domenica 20 novembre 2011

Il grido di Dayamani

Come la festa annuale di Internazionale che si tiene a Ferrara, la rivista indiana Tehelka aveva organizzato la sua festa a Goa. Questa festa si chiama “Think-fest” o “il festival del penisero”. Alcuni amici che erano andati al festival mi avevano detto che è stata un’esperienza indimenticabile.

Qualche anno fa durante un festival letterario a Torino, avevo conosciuto Tarun Tejpal, il fondatore e l’editore iconico di Tehleka. La sua rivista è riconosciuta per i suoi reportage coraggiosi e contro correnti. Oltre a dirigere la rivista, Tarun Tejpal è anche uno scrittore. Tra i suoi libri vorrei segnalare, “La storia dei miei assassini”. Tehleka è stato attaccato più volte dai governi indiani, sia quelli del congresso che quelli del BJP, e dalle grandi industrie, ma nonostante tutto riesce a andare avanti.

Gli interventi del Think-fest di Tahelka si possono guardare al sito della rivista. Se non avete problemi con l’inglese, vi consiglio di vedere questi video. Per esempio, guardate il video di Maajid Nawaz, l’ex-estremista islamico diventato l’anti-estremista. Lui è inglese di origine pakistana. Ho trovato il suo intervento molto interessante.

Invece vi voglio parlare di un altro intervento di questo festival, quello di Dayamani Barla. Dayamani, conosciuta anche come “Dayamani didi” (sorella maggiore Dayamani) è un giornalista di origine indigena e appartiene alla tribù di Munda.

Dayamani Barla, rights of indigenous people in India


Dayamani è cresciuta in mezzo all’emarginazione che i poveri e gli indigeni spesso subiscono in nome del progresso in tutto il mondo. Ha dovuto dormire per terra nella stazione di Ranchi quando era bambina, e ha lavorato come domestica mentre era uno studente, ma nonostante tutto è riuscita a completare il corso di giornalista e ora lavora presso il quotidiano in hindi, Prabhat Khabar, nello stato di Jharkhand in India.

Dayamani sta lottando da diversi anni per i diritti dei gruppi indigeni contro le grandi industrie e contro i politici di Jharkhand. Aveva vinto la causa contro la multi nazionale di acciaio Areclor, proprietà del magnate Mittal, la quale voleva costruire un’impianto per la produzione di acciaio nello stato di Jharkhand. Questa lotta, collegata alle immagini del film Avatar, aveva ricevuto anche molta attenzione internazionale.

Al Think-fest di Tehelka, Dayamani ha parlato in hindi. Penso che l’intervento di Dayamani merita di essere conosciuto molto di più. Per questo motivo ho pensato di tradurre alcuni tratti di questo intervento dall’hindi all’italiano. Invece se potete capire hindi, vi consiglio di non perdere questo suo intervento al sito di Tehelka, perché ascoltare la voce di Dayamani è un’esperienza forte.
"Prima di tutto da parte dei popoli indigeni dello stato di Jharkhand, dell’India e del mondo, vi porto il mio saluto. La società indigena cosa pensa dell’acqua, delle foreste, dei fiumi, delle montagne e dell’ambiente, penso che non solo in India ma in tutto il mondo vi è un grande bisogno di capirlo.
Se voi guardate la storia del mondo, i popoli indigeni hanno sempre scelto di vivere dove vi sono le foreste, i fiumi e le montagne. Per la società indigena, l’acqua che scorre nel fiume, gli uccellini che cantano nel cielo, i raggi del sole, il verde della foresta, tutta l’erba della terra insieme ai fiori e ai frutti, sono tutt’uno con la sua lingua, con la sua cultura, con i suoi valori culturali e sociali, e con la sua storia. La storia del mondo lo dimostra...
Amici miei, la relazione tra il popolo indigeno e la foresta è quella di un figlio con sua madre. L’anno ha 12 mesi e 4 stagioni. In ogni stagione la foresta ci offre frutti, radici, verdure. Nostra lingua, nostra cultura e nostra storia sono intrecciate con la foresta. Per gli altri la foresta è solo un insieme di alberi, la terra è solo un pezzo di terra, l’acqua è qualcosa che si compra in bottiglie, tutto è da vendere e da comprare. Ma non per noi. Per noi l’acqua e la foresta sono i nostri diritti comunitari, sono la nostra eredità e non sono la nostra proprietà. Non li possiamo vendere..
Dayamani Barla, rights of indigenous people in India
Ci dicono che ci ricompenseranno, ci daranno soldi per il fiume, soldi per la terra. Ma chi di voi ha mai venduto la sua madre per i soldi? Noi popoli indigeni diciamo che non esiste un ricompenso che può pagarci il valore della nostra lingua, della nostra cultura, e della nostra storia. Quanto ricompenso mi potrete dare? Potrete pagare il valore dell’acqua pulita? Potrete pagare il valore della storia? Non si può pagare il valore di queste cose.
Ci dicono che senza l’industrializzazione non vi sarà lo sviluppo. Noi chiediamo soltanto lo sviluppo sostenibile, uno sviluppo equilibrato. Da una parte l’agricultura deve sviluppare, dall’altra parte il fiume deve sviluppare, e dall’altra ancora, i valori umani devono sviluppare. Solo se i valori sociali e la nostra storia possono sviluppare allora avremmo lo sviluppo sostenibile. Senza lo sviluppo dell’agricultura e dell’ambiente, non è possibile nessun sviluppo...
India è diventata indipendente 65 anni fa. Subito dopo hanno cominciato a costruire grandi industrie nello nostro stato. Le industrie di SCC, Tata, Bokaro, ecc. Hanno sradicato 10 milioni di persone dalle loro terre per queste industrie, delle quali 80% erano persone indigene. Dove sono andate a finire quelle persone che hanno perso le loro terre? Il governo, la stampa, e gli assistenti sociali, non ti sanno dire, quanti sono e dove sono. Io ve lo posso dire dove sono andate a finire quelle persone e come vivono. Muoiono di stenti. I bambini di quelli che hanno perso le case per costruire gli impianti di Bokaro, SCC, Tata e Birla, muoiono di stenti. Per l’impianto di Bokaro hanno preso la terra di 65 villaggi e quella zona industriale riceve tutta l’acqua, ma quelli che sono stati cacciati via dalle loro terre, muoiono senza acqua, muoiono senza medicine. Non hanno lavoro, non hanno un tetto sulla testa, non hanno da mangiare, i loro figli non vanno a scuola. E’ questo lo sviluppo? Non vi daremmo le nostre terre. Mai più. Vogliamo la giustizia.
Ci chiedete come avremmo lo sviluppo? Venite a vedere le terre dove sono state create le grandi industrie, dove hanno scavato le miniere. Il distretto di Hazaribad, la zona di Bokaro. Centinaia di migliaia di ettari di terra sono diventati sterili. Tutti i nostri fiumi sono inquinati. Il fiume Damodar di Bokaro, una volta la chiamavano Jeevanrekha, la linea della vita, è tutta inquinata. Animali non possono bere la sua acqua, non puoi usare quell’acqua per agricoltura. Così sono morti tutti i nostri fiumi. Ci parlate dello sviluppo. Avete la scienza e la tecnologia, perché non fatte che le nostre terre tornano ad essere fertili? Perché non risuscitate i nostri fiumi. Quello si che sarebbe sviluppo. Quelli che hanno perso le loro terre e che girano nei villaggi come i manovali, quelli che vivono come schiavi per tutte le loro vite, riabilitate loro. Date a loro un tetto per ripararsi, date la scuola ai loro figli affinché possono diventare ingegneri, quello si che sarebbe sviluppo.
Non voglio parlare soltanto di Arcelor e di Mittal. Negli ultimi 10 anni, il governo dello stato di Jharkhand ha firmato 104 accordi con le grandi industrie. Di queste 98 industrie vogliono scavare le miniere e costruire gli impianti di acciaio. Hanno bisogno di scavare ferro dalla terra, hanno bisogno di acqua e di elettricità per funzionare. Soltanto Arcelor vuole 12.000 ettari per l’impianto di acciaio e ha bisogno di altre terre per le sue miniere. Se le 104 industrie si costruiranno nello nostro stato, a nessun agricoltore e a nessun indigeno di Jharkhand resterà un centimetro di terrà da coltivare o di foresta. Non avremmo acqua da bere. Siamo contrari a questo sviluppo.
Questa lotta, non lo facciamo per noi, ma pensiamo alle nostre generazioni future. Dicono che Jharkhand è ricca di risorse minerali. Per questo devono distruggere il tutto il prima possibile? Le generazioni future non avranno bisogno di terra, di foresta e d’acqua? Perché non parlano mai di sviluppo umano?
Tutte le grandi industrie vogliono portare via la terra degli indigeni e non smetterò di lottare contro questo. Mi hanno minacciato che se non smetterò di fare le riunioni nei villaggi per parlare contro le industrie, mi spareranno tanti di quei colpi che nessuno saprà riconoscere il mio corpo. Vi sfido a farlo. Se la morte di una donna può salvare Jharkhand, sono pronta a prendere centomila pallottole nel mio corpo. Resisterò fino al mio ultimo respiro."
Le minacce dei padroni delle miniere non sono vuote. Solo alcuni giorni fa, avevo letto la notizia che hanno ucciso suor Valsa John, una suora che aveva deciso di andare a vivere in mezzo ai gruppi indigeni per lottare contro la costruzione di nuove miniere. La chiesa ufficiale non si è sbilanciata molto per condannare l’uccisione di Sr Valsa perché era vista come una suora contro corrente e scomoda.

Questi stessi meccanismi sono dietro all’espansione del maoismo nelle zone tribali, definiti dal primo ministro indiano come la più grave minaccia alla sicurezza dell’India. Ma se non daranno le risposte alle domande di Dayamani come pensanno di sconfiggere il maoismo?

(Nota: Le immagini di Dayamani sono dal suo blog)

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