz e sognavo di andare un giorno in Israele per vivere dentro un kibbutz.

Negli ultimi 15-20 anni, quando ho iniziato a capire quello che succede in Palestina, la mia ammirazione per Israele si è disperso poco alla volta. Comunque ancora oggi continuo a cercare e leggere i libri che parlano di Shoah.

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Quando ho letto l'introduzione sulla copertina del nuovo libro di Gad Lerner, "Scintille - una storia di anime vagabonde", non ho resistito.

Come me, anche Gad è nato nel 1954 e come me, anche lui ha una famiglia mista dal punto di vista religioso - lui ebreo e la moglie cattolica. Inoltre, come me anche la sua famiglia ha lasciato pezzi di sé nei vari paesi dove ha vissuto. Potevo capire il suo desiderio di riscoprire i luoghi del passato:
... è nato in me l'impulso di visitare i loro luoghi. Non so perché, ma ero sicuro di riconoscerli. Frugando nel mosaico di felicità perdute, rintracciabili nei loro accenni, volevo capire cosa ci fosse d'inenarrabile nella vicenda che li ha schiacciati entrambi. Ho deciso di far da me, essendo la trasmissione naturale del racconto ostruita da grumi d'imbarazzo e avversione.
Invece nonostante tutte le promesse, non ho amato "Scintille". E' un libro interessante, da leggere senza annoiarsi ma non ha evocato la passione dentro di me. Ho avuto la sensazione che Gad non voleva lasciarsi coinvolgere emotivamente mentre lo scriveva. Tornare nei luoghi del proprio passato, nel tentativo di ricostruire le storie di parenti morti o scomparsi tanti anni fa, può essere qualcosa che ti tocca profondamente e ti cambia per sempre. Ciò è vero ancora di più se le storie del passato si sono consumate sullo sfondo di un evento drammatico come shoah. Invece nelle parole di Gad sentivo più il distacco del giornalista che le emozioni di un nipotino alla ricerca della storia di suoi nonni.

Anche lui ammette questo distacco, questa volontà di non lasciarsi coinvolgere troppo, quasi all'inizio del libro:
Cerco l'oggi, non l'eri. Scoprire cosa ne è delle dimore da cui siamo passati forse mi aiuterà a scacciare la tentazione del resoconto vendicativo, di un'altra saga familiare ebraica nei giorni infernali del Novecento, infarcita come di prammatica di controversie patrimoniali, aborti, richieste inoltrate ai figli o al fratello tramite avvocato. Un ginepraio in cui non fingerò di immedesimarmi: frugare nel passato per cucirlo su misura intorno ai nostri malesseri è un detestabile.
Inoltre, mi aspettavo un punto di vista diverso riguardo la religione ebraica da questo libro. Mi aspettavo lo sguardo di uno che conosce la propria religione, ma che ha vissuto un rapporto d'amore vicino ad un'altra religione e per cui, può guardare la propria religione con gli occhi nuovi. Invece, questo sguardo, diverso e nuovo, manca dal libro. Non voglio dire che il libro non sia interessante, ma l'ho trovato un po' limitato.

Per esempio, mi è piaciuta questa descrizione delle diverse anime degli esseri secondo la tradizione ebraica:
Ecco perché Bibbia necessita di nomi diversi per definire i diversi gradi dell'anima, come ricorda lo Zohar, cioè, il "Libro dello splendore", testo principe della Qabbalah: si tratta di nefes (spirito vitale), ruach (spirito) e neshamà (anima interiore o super-anima).
Mentre lo leggevo, pensavo alle descrizione dei diversi strati delle coscienze secondo la tradizione Ayurvedica in India.

Per cui leggere Scintille era come leggere un rapportage dei viaggi, scritto bene, in stile asciutto e giornalistico, ma non ho sentito le voci d'anima dei suoi personaggi.
Quando la storia infrange il mosaico della convivenza, ne prorompe il rancore delle vittime impossibilitate a rifarsi una vita. E intorno a loro si propaga l'ignoranza ben oltre i protagonisti del dramma, trasformando il senso comune; scavando un fossato incolmabile di estraneità negli stessi luoghi che per secoli, prima della separazione forzata, erano fioriti solo grazie alla loro capacità di far tesoro della convivenza.
Scintille - una storia di anime vagabonde, Gad Lerner, Feltrinelli editore 2010

martedì 10 novembre 2009

Tocca e fuga

Sulla prima pagina del quotidiano gratuito "City" di oggi, c'è una notizia presa da un blog. Da tempo si parla della imminente crisi dei quotidiani, l'emorragia dei loro lettori e il taglio del personale. Se non vi sarà il personale redazionale e gli opinionisti, alla fine i giornali saranno involucri da riempire con le notizie che possono essere abbinate alla pubblicità, il loro raison d'etre. E' dove trovare le notizie a buon mercato se non sull'internet e nei blog? Ma che la notizia più importante del giorno, quella in prima pagina con i titoli in grande, venga da un blog da una strana sensazione.

In tanto un quotidiano indiano ha deciso di pubblicare alcuni miei post presi dal mio blog in hindi, senza chiedermi o dirmi niente. Sono gli amici in India che mi hanno scritto per congratularsi, pensando che sono ora un grande scrittore perché appaio su un quotidiano così importante. In fin dei conti, non voglio essere pagato, anche perché la crisi ha colpito anche i quotidiani indiani, anche se ancora in maniera meno pesante, ma mi sarebbe piaciuta un po' di cortesia!

Comunque torniamo alla notizia apparsa su City, quella presa da un blog. Questa notizia riguarda la fuga dei cervelli da Italia e fa un conto del suo costo monetario annuale. Penso che sia triste questa situazione dove le persone più capaci decidono di abbandonare il proprio paese perché non trovano le opportunità.

L'articolo si conclude con le seguenti parole: "Il processo non è controbilanciato dall'afflusso di "cervelli" stranieri in Italia. Come ha documentato la recente ricerca della Fondazione Rodolfo de Benedetti, in Italia - per ogni cento laureati nazionali - ce ne sono 2,3 stranieri, contro una media OCSE di 10,45."

Qualche giorno fa sono stato a cena con un gruppo di scienziati indiani venuti in Italia per studiare alle università italiane. La maggior parte di loro è occupato in ricerca di alto livello. Sono giovani, hanno l'età di mio figlio e si occupano di campi come bioinformatica e nanotecnologia. Penso che anche loro sono un investimento per Italia.

Alcuni di loro parlavano di spostarsi in altri paesi europei o in America per qualche anno, per poi tornare a lavorare in India. Nessuno di loro sembrava interessato a continuare a vivere in Italia. Ma mi ha sorpreso il loro disinteresse verso Italia, un paese percepito come "difficile e burocratico". Molti di loro parlavano di amici italiani e dei loro professori con ammirazione, ma nessuno di loro sapeva parlare in italiano - anche se qualcuno di loro era in Italia da più di un anno. Qualcuno si lamentava dei problemi di avere permessi di soggiorno, qualcuno della difficoltà di far venire in Italia la moglie, e molti parlavano di non vedere l'ora di finire e di andare.

"Potresti anche deciderti di fermarti qui?" ho chiesto a uno di loro.

"Ma se non sanno prendere cura dei propri giovani scienziati, pensi che loro prenderanno cura di noi?" mi ha risposto con un sorriso.

Uno di loro mi ha chiesto, "Ma tu conosci bene Italia, cosa pensi come andrà? Riusciranno a riprendersi?"

Mi ha fatto sentire un po' triste, questa loro percezione di un paese bello con della gente simpatica, ma essenzialmente morente, senza grandi speranze.

domenica 1 novembre 2009

Identità, dolore e violenza

Oggi (3 ottobre) ero a Ferrara al Festival di Internazionale, definito come "un weekend con i giornalisti del mondo". E per la prima volta nella mia vita, ero ufficialmente "un giornalista"! Alcuni giorni fa avevo provato a compilare il modulo per i giornalisti al sito del Festival, giustificandolo per il mio rapporto con il sito di Kalpana e poco dopo avevo ricevuto la conferma della mia registrazione.

L'anno scorso al premio Grinzane Cavour ero stato uno "scrittore", anche quella era la prima volta che mi ero trovato nei panni scomodi di un'identità nuova!

Sia come scrittore che come un giornalista, mi sento un po' un impostore e forse un traditore, forse perché dentro di me, vorrei sentirmi ancorato alla mia identità di medico e magari di quello che lavora per un organismo umanitario senza dubbi e ambiguità? Ci ho pensato, quando Suad Amiry, la scrittrice e architetto, metà palestinese e metà siriana che vive a Gaza e scrive della vita palestinese, si è definita come "scrittrice per caso" (accidental writer).

Cosa significa sentirsi dentro di se diverse identità? Suad ha detto che è naturale avere identità multiple, che siamo anche figli e genitori allo stesso momento, siamo fratelli e zii allo stesso momento, così possiamo essere anche architetti e scrittori allo stesso momento. Lei definiva la propria identità come le 20 pagine di un libro, che viene semplificata e ridotta a una pagina sola, quella di essere "musulmani arabi fanatici" per poter colpirli e giustificarsi davanti agli altri. In questo senso, le parole che parlano delle nostre identità, le descrizioni dei popoli che evocano le nostre immagini, sono strumenti molto potenti.

"C'era un tempo che dicevano che le mamme vietnamite, non erano come noi. Mandavano i propri figli a morire per le strade. Oggi siamo noi, le mamme palestinesi, ad essere descritte così", ha detto Suad.

E' stato molto bello e forte la sessione su "La scrittura al tempo della violenza". I tre relatori rappresentavano tre diversi modi di essere scrittori e di ragionare sulla violenza nella loro scrittura.

Abdourahman Waberi, originario di Gibuti, che vive tra Francia e Stati Uniti, ha scritto "Gli Stati Uniti d'Africa", nel quale lui capovolge il mondo e guarda alla "povera Europa" dagli occhi di un'Africa ricca e potente, e vede le tribù e le etnie in lotta tra di loro in Italia, in Svizzera, in Belgio. Il suo approccio mi sembrava più intellettuale e cerebrale.


Romesh Gunesekera, originario di Sri Lanka, cresciuto tra le Filippine e l'Inghilterra, ha parlato dei suoi libri come "the Reef", dove storie umane all'improvviso si trovano mischiate nella violenza. Il suo modo di parlare e di ragionare sul suo lavoro era molto più legato all'emotività e alla sensibilità umana.

Dopo l'incontro, mentre camminavo con Romesh fuori, parlavamo degli scrittori emigrati per i quali il tema della ricerca delle proprie radici è spesso una fase importante del loro lavoro. Lui ha risposto che "tutti i bravi scrittori sono stati emigrati - da Dante a Shakespear". Era un'affermazione che mi ha incuriosito. Sapete dei bravi scrittori che non sono mai andati fuori dalle proprie città, per rispondere a Romesh? Comunque, penso che non è una domanda molto chiara, perché come si fa a definire "un bravo scrittore"?


Invece Suad Amiry parlava della violenza come vita vissuta, non come qualcosa di astratto. Aveva un modo molto semplice di parlare e spesso cercava di sdrammatizzare quando parlava delle situazioni tremendamente dolorose o tragiche, cercava di farci ridere. Invece aveva due occhi pieni di tristezza, e nonostante la risata o il sorriso, ogni tanto il tremolio della sua voce o gli occhi che diventavano lucidi, tradivano il dolore. Mi è piaciuta molto e vorrei leggere i suoi libri.


Maria Nadotti, giornalista italiana che conduceva l'incontro è stata brava. La sua osservazione che mentre emigrazione riduce e rimpicciolisce i paesi coinvolti nelle guerre, allo stesso momento espande i loro confini, per esempio come gli scrittori emigrati, mi è piaciuta molto e mi ha fatto riflettere.


Dopo questo incontro, ho ascoltato anche Christian Caujolle, il responsabile dell'agenzia di fotografia Vu di Parigi. Mi aspettavo qualcosa di diverso e non sempre condividevo quello che lui diceva. E' vero che la mia comprensione del francese non è proprio perfetta, e forse non ho capito bene quello che lui diceva, ma la distinzione che lui faceva tra la fotografia come un'immagine stampata frutto della reazione delle particelle di argento e le immagini digitali, mi è sembrata più una posizione nostalgica che di reale differenza.


Non mi trovavo anche con il suo discorso sulla quantità e la qualità per parlare della fotografia digitale come qualcosa di inferiore. Ma anche le macchine fotografiche tradizionali, ormai non erano usate da tutti? Forse lui parlava dell'enorme quantità di foto che si possono fare le macchine digitali?

Invece mi è piaciuto il suo discorso sul rapporto tra la macchine digitali e l'internet e come le due tecnologie sono venute insieme per crescere, rinforzandosi a vicenda.

Il mio ultimo incontro del pomeriggio, l'avevo con la giornalista cinese Karen Ma che vive a Nuova Delhi. Mentre l'aspettavo, ho visto Fred Pearce, il giornalista della rivista scientifica New Scientist, che appare spesso anche su Internazionale con il suo pezzo sul valore ecologiche delle nostre scelte quotidiane. Mentre l'argomento ambiente è tra le mie passioni, il suo modo di ragionare mi lascia indifferente e raramente lo leggo.


L'incontro con Karen Ma mi ha sorpreso. All'inizio, si vedeva che non era a proprio agio mentre parlava con me. Conoscendo i delicati rapporti tra India e Cina, potevo capire la sua paura di trovarsi in qualche pasticcio con la stampa indiana. Invece dopo un po' si è rilassata. Mi ha sorpreso un po' la sua considerazione che non riesce a capire il modo di ragionare degli indiani, i quali non dicono mai niente in maniera chiara, sopratutto quando non sono in accordo con qualcosa o se devono dire di no per qualcosa. Penso che sia un tratto comune in tutta Asia, questa difficoltà ad essere sinceri e chiari per "non urtare i sentimenti del altro" o "per non essere maleducati"! Anche tra i cinesi, penso che funziona così. Forse lei ha bisogno di più tempo per iniziare a capire il linguaggio non verbale degli indiani, quando vogliono dire di no, le ho suggerito.


Ho registrato tante interviste e interventi oggi al Festival. Spero prima o poi, di trascriverli tutti e presentarli. In tanto, sono felice per questa giornata così stimolante e ricca, grazie a Internazionale.

giovedì 11 dicembre 2008

Un nuovo racconto

Un mio nuovo racconto è uscito sul numero 18 (luglio-dicembre 2008) della rivista Incroci – semestrale di letteratura e altre scritture pubblicato da Mario Adda Editore Bari, curato da Lino Angiuli e Raffaele Nigro.


Sono ancora molto insicuro all’idea di scrivere in italiano. Quando rileggo i miei scritti in italiano su questo blog, mi sembra che siano pieni di errori e che dovrei ritornare a correggerli uno ad uno.

Forse in italiano non esiste una forma di scrittura corretta, ma esistono delle forme migliorabili molto soggettive. Il mio racconto, prima di essere inviato a Lino Angiuli era stato controllato e corretto da 3 persone, ciascuna delle quali aveva individuato degli errori e li aveva corretti ma poi anche Lino ha dovuto correggere qualcosa prima della stampa!

Il mio racconto si intitola “Viaggi”. L’introduzione al racconto scritto da Lino Angiuli riporta il seguente testo: Il viaggio, quello fisico e “quotidiano”, quello che ci fa trasferire da un luogo all’altro in treno, può costituire un momento in cui sì “incrociano” vite, culture, mondi e visioni del mondo. Ce lo dimostra questa narrazione autobiografica, limpida e intensa ...

Veramente il racconto non è autobiografico, è un racconto che trae ispirazione da cose viste o sentite, ma è sempre e soltanto un racconto. Comunque mi piace questa introduzione perché coglie il significato di questo racconto.

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