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lunedì 4 marzo 2024

Camminare Diversamente: Libro - Passo Lento

Recentemente, Antonella Patete e Nicola Rabbi hanno scritto un libro, "Passo lento -
Camminare Insieme Per l'inclusione
", pubblicato da Edizioni La Merdiana. Il libro parla di alcune esperienze di camminare insieme agli altri, tra i quali anche alcune persone viste come diverse.

Conosco Nicola Rabbi forse da circa 30 anni, l'avevo incontrato al Centro di Documentazione Handicap di Bologna, dove è il responsabile della comunicazione. Per molti anni ha diretto la loro rivista HP-Accaparlante ed è un giornalista specializzato sul tema della disabilità e le differenze. Per molti anni, Nicola ha collaborato con AIFO, dove lavoravo e siamo diventati amici. Quando Nicola mi ha parlato del suo libro, ne ho voluto sapere di più.

Di cosa parla il libro?

Il libro parla di alcune esperienze di cammini insieme agli altri, tra i quali vi sono persone considerate diverse. Nel libro, Nicola ha tre scritti - Asini, Neve e Foglie; e, Antonella Patete ne ha due - Sabbia e Pioggia.

Angelo Ferracuti nella sua prefazione dice che le esperienze di camminare insieme alle persone 'diverse', "invece che un limite o un deficit comportamentale o sociale, diventa una forza per guardare in maniera originale e diversa l’altro da sé e il mondo circostante, così come una forma di riscatto ed emancipazione". 

Una chiacchierata con Nicola Rabbi

Ho parlato con Nicola riguardo questo libro, ecco quello che mi ha raccontato:

Passo Lento è nato per caso. Avevo percorso assieme a un’amica fotografa il cammino di San Benedetto che si snoda lungo gli appennini centrali. Eravamo un gruppo composto da volontari, educatori e persone con problemi di salute mentale. La cosa più originale di questa avventura era la presenza di 4 asini che portavano i nostri bagagli e a cui noi dovevamo accudire.

L’idea era quella di scrivere un servizio giornalistico corredato da alcune foto per una rivista ma, quando era stato il momento di concludere, poi il caporedattore non l’aveva pubblicata.

A me piaceva l’idea che stava dietro a questo reportage, ovvero che il camminare assieme fa stare bene tutto il gruppo per motivi vari: stai all’aria aperta, interrompi il solito ritmo di vita quotidiana, fai nuove conoscenze, ma forse ti senti meglio anche per qualcosa di atavico e misterioso: noi all’inizio, eravamo una specie nomade e ci spostavamo in gruppo per proteggerci e sopravvivere e questa esperienza è rimasta dentro di noi. Quando ho iniziato a scrivere questo articolo non avevo sviluppato un ragionamento così articolato ma mi ero buttato d’istinto, per divertimento.

Non esisteva un progetto per un libro ma questa idea è scattata quando, parlando con la mia collega Antonella Patete, ho saputo che lei partiva per un cammino di qualche giorno nel deserto del Marocco in un gruppo dove molte persone erano cieche. Da qui la proposta di fare altre viaggi e di riunirli in un libro.

A quel punto mi sono messo in contatto con associazioni che sulle Alpi italiane organizzano percorsi con le joelette e ho chiesto di partecipare. Le joelette sono delle biciclette mono ruote che permettono a persone con problemi motori di andare su in montagna. Antonella ha trovato un’altra occasione di viaggio con dei ciechi nelle terre mutate, ovvero quella zona dell’appennino colpito dal terremoto del 2016.

Il quinto e ultimo servizio giornalistico dedicato a questo tipo di viaggi, l’ho fatto con dei minori migranti non accompagnati e i loro educatori; siamo andati a camminare con le ciaspole sulle nevi degli appennini bolognesi.

Io e Antonella ci siamo dati un anno di tempo per realizzare il tutto e quindi abbiamo potuto scrivere con calma e curare molto questo aspetto.

Presentare il libro al pubblico

Nicola ha anche spiegato i loro futuri piani per far conoscere il libro.

Il libro è stato pubblicato dalle edizioni la meridiana con cui da alcuni anni curiamo una collana editoriale dal titolo I Libri di accaParlante, che si occupa di accessibilità, non solo fisica ma anche, anzi soprattutto, alla cultura.

Nel corso del 2024 saremo impegnati in una serie di presentazioni in varie parti di Italia perché questa esperienza merita di essere conosciuta: non importa la tua condizione fisica o mentale, la tua età, non occorre essere delle persone atletiche per camminare assieme, tutti lo possono fare e alla fine della giornata, probabilmente, molti avranno delle cose piacevoli da raccontare.

Conclusioni

Molti lamentano che oggi viviamo in un mondo sempre più veloce e caotico, troppo preso dalla tecnologia e il virtuale. Invece con l'esperienza dell'età, penso che più vecchi diventiamo, più facilmente scopriamo i piaceri della lentezza, di fermarci a guardare o a pensare e ricordare. Se non vi sono altri problemi, sopratutto del corpo, che non ce lo permettono, il camminare, da soli o in compagnia, anche di un cane o di un asino, diventa uno dei piaceri più grandi nel diventare vecchi!

Nicola inizia il suo primo racconto con un’esperienza di cammino sugli Appennini laziali, dove sono accompagnati da asini e parla di una compagna che aveva scoperto "il benessere che si crea in un gruppo di persone che passeggiano lente nei boschi in compagnia degli asini."

Gli asini, Alfio, Bigio e Camillo, sembrano usciti da un romanzo. Quando Nicola li incontra, scopre che "Alfio mi guarda, gli altri mi ignorano e subito mi accorgo che questi non sono animali che ti si avvicinano scodinzolando o strusciandosi e nemmeno scalpitano inquieti come i cavalli, sono più misteriosi." Devo confessare che non avevo mai pensato agli asini, tanto meno, al loro comportamento, e sono subito catturato dal suo racconto.

Un buon libro ti fa pensare a qualcosa alla quale non avevi prestato attenzione prima, ti guida verso un nuovo modo di guardare, sentire e pensare il mondo, il libro di Nicola e Antonella riesce in questo.

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lunedì 2 maggio 2022

Il Clan dei Bachchan

Qualche settimana fa, a seguito di un mio scritto sulle difficoltà di parlare delle caste da parte degli scrittori e dei giornalisti occidentali, avevo avuto uno scambio di messaggi con Vincenza Venti. Vincenza gestisce un gruppo italiano molto popolare sull’attore di Bollywood, Amitabh Bachchan. In quello scambio, avevo ipotizzato un mio scritto sul signor Bachchan e il tema delle caste. Dopo diverse settimane sono riuscito a trovare il tempo per onorare la mia promessa.

Prima di iniziare questo scritto, voglio subito chiarire che in più occasioni il sig. Bachchan si è espresso contro le discriminazioni legate alle caste e ha fatto parte di alcuni film importanti (compreso il recente “Jhund”) che parlano dell’emancipazione delle persone delle cosiddette “caste basse”.

Il grande clan dei Kayastha

Ognuno delle 4 principali caste (Varna) è suddiviso nei sottogruppi dei grandi clan. Il clan della famiglia Bachchan, come quello di mio papà, si chiama Kayasth. Questo clan fa parte della casta dei commercianti. Secondo mia nonna paterna, anticamente i Kayasth svolgevano i lavori manuali, per cui facevano parte della quarta casta, ciò è, dei Shudra. Loro si occupavano di preparare il materiale di scrittura usato dai bramini. Poi hanno iniziato ad aiutare i bramini nella copiatura dei manoscritti e così hanno imparato a leggere e scrivere. Dopo le invasioni musulmane e poi dopo l’arrivo degli inglesi, hanno trovato lavoro nei tribunali e nelle amministrazioni e hanno iniziato a accumulare proprietà e potere. Sono stati tra i primi a studiare inglese. Così con l’aumento della ricchezza e del potere, sono saliti di grado nel sistema dei Varna. Molti insegnanti, professori, scienziati, poeti e scrittori nel nord dell’India appartengono a questo clan.

All’interno del clan dei Kayasth, vi sono diversi “Jaati” (pronunciato “Giati”), ognuno con il suo cognome. I cognomi più importanti tra i Kayasth sono – Srivastava o Shrivastava, Singh, Sinha, Saxena Kishore e Varma. Secondo le regole della casta, il clan dei Kayasth è endogamo, ciò è, per i matrimoni combinati, dovrebbero sposare all’intero del clan, ma solo tra le persone di cognomi diversi. Per esempio, uno Srivastava non può sposare un altro Srivastava ma potrebbe sposare uno Sinha o Saxena.

Oltre al matrimonio, i vari Jaati di un clan possono essere legati tra di loro con altre strutture sociali di sostegno, per esempio, le scuole ed i sistemi tradizionali di ricevere prestiti. Le persone dello stesso clan che provengono da una specifica zona geografica possono trovare ospitalità presso i confratelli e se devono assumere delle persone, dovrebbero privilegiare i confratelli. I clan condividono le mitologie, i rituali religiosi, i tabù alimentari, e spesso hanno le stesse ricette e modi di cucinare alcuni piatti speciali, e anche lo stesso uso del linguaggio.

Ogni clan di ogni casta, compreso i clan delle cosiddette "caste basse", sono organizzati più o meno nello stesso modo. Per questo motivo, sembra così difficile eliminare completamente le caste, soprattutto nelle piccole città e nelle aree rurali. Invece nelle grandi città, le caste hanno sempre meno importanza.

La Famiglia Bachchan

La città di Allahabad (conosciuta anche come Prayag o Prayagraj) è considerata la roccaforte dei Kayasth. La famiglia di mio padre erano i Shrivasta di Allahabad come lo era la famiglia Bachchan.

Il papà Bachchan si chiamava Harivansh Rai Shrivastav. Aveva 19 anni nel 1926 quando era stato sposato con Shyama, che allora aveva 14 anni. La coppia non aveva avuto figli, e nel 1936, Shyama morì a 24 anni per la tubercolosi. Laureato in letteratura inglese, Harivansh era diventato famoso nel 1935 per il suo libro di poesie intitolato Madhushala (La casa del vino), per il quale aveva scelto il pseudonimo di “Bachchan” (Ragazzino).

Nel 1941, 5 anni dopo la morte della prima moglie, Harivansh si sposò per la seconda volta. Questa volta fu un matrimonio d’amore e la sua sposa Teji, era di religione Sikh. Nel frattempo, altri due volumi delle sue poesie (Madhubala o la ragazza del vino e Madhukalash o l’anfora del vino) avevano avuto grande successo e oramai, lui era diventato famoso come “il poeta Harivansh Rai Bachchan”. Insegnava inglese all’università di Allahabad e la famiglia aveva buoni rapporti con Pandit Jawaharlal Nehru e la sua figlia Indira Nehru (dopo diventata Indira Gandhi) che erano i loro vicini di casa. Abitavano nella zona di Civil Lines di Allahabad, una delle zone più chic della città. Il primo genito Amitabh nacque nel 1942, mentre il primogenito di Indira Gandhi, Rajiv nacque nel 1944, e i due diventarono amici.

Nel 1968, quando Rajiv sposò Sonia, la sposa fu ricevuta all’aeroporto di Delhi da Amitabh e fu alloggiata presso la casa della sua mamma, Teji Bachchan.

Un anno dopo, nel 1969 usci “Saat Hindustani”, il primo film di Amitabh. Due anni dopo, nel 1971 usci, Reshma aur Shera, il suo secondo film, nel quale aveva una piccola parte di un ragazzo sordo e muto. Il successo e riconoscimento popolare arrivarono qualche mese più tardi con il film “Anand”, nel quale era nel ruolo di un medico, triste e serio.

Rapporti con la Famiglia Bachchan

Mio nonno era tesoriere di un’associazione dei Kayasth a Allahabad e conosceva la famiglia Bachchan. Noi eravamo cresciuti a Delhi, ma ai primi anni settanta, quando veniva qualche parente da Allahabad, qualche volta si parlava di Amitabh, come “quel ragazzo magro e alto che girava sulla sua bici”.

Suo papà era così famoso che per molti anni, si parlava di Amitabh come “il figlio più grande di Bachchan ji”. Soltanto negli anni ottanta e novanta, Amitabh è divenuto più famoso del suo papà e la gente ha iniziato a riferire a Harvansh Rai come “il papà di Amitabh”.

Amitabh Bachchan e le Caste

Mentre abitavamo a Bologna, seguivo il festival River-to-River organizzato da Selvaggia Velo a Firenze. Così nel 2011, ho avuto l’opportunità di partecipare alla conferenza stampa di Amitabh Bachchan. Da quel incontro, ricordo ancora il mio pensiero quando l’avevo sentito parlare – “Ma parla proprio come i cugini di Allahabad”!

In quell’occasione, lui aveva parlato della sua famiglia con le seguenti parole: “Mio papa era tra le prime persone a Allahabad ad andare contro il sistema delle caste, predominante in quei tempi. Lui si sposò con una ragazza della religione Sikh e diceva spesso che, ‘Vorrei che i miei figli e nipoti, tutti possono sposarsi con le persone provenienti da diverse parti dell’India.’ In fatti, ho sposato una bengalese, mio fratello si è sposato con una ragazza sindhi, mio figlio ha sposato una ragazza tulu e mia figlia si è sposata in una famiglia punjabi.



Alla fine

Ho voluto scrivere delle caste collegandolo alla storia famigliare di Amitabh Bachchan con la speranza che in questo modo si potrà capire meglio come funziona il complesso sistema delle caste, come sta cambiando nelle città e perché si fatica ad eliminarlo.

Spesso si parla delle caste esclusivamente come l’esclusione sociale di alcuni gruppi emarginati e si chiede come mai dopo tutti questi anni, l’India non riesce a cancellare questo sistema.

Tra i gruppi emarginati, oltre a tutte le sue funzioni sociali, il sistema delle caste serve anche ad avere accesso privilegiato all’educazione e al mondo del lavoro, grazie ai programmi speciali del governo indiano. Per cui, mentre questi gruppi lottano contro la violazione dei loro diritti umani e contro la loro esclusione sociale, essi continuano ad avere la casta come un sistema di aggregazione comunitaria. È per questo che soltanto poche persone lottano per abolizione delle caste, la maggior parte lotta soprattutto per abolire l’esclusione sociale legate ad esse.

lunedì 10 agosto 2020

Per Salvare i Bambini

Qualche giorno fa rimasi esterrefatto dalla pubblicità in tv di un’associazione che si occupa dell’infanzia nel mondo. Si vedevano immagini dei bambini africani piccoli gravemente malati e denutriti mentre una voce parlava della siccità nel loro Paese e chiedeva contributi per portare aiuto a queste popolazioni.

Conosco il mondo delle associazioni di volontariato, in Italia e a livello internazionale, da circa 35 anni. Per circa tre decenni ho lavorato con AIFO, un’associazione nazionale con sede a Bologna. Per cui ho seguito da vicino i dibattiti sulle esigenze della raccolta fondi e il diritto di rispettare la dignità delle persone e delle popolazioni con le quali lavoriamo.



Voglio parlarvi di questi dibattiti e delle scelte fatte da alcune associazioni di volontariato in Italia sull’uso della pubblicità.

Persone da Salvare?

Fino a qualche decennio fa l’uso di simili immagini era considerato normale. Nella rivista e nel materiale pubblicitario di AIFO spesso si usavano immagini dei malati di lebbra con gravi disabilità. Io sentivo un senso di fastidio quando guardavo quella pubblicità. Da una parte, parlavamo della solidarietà e della carità, dei diritti umani e della dignità delle persone e poi usavamo le immagini più brutte che potevamo perché avrebbero fatto colpo sui potenziali donatori e avrebbero aumentato le donazioni.

Almeno in parte, il mio senso di fastidio era dovuto anche al fatto che mi sentivo colpito in prima persona, perché l’India era il Paese con il più alto numero dei malati di lebbra e spesso quelle immagini riguardavano l’India. È vero che l’India aveva molti milioni di poveri; e nonostante il grande progresso di queste ultime decadi tutt’ora ne ha, anche se meno di prima. Ma vi era qualcosa fra i nostri proclami e quella pubblicità che stonava.

Primi Dibattiti sull’Uso della Pubblicità

Penso che le prime discussioni serie sulle immagini e sui messaggi nelle associazioni umanitarie siano iniziate negli anni della grande crisi in Corno d’Africa. La grave siccità in Etiopia intorno al 1984-85 aveva visto migliaia di foto simili nei giornali e telegiornali di tutto il mondo. Forse vi ricorderete la terribile fotografia del bimbo morente con l’avvoltoio in attesa seduto dietro, l’emblema di una tragedia che scosse il mondo.

Quelle immagini avevano fatto nascere molte discussioni, non solo dentro le associazioni ma anche nelle nostre piattaforme comuni. Negli anni Novanta avevo partecipato in molte discussioni anche nelle federazioni europee e internazionali. In alcune discussioni parteciparono anche i rappresentanti dei “beneficiari” degli interventi e delle associazioni di volontariato nei Paesi meno sviluppati, i quali fecero presente che quel tipo di pubblicità era contro la dignità delle persone e a volte vanificava i risultati dei nostri interventi. Per esempio: da una parte lamentavamo i pregiudizi e promuovevamo interventi di sensibilizzazione, dall’altra parte – con immagini e messaggi – fomentavamo gli stessi stereotipi.

Risultato di Quelle Discussioni

Eravamo giunti alla conclusione che l’uso di simili immagini e messaggi era in contrasto con i nostri obiettivi. In AIFO e nelle diverse associazioni internazionali che lottano contro la lebbra decidemmo di non usare più foto “forti” di persone con gravi disabilità. Infatti sono circa 20 anni che in AIFO non si utilizzano e qualche volta – quando ho voluto usarne una per illustrare le disabilità e le complicazioni che possono insorgere se le persone non vengono curate in tempo – ho dovuto limitarmi alle immagini “soft”.

Per quanto riguarda i minori nel 1989 è arrivata la Convenzione Internazionale sui Diritti dei Bambini. L’articolo 16 di questa Convenzione riguarda il rispetto della privacy. L’articolo 34 chiede ai governi di proteggere i bambini dallo sfruttamento mentre l’art. 36 demanda ai governi di salvaguardare i bambini da tutto ciò che li danneggia. Infine l’articolo 39: i bambini che hanno sofferto diverse forme di violenza e negligenza dovrebbero essere aiutati a recuperare la loro salute, la dignità e l’autostima.

In Italia la firma della Convenzione aveva innescato molte discussioni. Infatti, La Carta di Treviso era stata firmata il 5 ottobre 1990, per l’iniziativa della Federazione Nazionale della stampa, dell’Ordine dei Giornalisti e di “Telefono Azzurro”. La Carta di Treviso regolamenta il rapporto fra due diritti-doveri costituzionalmente garantiti: esercitare la libertà di informazione e proteggere un cittadino al di sotto dei 18 anni nel suo sviluppo, garantendo una corretta formazione.

Nel 2006 a livello europeo la confederazione delle associazioni umanitarie CONCORD ha deciso un Codice di Condotta sulle Immagini e sui Messaggi nelle strategie di comunicazione pubblica. Questo Codice chiede che la scelta delle immagini e dei messaggi rispetti 3 princìpi fondamentali: la dignità delle persone coinvolte, l’uguaglianza di tutti i popoli e il bisogno di promuovere un trattamento equo, solidarietà e giustizia.

Pubblicità sui Bambini Gravemente Malati

Questa pubblicità è di Save the Children Fund (SCF) Italia. Devo dire che durante i miei anni di lavoro in AIFO più volte ho collaborato con la SCF inglese e ho appreso molto da loro, per esempio nel campo dell’educazione inclusiva. Ho ammirato la dedizione e impegno di diversi colleghi che lavorano per la SCF. So anche che SCF era uno dei motori dietro l’approvazione della Convenzione sui diritti dei bambini. Forse è per questo che vedere quella pubblicità, secondo me contraria ai princìpi fondamentali che segue SCF, mi ha così turbato.

Nei telegiornali spesso vedo che i volti dei minorenni sono resi sfuocati e invisibili, ma quelle misure valgono soltanto per gli italiani. I bambini africani nella pubblicità di SCF Italia non hanno simili diritti? Anche se un simile uso delle immagini dei bambini può essere legale perché l’opinione pubblica non condanna questo tipo di sfruttamento?

Il Garante per i diritti dei minori cosa dice di questa pubblicità? Nel 2017 un gruppo di lavoro guidato dall’Autorità garante per l’infanzia e adolescenza aveva elaborato un documento sulla tutela dei minorenni nel mondo della comunicazione. Questa tutela copre anche i bambini africani usati nella pubblicità?

All’inizio pensavo che soltanto SCF-Italia adottasse questo tipo di strategie per la raccolta dei fondi ma una ricerca su internet ha fatto emergere simili preoccupazioni anche in altri Paesi. Per esempio un articolo uscito nel 2015 dal titolo “A quale punto la pubblicità per la raccolta fondi supera i limiti?” parlava di simili preoccupazioni riguardo la pubblicità di SCF inglese e chiedeva se «la porno-povertà era tornata». L’articolo prendeva atto che «le immagini che sfruttano i poveri stanno tornando nelle campagne di raccolta fondi».

Conclusioni

Il mondo delle associazioni di volontariato italiane era molto ricco e aveva le radici nelle comunità locali. Insieme a centinaia di gruppi parrocchiali, le associazioni come Mani Tese, Cuamm-Medici con l'Africa e AIFO avevano molte offerte e progetti. Negli ultimi 10-15 anni, gradualmente questo mondo è andato in crisi con un calo delle offerte. Molte piccole associazioni umanitarie hanno dovuto chiudere.

Non è successo solo in Italia ma in tutta l’Europa. Forse per questo alcune associazioni europee e americane più forti sono diventate internazionali e hanno aperto i loro uffici in diversi Paesi. Questi hanno più risorse e possono organizzare campagne di comunicazione molto efficaci per la raccolta dei fondi. Save the Children Fund è tra queste. Forse è l’unico modo per loro di continuare a portare avanti le loro attività?

Devo dire che è deprimente dopo tutte le discussioni, convenzioni e linee guida, tornare a dove eravamo partiti!

mercoledì 15 gennaio 2020

Il Tempio di Sabarimala e la Parità di Genere

 Alla fine di settembre 2018, la Corte suprema in India ha deciso che il divieto per le donne in età fertile di entrare e pregare nel tempio di Sabarimala – situato nello stato di Kerala nella punta sud dell’India – era discriminatorio e l’ha cancellato. Questo articolo è una riflessione su questa decisione e sul suo significato per la parità di genere. Questo articolo è uscito sul sito Bottega del Barbieri.



Decisione della Corte Suprema Indiana

La decisione sull'entrata delle donne nel tempio di Sabarimala è stata presa da un comitato di 5 giudici, composto da 4 uomini e una donna. Mentre i 4 giudici uomini erano favorevoli a questa decisione, l’unica donna del gruppo era contraria alla decisione perché non vedeva la questione pertinente alla parità di genere.

Da allora sono iniziate le proteste dei “fedeli” – comprese centinaia di migliaia di donne – che hanno bloccato ogni tentativo di entrata di donne nel tempio. Anche i due partiti nazionali, BJP e Congresso, si sono espressi contro mentre il governo dello Statale (guidato dal Partito Comunista) ha sostenuto la sentenza.

All’inizio di gennaio 2019 – alle 3 di notte – due attiviste, scortate dalla polizia, sono entrate nel tempio e hanno girato un video della loro visita, provocando nuove proteste dei fedeli.

Questa storia ha focalizzato l’attenzione sul ruolo delle istituzioni governative nelle riforme religiose in India.

La particolarità del tempio di Sabarimala: Il tempio di Sabarimala è dedicato al dio Ayappa molto venerato nel sud dell’India. Vi sono almeno 40 altri templi più o meno famosi per Ayappa nei quali non vi sono divieti contro la visita delle donne. Il veto esiste soltanto per il tempio di Sabarimala dove, secondo il mito, il dio vive la fase celibe della sua storia, quando lui cercava di mantenere il brahamcharya, ciòè, il celibato.

In generale, nell’induismo non vi sono divieti contro l’entrata delle donne nei templi, anche se esistono alcuni altri luoghi sacri in altre parti dell’India dove le donne non possono entrare e altri dove il divieto riguarda gli uomini.

I fedeli del tempio di Sabarimala dicono che le donne che vogliono entrare nel tempio evidentemente non credono nel mito di Ayappa e non vogliono rispettare il suo desiderio del celibato: sono soltanto attiviste che la vedono come una questione di principio.

Promuovere le riforme religiose: Per secoli le consuetudini, spesso con il sostegno delle religioni, hanno dettato i comportamenti delle società. L’adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani dalle Nazioni Unite nel 1948 ha creato un nuovo metro per misurare queste consuetudini. In molti Paesi la crescente consapevolezza verso la violazione dei diritti umani ha stimolato i governi ad adottare nuove leggi che andavano contro quanto sostenevano le autorità religiose.

Riformare le religioni tramite le leggi e tramite le sentenze dei tribunali è particolarmente importante in due situazioni:

(a) Quando vi è un rischio all’indennità fisica e alla vita delle persone: l’antica pratica di sati in India secondo la quale le vedove potevano essere bruciate vive insieme ai loro defunti mariti, rientrava in questa categoria: la pratica fu vietata nel 1829 dall’allora governo coloniale inglese in India. Oggi, la mutilazione genitale femminile, ancora praticata in alcuni Paesi, è un altro esempio. Invece cosa dire della circoncisione maschile praticata su bambini ebrei e musulmani?

(b) Quando vi è una discriminazione sistematica contro alcuni gruppi di persone legata al genere o ad altre caratteristiche (come le caste in India). Dunque orientamento sessuale e appartenenza a certe religioni, etnie o gruppi linguistici sono caratteristiche comuni accompagnate da discriminazioni sistematiche.

Discriminazioni che sono comuni tra i vari gruppi religiosi, soprattutto nei Paesi dove questi gruppi sono la maggioranza. Per esempio in diversi Paesi a maggioranza musulmana essere donna, omosessuale o praticare altre religioni sono tutti motivi per essere discriminati.

Riforme Religiose in India

Sabarimala e altre riforme dell’induismo in India: Secondo me, la tradizione di non lasciar entrare le donne di età fertile nel tempio non era una discriminazione sistematica. Non sono un seguace del dio Ayappa ma se i seguaci lo vedono come un celibe, che non vuole essere tentato dalle donne, non sta me giudicare la loro fede.

L’induismo è fatto da una miriade di modi di interpretare e praticare la religione, tutti ugualmente validi, che vanno dalla negazione di qualunque dio alla credenza in 33 milioni di dèi. Non vi è un libro sacro unico, né un arbitro supremo che può giudicare cosa deve fare un indù. I fondamentalisti induisti vedono questa come una debolezza, vogliono promuovere una visione più ristretta della religione, specificando quali dèi pregare e come farlo. Costringere il tempio di Sabarimala ad accogliere le donne e negare il mito di un loro dio mi sembra una “macdonalizzazione” della cultura e una perdita della diversità religiosa, simile a quella che vogliono i fondamentalisti.

Dopo l’indipendenza dell’India nel 1947, il governo indiano ha attuato una serie di leggi per la riforma dell’induismo, compreso il divieto a discriminazioni sulla base delle caste e del genere. Il problema più grande dell’induismo è come fare che le nuove leggi siano applicate e siano accompagnate da un cambiamento sociale. Lavorare nelle comunità per il mutamento sociale non è facile, richiede decenni di impegno e passione. Invece per la maggior parte degli attivisti penso sia più facile lanciare proteste nelle città per cambiare le leggi.

Riformare altre religioni in India: Le riforme religiose effettuate dal governo indiano finora hanno riguardato quasi esclusivamente l’induismo. Non hanno voluto toccare le minoranze religiose anche se tutte insieme le minoranze ammontano a circa 200 milioni di persone. Ogni tentativo di riformare le religioni delle minoranze è visto come un modo di rinforzare la destra nazionalista anche quando le questioni riguardano violazioni gravi dei diritti umani.

Per esempio, tra la comunità musulmana in India, è lecita la pratica di “triplo talaq” secondo la quale un uomo musulmano può divorziare la moglie solo ripetendo per tre volte la parola “talaq” anche per sms. Questa pratica è vietata nei Paesi vicini a maggioranza musulmana – Pakistan e Bangladesh – ma ogni volta che se ne parla in India, si alza un coro di proteste non soltanto dagli elementi più ortodossi della comunità musulmana ma anche dagli attivisti e progressisti indiani che in altri contesti lottano per i diritti delle donne.

Un altro esempio riguarda l’abuso sessuale delle suore da parte dei preti cattolici. A luglio 2018 una suora aveva denunciato la violenza sessuale da parte di un vescovo, monsignor Franco Mulakkal. Per mesi, la polizia continuò a interrogare la suora mentre il vescovo girava liberamente. In ottobre finalmente il vescovo fu imprigionato ma dopo qualche settimana è stato liberato e accolto con grandi cerimonie dai fedeli mentre la suora che lo aveva denunciato continua a vivere emarginata, e ha ricevuto minacce di morte. La maggior parte dei giornali indiani hanno fatto finta di niente. Un articolo recente di Tim Sullivan dell’agenza di stampa americana Associated Press ha approfondito la questione parlandone con molte suore di diverse congregazioni e denunciando il silenzio e la complicità della Chiesa Cattolica in India. Invece gli attivisti e progressisti indiani sono rimasti in silenzio.

La difficoltà di parlare dei problemi delle minoranze non è limitata all’India. Per esempio, diverse attiviste afroamericane hanno parlato della difficoltà di parlare della violenza contro le donne nelle loro comunità perché poteva essere strumentalizzata dai razzisti e da persone di destra per fomentare gli stereotipi. Attivisti LGBT musulmani denunciano poco sostegno dai progressisti e liberali occidentali, i quali non vogliono essere visti come islamofobi.

Dall’altra parte, sempre più spesso, i blog e i media sociali danno un’opportunità a ciascuno di questi gruppi di alzare la propria voce e di farsi sentire. Nel frattempo il cambiamento sociale sembra procedere a piccoli passi e qualche volta è costretto a tornare indietro. Penso che se riusciamo a vedere da una certa distanza capiamo che il mutamento sociale è inevitabile.
Conclusione

Penso sia fondamentale cambiare e riformare le pratiche sociali e religiose che non rispettano i diritti umani. Questo non significa appiattire le nostre diversità culturali. In ogni caso, cambiare le società con le leggi e con le sentenze dei tribunali può essere visto soltanto come un primo e piccolo passo; il cambiamento reale richiede tempi molto più lunghi.

Nota: L'immagine usata in questo posto è della festa di Ambubashi presso il tempio di Kamakhaya a Guwahati nel nord-est dell'India dove si celebra il potere femminile sacro di shakti. Non vi è nessun'imagine del tempio di Sabarimala in questo post.


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giovedì 10 ottobre 2019

Kashmir: Il Paradiso Imprigionato

Nel 17° secolo, Jahangir, l’imperatore Mughal visitò la valle di Kashmir e ne rimase incantato: «Se esiste paradiso sulla terra deve essere proprio qui». Sono più di 30 anni che quel paradiso è sotto assedio. Le storie di Kashmir sono uno groviglio e non è facile capire quale appartiene a chi, fin dove le storie raccontano la verità, dove si travestono e nascondono sotto i racconti immaginari.

Il 5 agosto 2019 un annuncio del governo indiano ha riacceso i fari su questa regione dimenticata.

Sono 3 le parti coinvolte in queste storie: la gente di Kashmir, l’India e il Pakistan.

Considerata la terra del culto di Shiva dai tempi antichi, l’islam arrivò e conquisto questa terra nel 14° secolo. La disputa fra India e Pakistan riguardo Kashmir iniziò nel 1947 subito dopo la partenza del governo coloniale inglese. L’annuncio del governo indiano del 5 agosto è soltanto l’ultimo atto di questa disputa.

È una storia lunga e complessa con colpi e contraccolpi.

Prima di farvi una spiegazione (semplificata) di questa storia e del significato dell’annuncio del governo indiano, vorrei iniziare con un chiarimento riguardo la valle di Kashmir.

La Valle di Kashmir

Lo Stato indiano di Kashmir con circa 13 milioni di abitanti è costituito da 3 regioni: Jammu, Ladakh e la Valle del Kashmir. Le dispute fra India e Pakistan riguardano la Valle di Kashmir: questa è la zona di conflitto non le altre due regioni.



Con circa 6,9 milioni di abitanti (dati del 2011) la regione della Valle di Kashmir rappresenta circa il 15% della superficie dello Stato ed è quella più popolosa. Circa il 96% della popolazione è musulmana, composta da 2 gruppi principali: il 75% sono Sunniti e il 25% sono Shi’a. A ovest questa regione condivide la frontiera con il Pakistan.

Con circa 5,3 milioni di abitanti (sempre dati 2011) la regione di Jammu rappresenta circa il 26% della superfice ed è la seconda per popolazione. Circa l’85% della popolazione di Jammu è induista mentre i musulmani si aggirano sul 7,5%.

Con solo 290.000 abitanti (il riferimento è sempre al 2011) Ladakh è scarsamente popolata. Circa il 46% della popolazione è musulmana, il 39% è buddhista e gli induisti sono il 12%. Al nord questa regione condivide la frontiera con Cina e Pakistan.

La disputa fra l’India e il Pakistan

Nell’agosto 1947 il Governo coloniale inglese aveva lasciato il subcontinente indiano ma prima di partire l’aveva suddiviso in due Paesi: India e Pakistan. Questa suddivisione riconosceva la domanda di una parte di musulmani di essere «un popolo diverso dagli altri indiani» che chiedevano un Paese solo per loro. All’inizio, il Pakistan era composto da due territori – Pakistan est (oggi Bangladesh) e Pakistan ovest – le due aree dove la maggioranza della popolazione era musulmana.

Nel 1947 il subcontinente aveva anche centinaia di principati e regni, i quali potevano scegliere se far parte dell’India o del Pakistan. Questa scelta riguardava soprattutto i regni che si trovavano vicino alle frontiere dei due Paesi, mentre quelli che erano completamente circondati da uno dei Paesi, di fatto non avevano questa scelta.

Il regno di Jammu-Kashmir con la maggioranza della popolazione musulmana (77%) aveva un re induista, Hari Singh. Lui non era sicuro se far parte dell’India o del Pakistan e aveva richiesto del tempo per prendere la sua decisione. Dopo alcuni mesi di attesa, le forze pakistane erano entrate e avevano occupato alcune parti della Valle del Kashmir, soprattutto nel nord ovest. Hari Singh che non aveva una forza militare per resistere, chiese l’aiuto al governo indiano e decise di far parte dell’India. Questa fu la prima guerra fra India e Pakistan per la valle del Kashmir.

Verso la fine del 1948, con l’aiuto delle Nazioni Unite, la guerra finì: i territori della Valle del Kashmir presi dal Pakistan sono rimasti sotto il suo controllo. Vige tutt’ora quella linea di controllo come frontiera, dove le due forze si erano fermate al momento del cessate il fuoco.

Le Nazioni Unite avevano chiesto un referendum fra la popolazione di Kashmir per decidere se volevano andare in Pakistan o restare in India, però non è mai stato organizzato. Secondo l’India, il referendum si deve fare in tutto il territorio della Valle del Kashmir, mentre secondo il Pakistan soltanto nelle parti rimaste in India.

Gli articoli 370 e 35A del Kashmir

L’articolo 370 della Costituzione, approvato nel 1954, garantiva l’autonomia dello Stato di Kashmir, inclusa una sua Costituzione separata. L’articolo 35A – anche esso approvato dal parlamento indiano nello stesso anno – dava poteri allo Stato di Kashmir di decidere i criteri per definire chi poteva diventare residente permanente dello Stato e i suoi diritti.

Scoppio delle violenze in Kashmir

Vi sono state tre guerre fra India e Pakistan per la Valle del Kashmir. La prima, già spiegata sopra, nel 1947-48. La seconda nel 1965 e la terza nel 1998-99.

Fino alla prima parte degli anni ’80, la situazione nella Valle del Kashmir era tranquilla, come testimoniano le scene dei numerosi film di Bollywood girati qui. In quegli anni, le persone del Kashmir chiedevano “azadi”, la possibilità di avere un Paese libero cioè di non essere parte né dell’India né del Pakistan.

Le violenze in Kashmir sono iniziate intorno al 1988-89. Negli anni ’80, gli Usa avevano sostenuto i Mujahideen pakistani per lottare contro i russi in Afghanistan. Dopo il ritiro delle truppe russe dall’Afghanistan nel 1988, molte di queste persone che credevano in un Islam radicale sono arrivate nella Valle del Kashmir. Uno dei loro compiti era reclutare giovani della Valle del Kashmir in India e mandarli nei campi di addestramento in Pakistan per diventare guerriglieri.

All’inizio degli anni ’90 vi erano più di 300.000 induisti nella Valle del Kashmir, conosciuti come i Kashmiri Pandit. Questi sono diventati i bersagli degli islamici radicali. Secondo i rapporti governativi più di mille Kashmiri Pandit sono stati uccisi mentre le loro case e negozi venivano distrutti e bruciati. La maggior parte di loro sono scappati dalla Valle del Kashmir e molti tutt’ora vivono nei campi profughi sparsi in India. Meno dell’ 1% sono rimasti nella Valle del Kashmir.

I mujahideen pakistani e i loro compagni nella Valle del Kashmir hanno iniziato ad attaccare le strutture e i servizi governativi, in particolare i poliziotti locali che erano visti come traditori. Si pensa che negli anni successivi alla fuga dei Kashmiri Pandit dalla Valle, circa 30.000 persone, la maggioranza musulmane, sono state uccise dagli islamisti radicali perché ritenuti favorevoli al governo indiano.

Il governo indiano aveva risposto con l’invio delle forze militari, le quali hanno poteri speciali che garantiscono immunità dai tribunali civili. Così dagli anni ’90 la popolazione vive schiacciata fra queste due forze: da una parte i guerriglieri che vogliono che la Valle del Kashmir diventi parte del Pakistan e dall’altra le forze militari indiane.

Secondo alcuni articoli, di recente un terzo gruppo si è aggiunto alla lotta, cioè le persone che si ispirano alla filosofia dello Stato Islamico (ISIS). Negli ultimi 4-5 anni nelle proteste si vedono sempre di più le bandiere e le rivendicazioni a sostegno del Califfato Islamico e le “chiamate” per stabilire lo Stato islamico in Kashmir con la legge della Shariat.

La posizione pakistana

La religione musulmana è stato il motivo della nascita di Pakistan e dall’inizio i politici pakistani hanno rivendicato il territorio della Valle del Kashmir perché sarebbe una parte della fraternità musulmana.

Nel 1958 in Pakistan vi fu il primo colpo di stato, seguito da diverse dittature militari. Nel 1973 il Pakistan è diventato un Paese basato sulla legge islamica. Negli anni di leadership del dittatore militare Zia-ul-Haq (1977-88) l’islamizzazione si è ulteriormente rinforzata. Risale a quegli anni l’approvazione della legge sulla blasfemia. Gli ultimi decenni hanno visto crescenti suddivisioni fra i vari gruppi di musulmani in Pakistan, per esempio tra i sunni e gli shi’a, e tra i barelavi e i deobandi, mentre altri gruppi di musulmani (come gli ahmadi e i  bohra) sono stati dichiarati “non islamici”.

Questi fattori lasciano poco spazio di manovra ai politici pakistani, anche perché i capi militari detengono tutt’ora molto potere. Avere Kashmir come parte del Pakistan è diventata una questione di orgoglio nazionale e sarà difficile per loro cambiare posizione.

Le decisioni dell’India

Il 5 agosto 2019 il governo indiano ha deciso di revocare gli articoli 370 e 35A: si è giustificato dicendo che entrambi questi articoli erano temporanei e dopo 65 anni è inutile il loro mantenimento. Inoltre si è deciso di separare la regione di Ladakh dallo stato di Kashmir, creando un territorio autonomo sotto la giurisdizione del governo nazionale. Queste risoluzioni sono state approvate da due terzi della maggioranza nel parlamento indiano. Di fatto, questo significa che lo stato di Kashmir con le due regioni (Valle del Kashmir e Jammu) è ora una parte dell'India come tutto il resto del paese.

Dal 5 agosto a oggi (31 agosto) nella Valle del Kashmir non c’è internet e le reti dei telefoni mobili. Dopo il 12 agosto poco alla volta in alcune parti della Valle il servizio di telefoni fissi è stato ripristinato. Molti leader politici e civili sono in prigione o in arresto domiciliare.

Le reazioni

Secondo i giornalisti pro-governativi, dato il continuo rinforzamento dei radicali islamici e dei simpatizzanti di ISIS, bisognava tentare con una strategia nuova in Kashmir e forse l’abrogazione degli articoli 370 e 35A darà una possibilità di avere pace in questa regione. Dicono che con circa 200 milioni di musulmani (stime 2018) India è il secondo Paese nel mondo per il numero di musulmani e non si può rischiare che il radicalismo islamico contagi il resto dell’India.

Inoltre i filo-governativi dicono che l’articolo 35A era discriminatorio e dava diversi privilegi agli uomini del Kashmir. Per esempio, secondo questo articolo, se un uomo di Kashmir sposava una donna lei acquisiva il diritto di vivere nello Stato mentre una donna di Kashmir perdeva il suo diritto di residenza se sposava un uomo forestiero.

Il primo ministro indiano, nel suo discorso per giustificare l’abrogazione dei due articoli, ha parlato soprattutto di aspetti discriminatori inerenti agli articoli 370 e 35A.

Invece secondo i critici, il governo si è comportato in maniera prepotente: avrebbe dovuto avviare un dialogo in Kashmir sulla necessità di abrogare gli articoli. Loro criticano l’arresto di leader politici e civili come il blocco di internet e dei telefoni cellulari.

Le popolazioni delle regioni di Jammu e Ladakh e nel resto dell’India hanno accolto queste decisioni positivamente mentre le principali critiche sono venute dalla Valle di Kashmir e dal Pakistan. I gruppi separatisti hanno giurato “lotta continua” fino alla realizzazione del loro sogno di diventare parte del Pakistan, minacciando attacchi alle strutture governative.

Comunque, con o senza gli articoli 370 e 35A, la situazione del Kashmir non cambierà nel prossimo futuro. Per il momento il blocco di internet e la mancanza di telefoni mobili hanno permesso alle autorità di mantenere il controllo perché senza i social media è difficile organizzare le proteste. Comunque il blocco di internet e dei telefoni cellulari non può durare in eterno e bisognerà vedere che cosa succederà allora.

sabato 11 aprile 2015

La casa dei colori sgargianti

L’ultima volta che avevo scritto su questo blog era circa 3 mesi fa. Nel frattempo, gli solleciti per avere le mie notizie sono aumentati, per cui penso che è arrivata l’ora di mettermi a scrivere qualcosa di nuovo.

Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Veramente il mio dialogo con gli amici in Italia continua sempre. E’ un dialogo interno tra Sunil che vive qui e Sunil che abitava a Bologna. I miei due io parlano fra di loro continuamente. Quel altro Sunil, non ragiona esattamente come gli indiani, forse è uno straniero qui che guarda tutto con stupore e si fa delle domande che questo Sunil non farebbe mai. Peccato che non hanno ancora inventato un dispositivo che può prendere queste discussioni e le immagini che li accompagnano, per scrivere un pezzo da pubblicare su questo blog.

Scusatemi se vi sembro un po’ confuso!

***

Trovare una casa a Guwahati non era così semplice come avevo pensato. Non vi sono molte agenzie immobiliari qui. Volevo una casa in un quartiere tradizionale di Guwahati, dove abitano le famiglie locali. E la volevo nei dintorni del mio nuovo ufficio per poter venire a lavoro a piedi.

Per alcuni giorni ho girato seduto dietro sulle moto di alcuni agenti immobiliari, ma non avevo trovato niente di adatto. “Non voglio vivere in un condominio, e vorrei una casa nei quartieri di ..”dicevo, ma era come parlare con i muri.

“Cosa ne dice di questa casa? E’ proprio un bel appartamento e vogliono solo 13.000 rupie al mese”, mi dicevano sorridenti mentre proponevano una casa in un condominio in un quartiere dall’altra parte della città.

Avevo cercato anche online ma non avevo trovato molte offerte di case. Alla fine era stato utile il consiglio di padre Paulo. “Scegli la zona che vuoi e vai a fare delle passeggiate. Le case libere avranno fuori un cartello “To let” (da affittare) con un numero di telefono da chiamare. Puoi anche suonare il loro campanello. Presto troverai la tua casa.”

Così ero andato a passeggio e dopo qualche giorno ho trovato questa casa. E’ a 10 minuti a piedi dal mio ufficio. Apparteneva ad un vice commissario di polizia di Guwahati, il quale è morto improvvisamente 2 mesi fa. La sua vedova, una signora molto gentile e un po’ timida, è una persona di cultura, abita al primo piano con i 2 figli, un nipotino e 3 cani.

La mia nuova casa ha 3 stanze, tutte in una fila per cui se avrò qualche ospite, sarà difficile avere molta privacy. Comunque, non penso che avrò molti ospiti qui. La terza stanza ha un angolo cottura.

Accanto a me, vive un’altra famiglia. Il signore di questa famiglia è il seguace di qualche guru. Ho già avuto una piccola lezioncina da lui sull’importanza di seguire le raccomandazioni del suo guru per assicurarmi di rinascere nel genere umano nella prossima vita. Non bisogna fidarsi di musulmani e di cristiani, la nostra è la vera religione, lui aveva concluso. Mi sono trattenuto da dirgli che qualche giorno fa avevo incontrato un suo gemello, un signore di qualche chiesa, vestito tutto di nero, che era convinto che la sua era l'unica vera via per raggiungere il dio.

Invece gli ho fatto un falso sorriso amichevole, mentre pensavo che non diventeremo mai amici! Anzi, cercherò di evitarlo quanto più possibile. Penso a sua moglie e figli – sicuramente avere un marito/padre così non deve essere molto piacevole!

Comunque lui non è del tutto negativo - si alza presto e mi piace ascoltare alle sue preghiere mattutine che iniziano con il suono di una conchiglia. Da qualche parte vicino, deve esserci anche una moschea, perché sento il suo richiamo presto alla mattina come prima cosa quando fuori è buio e sono ancora a letto. Poi quando mi alzo per preparare il caffè, sento le preghiere del mio vicino e il suono della sua conchiglia. Direi che almeno per le preghiere sono a posto.

La casa è circondata dagli alberi. Fuori da una finestra, c’è una piccola pianta di papaia che mi fa molta tenerezza. Durante il giorno sento i richiami dei venditori ambulanti come quello che viene a vendere il pesce fresco e quello che vuole comprare i giornali vecchi e le bottiglie vuote.

La porticina in fondo alla casa, apre su altre case di dietro, dove abitano altre famiglie e dove i loro bambini giocano fuori dalle mie finestre durante il giorno. Ogni tanto vedo qualcuno curioso sbirciare dentro.

Al inizio, mi preoccupavo per le nuvole di zanzare che entrano dalle finestre e cercavo di tenere chiuso tutto. La mia padrona di casa mi aveva rassicurato che queste zanzare non sono cattive, perché non c’è malaria in questa zona.

Comunque, avevo comprato dei vaporizzatori elettrici contro le zanzare, uno per ogni stanza. E avevo comprato anche degli spray molto efficaci contro gli insetti. Poi, un giorno ho visto un piccolo geco in casa (anche quello mi fa molta tenerezza) e ho pensato che non vorrei fargli del male. Anche adesso mentre scrivo, lui sta sul muro vicino a me e mi guarda curioso.

Così ho deciso che non voglio spruzzare spray o vapori in giro, mi basta solo una crema anti-zanzare. Penso che è stata una buona decisione, perché in ogni caso, quelli vaporizzatori non sembravano molto efficaci contro le zanzare (forse dipendeva dal fatto che le stanze sono grandi e i soffitti sono molto alti?). E ultimamente mi sembra di non vedere molte zanzare in giro.

Da fuori, si presenta bene questa casa di 3 piani, dipinta in bianco e rosso.

Casa Sunil, Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Dentro, la mia parte della casa è dipinta in rosa sgargiante. Ho anche un armadio in rosa acceso e verde pappagallo. Immagino che questi colori possano mandare in estasi qualcuno o qualcuna. Invece, nei primi giorni, solo a guardare questi colori mi faceva venire un mal di testa. Ma dopo 3 settimane, comincio a abituarmi. Chissà, se dopo farò fatica a vivere senza colori così belli?

***

Amo andare a comprare la verdura. Siamo alla periferia della città. Poco lontano da casa passa la circonvallazione di Guwahati che fa anche da frontiera, dove finisce la città e iniziano i villaggi. Dall’altra parte della strada inizia anche lo stato di Meghalaya.

Mercato dei contadini Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Ogni giovedì e domenica, i contadini dei villaggi vicini arrivano qui per il mercato contadino. Tutto il giorno, una corsia di una strada lunga circa 2 chilometri viene chiusa al traffico ed è occupata dai contadini. Girare in mezzo a questo mercato è bellissimo.

Spesso compro troppe verdure, ma continuo a comprarne nuove ogni volta. Qualche giorno fa ho comprato una verdura che si chiama Ishkus – sembrano delle grosse pere verdi con molta polpa. Non so ancora come si cucinano e quale gusto hanno, ma sono curioso di provarle.

Le verdure costano poco. La maggior parte costa da 10 a 20 rupie al chilo (1 Euro è pari a 66 rupie circa). E sono così belle.

Penso che diventerò vegetariano, perché l’idea di puntare il dito contro una gallina che mi guarda placida o contro un pesce che nuota nella catinella, mi fa sentire male. Sono troppo abituato a comprare il carne in un supermercato dove non vedi l’animale vivo. Trovo angosciante guardare gli animali quando li ammazzano e evito quelle parti del mercato dove vendono anatre, piccioni, galline, pesci e maiali. Per fortuna, posso ancora mangiare le uova!

Sera al mercato dei contadini Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Capisco solo la metà di quello che dicono i contadini. Nella città mi arrangio con l’hindi, ma i contadini non la parlano. Alla fine parlo hindi con quello che secondo me è l'accento assamese, e mi sento un po’ come Paolo Villaggio che parlava inglese in qualche film, stroncando la parte finale delle parole italiane. I contadini mi guardano divertiti senza capirmi.

Devo trovare un insegnante di assamese e studiarla seriamente se voglio avere un rapporto con questi contadini! 

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Una mattina sono stato in quel villaggio dove c’è la discarica dei rifiuti di Guwahati. Per più di qualche chilometro, si vedono le montagne di rifiuti. Arrivano i grossi camion che portano i rifiuti dalla città e quando sono vicini alla discarica, persone li corrano dietro per essere i primi a poter scegliere i loro tesori. Sono soprattutto donne e non pochi sono bambini.

Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Una grossa colonia di cicogne giganti (Greater Adjutant storks) vive in questa zona cibandosi dei rifiuti. Girano tra i rifiuti anche molte garzette, bellissime con i loro colori delicati, bianco e giallo. E poi vi sono le mucche e i cani.


Cicogne, Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Garzette, Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

La mia prima impressione quando ero arrivato alla discarica, era di un senso di orrore e di repulsione. La povertà delle persone e vedere quei bimbi che portavano i sacchi dei rifiuti, era come un pugno in stomaco. La maggior parte di queste persone vivono in capanne nei dintorni della discarica, e quasi tutte sono analfabete.

La puzza dei rifiuti stava addosso a quelle persone. Era una puzza dolciastra, faceva pensare alla frutta marcia. Tra i rifiuti c'è molto materiale organico. Inoltre, probabilmente non usano molti pesticidi da queste parti, per ciò i rifiuti possano essere mangiati da diversi animali senza problemi.

Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Mentre li guardavo ho pensato a che cosa avrebbe detto di fronte a questa realtà, Raoul Follereau? Gli avrebbe guardati come gli ultimi della terra?

Il responsabile di un centro sanitario nel villaggio vicino mi ha raccontato che tra di loro vi sono molti con le malattie dermatologiche. Tra i bambini vi sono molti che sniffano colla e solventi, tanti cominciano a fumare da giovani, e molti adulti sono alcolisti. Non mi sapeva dire sulle malattie più comuni, le disabilità e i tassi di mortalità in questo gruppo di popolazione. “Non vengono qui per farsi curare perché chiediamo una somma simbolica per le visite. Solo quando abbiamo dei campi medici gratuiti vengono a farsi vedere”, aveva aggiunto.

Dopo qualche ora che giravo tra i rifiuti, cominciavo a chiedermi se ci poteva essere qualche aspetto positivo in questa montagna dei rifiuti? Anzitutto che era un lavoro nobile in questo mondo che odia i rifiuti ma che continua a produrne migliaia di tonnellate ogni giorno?

Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Dichiararsi contro la civiltà dei rifiuti può essere romantico ma forse ciò non incide sulla realtà. Qui c’è molta ignoranza, ma anche nelle società più progredite, non è facile far ragionare le persone sull’importanza di ridurre i rifiuti. Per esempio, mi ricordo lo scambio di alcuni email con i dirigenti della Coop Adriatica in Italia alcuni anni fa, sul uso dei bollini di plastica appiccicati sulla frutta della marca Coop e la loro risposta che uso dei bollini era necessario e non poteva essere messa in discussione.

In questa città nessuno parla della raccolta differenziata. Per fortuna, la società è ancora povera per cui molte cose si vendono senza pacchetti e sacchetti. Inoltre vi sono quelli che girano nei quartieri per raccogliere giornali vecchi, carta, plastica e bottiglie vuote, per cui le famiglie li tengono da parte e non li buttano via. Poi qui, tutto si aggiusta – dalle scarpe e dai rubinetti, ai frigoriferi, ai cellulari e alle vecchie radio. Ancora far aggiustare le cose costa poco, per ciò conviene.

Nonostante tutto ciò, la città ha circa un milione di abitanti e produce tonnellate di rifiuti al giorno. E’ soltanto grazie al lavoro di queste persone che vivono in mezzo alla puzza e alla sporcizia, che una parte di questi rifiuti possono essere riciclati. Mi chiedo se lanciare una compagna affinché queste persone non devono lavorare in mezzo ai rifiuti, senza poter cambiare il sistema, avrebbe senso?

Mentre scattavo le foto, le persone mi guardavano con simpatia e sorrisi. Gli uomini sui camion che giravano in mezzo ai rifiuti, mi chiamavano per farsi fotografare. Anche un gruppo di bambini che stava mangiando un pezzo di cioccolata in mezzo ai rifiuti si era messo in posa per farsi fotografare.

Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

E ho pensato alla vitalità di questo luogo, questo brulicare di vita in tutte le sue forme che sembrano convivere pacificamente e mi sono chiesto come è possibile avere questa vitalità? E se guardare solo la povertà, la sporcizia e la puzza, significa mancare di vedere qualche altro suo aspetto fondamentale?

Mi metteva un po’ in crisi, il loro non vergognarsi di vivere e lavorare in mezzo ai rifiuti. E il loro scherzarsi tra di loro, le loro risa, la loro apparente gioia nella vita! Come può essere qualcosa di positivo in questo inferno?

Mentre pensavo tutto questo, una bambina che aveva raccolto alcuni fiori di Bukul da un albero ai margini dei rifiuti, mi aveva fermato e chiesto se volevo un po’ di fiori. “Sono molto buoni da mangiare”, mi aveva detto. Ero rimasto senza parole.

Babina con fiori di Bukul, Discarica di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Alla fine della mattinata, mi ero seduto insieme ad un piccolo gruppo per chiedere, cosa pensavano se tenevo un ambulatorio in un loro cortile, una mattina alla settimana? “Devi parlare con il padrone”, mi avevano detto. C’è un padrone anche di quel misero gruppo di capanne!

Vorrei anche condurre una ricerca per capire meglio le loro vite e le difficoltà che affrontano. Mi hanno detto che a parte un servizio municipale, non lavora con loro nessun altro gruppo o associazione, ma bisogna approfondire questo aspetto meglio.

Sono tornato da questa visita con molte domande in testa. Sicuramente metà delle cose che mi sembra di aver capito durante questa visita risulteranno sbagliate e bisognerà tornare e riparlare con loro più volte per iniziare a capire da vero come funziona questo loro mondo!

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Poco dopo dove finiscono le montagne dei rifiuti, passa una linea ferroviaria, e dall’altra parte, inizia una grande area paludosa conosciuta con il nome di “Deepor Beel”, la palude di Deep (lampada). E’ un’area protetta con il suo ecosistema, dove vivono diverse specie di animali e di uccelli. In alcune parti della palude, c’è più acqua e là girano le barche dei pescatori.

Nella palude, dappertutto si vedono delle grandi foglie rotonde e carnose, sopra sono del colore verde smeraldo, e sotto sono rosso e viola. Forse sono una specie di ninfee? Hanno i fiori viola che sembrano diversi dalle ninfee?

Deepor Beel, palude di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Deepor Beel, palude di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Deepor Beel, palude di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Mentre passeggiavo ai margini della palude, a parte qualche raro treno e qualche barca lontana, non c’era nessuno intorno. Sembrava impossibile che poco lontano da questo posto idillico, c’è il formicaio della discarica. Mi chiedevo, se i bambini della discarica ogni tanto vengono qui per sfuggire dalla puzza?

Deepor Beel, palude di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Ai margini della palude avevo incontrato Ramchandra, un originario di Bihar che vive qui da circa 2 decenni e fa il pescatore. La sua famiglia vive a Motihari, solo il suo figlio maggiore è venuto qui un anno fa, a vivere con il padre.

Cosa vuoi, è così la vita, bisogna sacrificarsi per garantire un futuro alla famiglia”, Ramchandra mi aveva raccontato, mentre le sue abili mani intrecciavano un cestino tradizionale da pesca. Lui vende il pesce al mercato e riesce a guadagnare abbastanza per mandare dei soldi a casa.

Ramchandra e figlio, Deepor Beel, palude di Guwahati - Immagini di Sunil Deepak

Motihari? Non è quel posto famoso dove Mahatma Gandhi aveva iniziato il suo famoso satyagraha?” gli avevo chiesto.

Per un attimo un sorriso aveva illuminato la sua faccia, “Si, è proprio quello, il villaggio di Mahatma Gandhi dove ho la mia famiglia!” aveva detto orgoglioso.

Era a Motihari nel distretto di Champaran (Bihar), che nel 1917, Mahatma Gandhi aveva iniziato a sperimentare la strategia dello satyagraha (protesta non violenta).

Anche il famoso scrittore inglese George Orwell era nato a Motihari quando India era una colonia inglese. Ma Ramchandra non conosceva il nome di George Orwell.

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martedì 16 settembre 2014

Nella terra degli sfollati

I villaggi intorno a Kesla nella parte centrale dell'India (provincia di Madhya Pradesh), sono circondati dalle foreste e sono pieni di sfollati - persone che hanno dovuto lasciare le loro terre e le loro case più volte negli ultimi decenni. In agosto ho visitato Kesla durante la mia ricerca per un progetto di salute comunitaria dove posso impegnarmi per i prossimi anni della vita.

Durante questa visita, oltre a tutto il resto, mi sembra di aver "scoperto" degli strani buchi nella roccia vicino al fiume di Kesla - ho pensato che potevano essere le tracce dei dinosauri. Forse un geologo o archeologo potrà darci una spiegazione corretta di questi buchi!

Questo post presenta alcuni appunti dal mio diario di Kesla. Iniziamo il post con una immagine che presenta le simpatiche scimmie langour dalla faccia nera, molto comuni a Kesla.

Kesla diary, India - images by Sunil Deepak, 2014

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La persona che mi aveva invitato a visitare Kesla era un mio omonimo, si chiamava Sunil. Aveva un dottorato in economia ma poi invece di cercare carriera, all'inizio degli anni 1980 aveva deciso di vivere a fianco dei gruppi indigeni di Kesla e a lottare con loro per i loro diritti. Era accompagnato da sua moglie Smita e da un amico Rajnarain. Dopo qualche anno, Rajnarain era morto in un incidente stradale ma Sunil e Smita erano rimasti là.

Durante gli anni 1990, affiancati da Sunil e Smita, gli indigeni sfollati dalle loro terre per la costruzione di una grande diga sul fiume Tawa, avevano lottato con il governo statale per il loro diritto di pescare nel grande lago della diga. Alla fine, il governo aveva accettato le loro richieste. In seguito, Sunil aveva aiutato i pescatori indigeni a costituirsi in cooperative ed a creare una federazione delle cooperative. Il successo dell'iniziativa aveva attirato l'attenzione di molti attivisti e ambientalisti da diverse parti dell'India. (Nell'immagine sotto, il lago creato dalla diga sul fiume Tawa).

Kesla diary, India - images by Sunil Deepak, 2014

In ottobre 2013 avevo scambiato alcuni email con Sunil e lui mi aveva proposto di andare a lavorare con il suo gruppo per avviare un piccolo progetto di salute comunitaria nel villaggio di Kesla. Purtroppo alcuni mesi dopo, in aprile 2014, a 54 anni la vita di Sunil era stata stroncata all'improvviso da un'emorragia cerebrale.

Quando ero arrivato in India all'inizio di luglio, non sapevo se valeva la pena di andare a visitare Kesla. Invece poi Smita mi aveva assicurato che lei era intenzionata a proseguire il suo lavoro tra gli abitanti di Kesla e mi aveva rinnovato l'invito ad andare a visitarli.

Kesla è un piccolo villaggio di circa 2000 abitanti. Si trova sulla strada statale che collega il capo luogo distrettuale Hoshangabad alla città di Nagpur. A Kesla ero ospite presso la casa di Smita, in un altro villaggio vicino, Bhumkapura. Circondato da colline e da foreste, tutta l'area è molto bella. (L'immagine sotto presenta i pescivendoli al mercato settimanale del villaggio di Kesla).

Kesla diary, India - images by Sunil Deepak, 2014

Gli gruppi indigeni di Kesla

I residenti dei villaggi intorno a Kesla comprendono due gruppi indigeni - i Korku e i Gond. Alcuni villaggi hanno la maggioranza Korku mentre altri hanno i Gond.

Felix Poudel, un famoso antropologo indo-inglese, sposato con una signora Gond e studioso dei gruppi indigeni indiani, ha spiegato nel suo libro "Sacrificing people" che diversamente da quanto succedeva negli altri paesi, in India i gruppi indigeni non vivevano completamente isolati, anzi erano in contatto con la maggioranza indù da più di due millenni. Alcuni gruppi indù, sopratutto le caste chiamate "basse", avevano una lunga tradizione di vivere nei villaggi indigeni e di occuparsi di alcuni compiti specifici. Nonostante questi scambi e contatti, i popoli indigeni continuavano a mantenere le proprie tradizioni, lingue, abitudini alimentari, modi di vestirsi, ecc.

Questo equilibrio tra i popoli indigeni e il resto dell'India durato millenni, si è trasformato negli ultimi decenni grazie alla globalizzazione. L'arrivo della TV satellitare e gli altri cambiamenti sociali come le scuole private hanno contribuito a questo cambiamento. Uno dei leader della comunità Korku mi ha spiegato, "Tutti pensano che essere un adivasi (persona indigena) significa essere un po' selvaggio, non civilizzato. Anche i nostri bambini la pensano. Per cui, non vogliono parlare la nostra lingua, preferiscono parlare l'hindi. Abbiamo le scuole private dove ti insegnano che è meglio parlare l'inglese. Le scuole gestite dai missionari sono le più ambite perché ti insegnano a parlare l'inglese molto meglio ed a diventare un sahib. Dalla scuola e dalla società i nostri figli hanno imparato a vedere le nostre abitudini tradizionali come qualcosa di inferiore. Da queste scuole, e dalla TV, si impara a disprezzare tutto quello che riguarda la nostra cultura tradizionale - le nostre danze, la nostra musica, la nostra lingua, il nostro modo di coltivare e di mangiare."

Per cui quando vedi per strada una persona, non puoi riconoscere se la persona appartiene ad un gruppo indigeno e a quale gruppo. Le loro tradizioni si stanno sparendo. Oramai, anche nei villaggi indigeni si celebrano feste indù come quella di Ganesh, con tanto di musica di Bollywood suonata a volumi altissimi da un DJ.

Dall'altra parte vi sono dei programmi governativi di assistenza per i gruppi indigeni per accedere ai quali, le persone hanno bisogno di ricevere un certificato che attesti la loro appartenenza al gruppo. Sempre più spesso le persone incontrano difficoltà a convincere gli ufficiali che sono "indigeni" perché hanno oramai abbandonato i loro costumi e modi di essere tradizionali.

Tutto questo è emerso durante le riunioni con i diversi gruppi indigeni nei dintorni di Kesla (nell'immagine sotto, una riunione con le studentesse indigene presso la scuola superiore ki Kesla).

Kesla diary, India - images by Sunil Deepak, 2014

La vita nei villaggi è molto spartana. Le persone vivono a stretto contatto con gli animali. Manca la rete fognaria e l'acqua corrente nei villaggi. Poche famiglie hanno un toilet. Fare il bagno significa lavarsi in pubblico vicino alla pompa dell'acqua. La maggior parte delle famiglie ha poche cose - per esempio, nonostante il grande caldo, quasi nessuno aveva i ventilatori (a parte che spesso mancava la corrente elettrica per cui avere il ventilatore non avrebbe cambiato niente! La prossima immagine presenta una bimba che fa il bagno all'aperto nel villaggio di Chakpura.)

Kesla diary, India - images by Sunil Deepak, 2014

Gli sfollati di Kesla

Intorno a Kesla, diversi villaggi hanno dovuto lasciare le loro terre ancestrali ed a cercare nuovi insediamenti. Il primo gruppo di sfollati erano le persone che vivevano intorno al fiume Tawa. Erano stati costretti a lasciare le loro terre quando il governo aveva deciso di costruire la grande diga di Tawa negli anni 1960-70. Negli anni 1980 erano arrivato i militari per costruire una grande fabbrica di materiale bellico e le bombe, costringendo altre famiglie a lasciare le loro terre.

Qualche anno dopo, avevano preso una lunga striscia di altra terra  per fare le prove delle bombe e degli ordigni esplosivi. Una parte di villaggi sono stati costretti a lasciare le loro terre mentre altri villaggi sono rimasti isolati, obbligati a fare dei percorsi lunghissimi per uscire. (La seguente immagine mostra la mappa della zone è stato costruito il centro per prove sugli ordini esplosivi).

Kesla diary, India - images by Sunil Deepak, 2014

Alla fine, sono arrivate le riserve naturali per le tigri e per gli altri animali. Per questo motivo, molte delle foreste intorno a Kesla sono state dichiarate "zone protette" per la salvaguardia degli animali.

Negli ultimi anni, il governo si è impegnato a risarcire i danni alle famiglie sfollate ma per decenni le persone sono state costrette a lasciare le loro terre senza nessun o con un minimo di sostegno. Stanche di essere costretti a cambiare case, la maggior parte delle persone ora chiedono adeguati risarcimenti per lasciare i loro villaggi e alcuni altri gruppi hanno rifiutano di lasciare.

Personalmente penso che creare le zone protette e salvaguardare la natura sia un'ottima scelta, ma si deve trovare un modo migliore per coinvolgere le popolazioni locali in queste iniziative affinché la costruzione della riserva naturale non sia solo qualcosa per i turisti ma diventi anche un modo di migliorare la vita delle persone locali. Non sono stati gli indigeni a tagliare le foreste, a distruggere l'ambiente o a uccidere le tigri - anzi, le loro vite sono molto rispettose della natura - non è giusto che siano completamente allontanati dalle loro foreste senza cercare delle nuove sinergie di vita tra loro e le riserve naturali.

L'area è ricca di bellezze naturali ma è sprovvista di molti servizi. Le prossime due immagini presentano - il fiume Sukhtawa e  "un'ambulanza locale" per il trasporto all'ospedale di una ragazza malata.

Kesla diary, India - images by Sunil Deepak, 2014

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Il gruppo di Kesla

Smita mi ha introdotto a tanti attivisti e volontari che collaborano con lei per promuovere lo sviluppo nelle comunità locali. Per esempio, signor Phag Ram è un leader comunitario Korku. E' membro del consiglio regionale di Kesla.

La signora Bistori è una giovane donna Korku, anche lei è una volontaria. Ha seguito un corso per fare l'operatrice sanitaria e promuove l'educazione alla salute nei villaggi. Quando me l'avevano presentata, mi sembrava che il suo nome forse "Bisturi" e l'avevo spiegato il significato della parola in italiano. Invece lei mi aveva spiegato che il suo nome nella lingua Korku significa giovedì. (nell'immagine seguente, Bistori con i ragazzi del villaggio mentre li spiega l'importanza di lavare le mani).

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Un'altra attivista-volontaria, Guliya Bai appartiene alla casta dei Lohar, i fabbri - una delle caste indù considerate "basse", che vive in un villaggio Gond.

Le caste e i templi di Pachmadhi

Ho incontrato un segno potente del cambiamento che l'India tradizionale sta affrontando durante un viaggio alle montagne di Pachamadhi vicino a Kesla. L'autista della nostra macchina si chiamava Dubey, ed era un bramino. Lui era un grande amico di una delle persone del nostro gruppo - Rajeev, una persona della casta degli intoccabili. Vedere loro due a scherzare ed a chiacchierare durante il viaggio e poi, a mangiare insieme, era un'sorpresa molto piacevole per me - vuol dire che anche nei villaggi lontani finalmente qualcosa inizia a cambiare.

Rajeev, il ragazzo della casta degli intoccabili, è un insegnante di storia presso una scuola superiore. Secondo lui, molto è cambiato oggi per quanto riguarda l'atteggiamento delle persone verso le caste intoccabili, anche se ogni tanto lui deve fare i conti con le discriminazioni.

Il viaggio alle montagne di Pachmadhi era stato organizzato per tutto il gruppo di volontari di Kesla. Quando me ne avevano parlato avevo immagino delle passeggiate e magari un picnic all'aperto. Invece, la visita era completamente dedicata ai pellegrinaggi ai vari templi della zona. Nella spiritualità indù, le montagne sono considerate sacre e il Pachmadhi è piena di luoghi collegati ai miti e alle legende dell'induismo e delle religioni indigene.

Purtroppo quel giorno pioveva quasi sempre, per cui non era possibile visitare i vari templi con calma. Comunque, era una giornata di svago molto piacevole. (Le prossime immagini presentano due templi di Pachmadhi).

Kesla diary, India - images by Sunil Deepak, 2014

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Un viaggio a Bhopal

Un altro giorno siamo andati a Bhopal per una riunione. Bhopal è la capitale della provincia di Madhya Pradesh, ed è a circa 2 ore di treno da Kesla. Nella mia testa, l'immagine di Bhopal è inesorabilmente legato alla tragedia di Union Carbide, il disastro chimico con migliaia di vittime nel 1984. L'avevo sempre immaginato come una città secca e polverosa. Invece sono rimasto sorpreso da questa città, piena di colline verdi e di laghi, molto diversa da come l'avevo immaginato.

La parte più bella di questo viaggio era una visita al Manav Sanghrahalaya, il museo antropologico di Bhopal. Il museo è pieno di informazioni sulle leggende e sui miti dei gruppi indigeni. Ero al museo per circa 4 ore ma avrei potuto passare delle giornate intere in questo museo senza stancarmi. Penso che sia uno dei più belli musei che mai visitato. Se vi interessano le culture indigene, non perdete questo museo. (Due immagini del museo nelle prossime foto).

Kesla diary, India - images by Sunil Deepak, 2014

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Progetto sanitario a Kesla

L'obiettivo della mia visita a Kesla era di valutare l'opportunità di avviare un progetto sanitario. Dopo lunghe discussioni sono arrivato alla conclusione che attualmente non vi sono le condizioni adatte per avviare un'attività del genere.

Il primo problema è la mancanza di altre figure che possono sostenermi in un progetto sanitario - penso che il bisogno è enorme e da solo, non potrò fare fronte a questo bisogno. Per avviare qualcosa del genere, avrò bisogno di altre figure.

Inoltre, loro non hanno nessuna infrastruttura per avviare un ambulatorio e non vi sono fondi per costruire qualcosa di nuovo.

Loro (Smita e altri attivisti e volontari) non vogliono prendere i fondi del governo perché pensano che ciò  comprometterebbe le loro lotte per i loro diritti. Non vogliono ne anche i fondi stranieri perché pensano che le agenzie straniere che finanziano i progetti in India sono parte di grandi corporazioni e/o multinazionali, e loro non vogliono niente dalle multinazionali.

Ho parlato a loro di AIFO, come è organizzata e come funziona, per spiegare che anche le ong straniere possono essere basate sugli ideali, ma ho dovuto ammettere che AIFO era l'unica associazione di questo tipo che conoscevo e che nei 30 anni di lavoro internazionale, non ne avevo incontrata un'altra organizzazione europea simile basata sui principi di partecipazione e democrazia.

Alla fine ho suggerito al gruppo di Kesla di aspettare per l'avvio del progetto sanitario e invece di avviare un piccolo programma di riabilitazione su base comunitaria (CBR) per aiutare le persone con disabilità dei villaggi, perché la possono avviare con le proprie forze senza chiedere i fondi a nessuno.

Abbiamo organizzato alcune riunioni nei villaggi per parlare dei problemi sentiti dalle persone con disabilità. (Le prossime due immagini presentano le riunioni comunitarie sulla disabilità).

Kesla diary, India - images by Sunil Deepak, 2014

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Alla fine, questo mio suggerimento è stato accolto dal gruppo e hanno deciso di condurre una piccola indagine per capire quante persone disabili vi erano nei villaggi. Ho promesso a loro di tornare a Kelsa periodicamente per sostenere i loro sforzi e per la formazione sulla CBR.

Le orme dei dinosauri

Il fiume Sukhtawa, letteralmente il fiume secco, passava dietro la casa di Smita. Una mattina durante una passeggiata lungo il fiume, ho visto due buchi rotondi nella roccia basalto ai margini del fiume. Ogni buco poteva contenere 3-4 zampe di elefante. Avevo letto che questa rocca è vecchia milioni di anni, è tra quelle più dure e costruire dei buchi in questa roccia non è semplice. Per ciò mi sono chiesto - chi aveva fatto quelli buchi e quando? Come erano riusciti a tagliare i buchi con i bordi così netti?

All'improvviso ho pensato alla scena di un dinosauro bloccato nella palude in qualche film - potevano essere le impronte di un dinosauro? Dopo quella volta, ne ho trovato molti altri buchi lungo il fiume, alcuni più piccoli, altri ancora più grandi.

Non so se qualcuno può provare se questi buchi sono segni dei dinosauri, ma per me da quella mattina, quella era diventata "la passeggiata dei dinosauri". Nessun altro a Kesla ha voluto a sostenere questa mia tesi che quelli buchi potevano essere i segni lasciati dai dinosauri, quando la roccia non era così compatta e magari vi era una palude in quell'area! (Le prossime 3 immagini presentano alcuni buchi rotondi ai margini del fiume Sukhtawa)

Kesla diary, India - images by Sunil Deepak, 2014

Kesla diary, India - images by Sunil Deepak, 2014

Kesla diary, India - images by Sunil Deepak, 2014

Voi cosa ne pensate di questi buchi? Come si erano formati?

Gli alberi di Kesla

Lungo il fiume, vi sono delle foreste di alberi - la maggior parte degli alberi sono di sagon (Tek), con il legno pregiato.

Invece negli interni, vi erano molti alberi di Mahua. E' l'albero favorito dei gruppi indigeni indiani - il suo frutto è usato per creare un liquore molto usato dai gruppi indigeni. Produrre e vendere il liquore di Mahua è contro la legge ma più volte ho trovato alcuni gruppi a distillare questo liquore lungo il fiume. (Nell'immagine sotto, la distillazione illegale di Mahua).

Kesla diary, India - images by Sunil Deepak, 2014

Conclusioni

I 10 giorni a Kesla si sono passati in un lampo. Non era un soggiorno molto comodo - dovevo condividere una camera con 2 altre persone in una capanna dove entrava l'acqua ogni volta che pioveva. Avevo paura di serpenti e di altri animali. Nei 10 giorni non mi ero mai guardato nello specchio, perché nella casa non vi era uno specchio. La casa di Smita era molto spartana, tutto ridotto all'essenziale.

Dopo qualche giorno a Kesla, avevo avuto una diarrea, e poi nonostante le cure, questa diarrea è tornata a tormentarmi più volte.

Ciò nonostante, mi sono trovato bene con Smita e gli altri attivisti-volontari. Ho passato molto tempo fuori a passeggiare, a visitare le famiglie e a parlare con le persone. Spero che le loro idee sulla CBR potranno essere realizzate e mi piacerebbe molto continuare a sostenere loro in questo loro sforzo.

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domenica 24 giugno 2012

Parlare dell'Africa

Recentemente sull'Internazionale c'era un articolo dello scrittore Keniotta, Binyavanga Wainaina intitolato "La nuova carta dell'Africa". Se avete avuto occasione di leggere altri articoli di Wainaina, penso che saprete già che ha un modo di esprimersi ironico e allo stesso momento, secco e tagliente.

In questo articolo, lui parlava della concezione e dell'immagine dell'Africa in Europa e in America dopo la caduta del muro di Berlino, e sosteneva che oramai conosciamo l'Africa soltanto da quello che ne dicono i rappresentanti delle grandi organizzazioni umanitarie, e spesso le voci sono degli espatriati europei o americani:
"... ti serve memorizzare nel telefono i numeri dei rappresentanti di tutte le organizzazioni umanitarie europee - Oxfam, Save the children, eccetera - in ogni paese africano. .. In questa era il veicolo di tutto il sapere locale sono le organizzazioni umanitarie, che parlano la lingua dei diritti umani e sono buone. Quindi se un corrispondente straniero ha bisogno di sapere cosa sta succedendo in Sudan, si chiarirà i punti più urgenti grazie alla sua colazione settimanale con il rappresentante di Oxfam ..."
Wainaina parla anche delle organizzazioni che cercano di promuovere "lo sviluppo delle comunità" in questo articolo:
"Questa parte dell'Africa è gestita da anonimi signori della guerra. Quando vengono sconfitti, questi posti sono gestiti da organizzazioni di base finanziati dall'Unione Europea che creano un buon posto per mandare i bimbi nati negli anni bisestili a dare una mano e a vedere anche le giraffe. La base esiste per stare seduta ad aspettare che arrivino gli agenti della sostenibilità (europei) e le diano un po' di potere."
Penso che con questa descrizione, Wainaina esagera un po', ma c'è più di un pizzico di verità nella sua affermazione. Negli anni di crisi come quelli attuali, spesso l'unico modo di lavorare per le organizzazioni di volontariato è quello con i progetti cofinanziati dall'Unione Europea, con i loro finanziamenti di 1-3 anni e con le compulsioni di costruire le sembianze di uno sviluppo comunitario con le tecniche dirigenziali delle grandi corporazioni. Per cui, prevale lo sviluppo calato da sopra che costruisce scenografie da fotografare e filmare, ma che cambia niente.

Wainaina chiude il suo articolo con un avvertimento: l'Europa sta perdendo l'Africa e che l'Africa ha scelto altri interlocutori per il suo dialogo - interlocutori orientali e medio orientali, perché non riesce più a farsi sentire dall'Europa.

Si può discutere molto su diversi punti che solleva Wainaina in questo articolo, ma non si può negare che in Europa nei giornali "normali" è quasi impossibile sentire le voci africane su qualunque tema che riguarda l'Africa. Dove sono le voci di pensatori, filosofi, economisti, attivisti, scrittori africani quando succede qualcosa in Africa?

Anche le voci autorevoli come quelle di Wole Soyinka o Samir Amin, sono quasi sconosciute in occidente. Perché l'Africa non ha le voci proprie per raccontare la sua storia? Forse questa assenza ha le sue radici nel passato, nella storia dello schiavismo?

Europa aveva colonizzato anche l'Asia e il sud America, ma forse nella recente storia, nessun altro popolo è stato trattato come gli africani - come esseri "non umani", esseri da raccogliere durante le spedizioni di caccia, incatenati e trasportati in giro per il mondo. In confronto, per portare i "girmitiya" indiani come lavoratori nelle colonie, gli inglesi dovevano attirare le persone con inganno, con le esche del sogno di una vita migliore, come onesti lavoratori. Alla fine anche gli indiani si trovavano in situazioni terribili e erano trattati poco meglio degli africani, ma avevano dei contratti, ciò è un riconoscimento che erano delle persone, anche se avevano poco potere.

Forse sotto sotto, in Europa resta quell'idea dell'Africa come la terra di nessuno, una terra senza civiltà. Per questo che ancora oggi le voci africane restano non ascoltate?

Comunque, come Wainaina, vi sono molte altre voci africane che raccontano quello che succede nei loro mondi. Penso che sia importante ascoltare anche loro, se vogliamo capire meglio quello che succede in quei mondi.

Graphic African Voices - S. Deepak, 2012

Per esempio, potete iscrivetevi ad un newsletter settimanale di Pambazuka.org, una lista di email gratuita, in inglese, portoghese e francese, che racconta i problemi dell'Africa visti e raccontati dagli africani. Vi garantisco che resterete stupiti da quanto spesso loro descrivono il loro mondo e i suoi problemi così diversamente da come lo fanno i giornali europei (quelle rare volte che lo fanno) o le organizzazioni umanitarie!

Sul sito di Pambazuka troverete tutte le informazioni per l'iscrizione (il link porta alla pagina in inglese - in alto sulla sinistra troverete i link alle pagine in francese e in portoghese).

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mercoledì 16 maggio 2012

La lettera di Sikand

Per più di 25 anni, Prof. Yoginder Sikand è stato una voce autorevole per parlare della situazione delle minoranze oppresse e emarginate in India. Ha parlato e ha scritto più volte sulla situazione dei gruppi come le cosidette "caste basse" e i musulmani in India e ha denunciato con forza i meccanismi del fondamentalismo indù.  Lui scrive regolarmente per riviste indiane autorevoli come l'Outlook.

Il 19 aprile scorso, lui ha pubblicato una lettera shock, intitolata, "Perché rinuncio all'attivismo sociale", dove lui parla del suo bisogno di introspezione e riflessione, e del "negativismo" che pervade i "progressisti" indiani impegnati nelle lotte per i diritti dei gruppi oppressi e delle minoranze etniche e religiose.

La lettera di Sikand ha toccato un vespaio, con lancio di accuse e di controaccuse di altri "progressisti" e attivisti sociali nelle settimane successive, i quali si sono sentiti colpiti dalle critiche di Sikand.

Penso che sia utile riflettere su alcune questioni che solleva Sikand nella sua lettera:
"..essendo un attivista sociale, avevo immaginato che le fonti di tutta l'oppressione e di tutta la negatività erano esterne - "là fuori" nel "mondo oltre" - da cercare nelle classi sociali, nelle caste, nelle strutture e nelle ideologie che avevo identificato come oppressive - Bramini e Commercianti, Ebrei, Americani e i loro fedeli Sauditi-Wahabiti, Feudalismo, Comunalismo, Capitalismo, Castismo, Zionismo, Braminismo,  Fondamentalismo religoso, Imperialismo e così via. Se potevamo combattere contro questi oppressori, avevo creduto, che il mondo si sarebbe cambiato...
.. l'odio che spesso passa per il "progressismo" nei circoli degli "attivisti" era veramente incredibile, e io ci credevo pienamente. Si imparava a cercare il negativo in ogni angolo e ogni buco, e se non lo trovavi in quelli luoghi, allora immaginavi fermamente che esisteva lo stesso.Tutta la tua vita era una grande protesta. Protestare contro le ingiustizie reali o immaginarie era quasi la sola cosa rispettabile che potevi fare ...
Ma questo negativismo dei circoli degli attivisti era solo verso una parte, perché per essere contato come un "attivista sociale" "vero" era impensabile trovare difetti di qualunque tipo negli "oppressi". Per un "attivista sociale" era impensabile anche parlare, tanto meno condannare, qualcosa che "non andava bene" nelle "comunità oppresse" - ingiustizie di genere o lotte di caste tra le "caste basse" o l'oscurantismo e la misoginia che insegnano nelle scuole musulmane tradizionali (madrasse) o gli attacchi terroristici e l'uccisione degli innocenti da parte dei naxaliti (maoisti) e dei musulmani radicali - parlarne era visto come un tradimento. Rapporti riguardo simili cose erano da ignorare perché sono "la propaganda maliziosa della classe regnante" o perché è "il lavaggio strumentale di cervello da parte dei bramini" o anche perché è "una reazione comprensibile delle comunità di minoranze vulnerabili all'oppressione delle caste / classi / imperialisti dominanti". Qualche volta, anche se si poteva accettare con riluttanza che i rapporti erano veritieri, si cercava di lasciarli passare sotto silenzio per "rispettare le sensibilità degli oppressi" o come "piccole contradizioni" che non bisogna esternalizzare perché ciò avrebbe "diviso" gli oppressi e avrebbe "sabotato" la lotta contro "l'oppressione" e sarebbe stato "fare il gioco dei veri oppressori".
Oltre alle sue confessioni sul proprio mondo "progressista", Sikand spiega la propria decisione di abbandonare l'attivismo sociale con queste parole:
"Anche se riconoscevo che l'ingiustizia sociale era una realtà universale, ed anche brutale, sopratutto per alcuni gruppi di minoranze, ho dovuto accettare anche le "minoranze" sono spesso colpevoli delle stesse ingiustizie (per esempio per come trattano le donne e le altre minoranze tra di loro) come le "maggioranze" e che nessuna comunità ha il monopolio, ne sulle virtù, né sui peccati. Un marito o padre tiranno, che esso sia musulmano o Dalit, è ugualmente oppressore quanto un bramino, almeno per me... affinché le persone non cambieranno come individui, non è importante in quale "sistema" credono, quale è la loro religione, o di quale retorica radicale parlano... affinché le persone, compreso gli oppressi, resteranno come sono, con tutta la negatività che abbiamo dentro, l'oppressione resterà intatto, anche se le sue forme possono cambiare e gli "oppressi" di oggi diventeranno gli "oppressori" di domani. La sola rivoluzione che cercavo, avevo capito, era quella interna... soltanto se mi riformavo veramente, se mi guarivo psicologicamente dal di dentro, per diventare intero, gentile e amorevole, ho capito, solo allora potrò veramente aiutare gli altri...
"So che non voglio più cambiare il mondo, dolorosamente consapevole che non importa quanto posso provare, i problemi del mondo resteranno e forse peggioreranno. Perché devo sprecare quello che resta della mia vita inseguendo il miraggio di un mondo senza problemi? ... Lasciamo stare il mondo intero o il "sistema", non ho potuto cambiare ne anche la mia famiglia e gli amici intimi, affinché loro pensassero e comportassero come volevo io .. il meglio che posso fare è di cercare di diventare una persona migliore, più gentile, con più compassione e amore, e di liberarmi di tutta questa negatività che si è entrata dentro di me. Veramente è l'unica e la migliore cosa che posso fare. E se anche gli altri penseranno in questo modo, non ci sarà più bisogno di sognare le rivoluzioni o di cambiare gli altri per avere un mondo migliore."

In qualche modo queste ultime parole di Sikand, mi fanno pensare a Mahatma Gandhi, per il quale la soluzione di ogni problema era dentro di se e per ogni crisi, lui proponeva digiuni o giornate di silenzio per la riflessione e per la purificazione.

Personalmente non ho mai avuto grande amore per le ideologie di qualunque colore. Mi trovo più vicino al pensiero di sinistra, ma non ci sto quando si cerca di giustificare tutto partendo da pensieri ideologici. Proprio per questo motivo, non concordavo quando Arundhati Roy, in qualche modo giustificava la violenza dei maoisti come "unica soluzione possibile dei gruppi emarginati e poveri, perché cosa altro possono fare?"

Ma la lettera di Sikand, vuol dire che non dobbiamo affrontare le ingiustizie? Non credo. Più che altro penso che sia importante liberarsi dagli spazi stretti che ci costruiamo intorno a noi, gli spazi delle ideologie, delle ideologie di sinistra che ripetono i mantra delle lotte contro imperialismo, e delle ideologie di destra che vedono tutte le soluzioni nei mercati.

Nietzsche diceva, "Le convinzioni sono le nemici più pericolose della verità, più delle bugie." Penso che le ideologie fanno proprio questo, ti spiegano il problema e le soluzioni prima di ascoltare e capire qualcosa. Ti chiudono gli occhi e le orecchie e non puoi più sentire la voce delle persone.

Concordo con Sikand che se non siamo aperti alle riflessioni e all'auto-cambiamento, non possiamo cambiare gli altri. Anche Raoul Follereau diceva, "cambiare noi per cambiare il mondo". Penso che le parole di Sikand hanno valore non solo per i "progressisti" indiani ma per tutti quelli che si nascondono dietro alle ideologie.

Se volete leggere l'intera lettera di Sikand (in inglese) la troverete cliccando al sito di Counter-currents.

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