giovedì 14 maggio 2009

Limiti della democrazia

Ogni volta che leggo un nuovo articolo di Arundhati Roy, continuo a pensarci su per molti giorni. E’ stato così anche questa volta quando ho letto il suo articolo “Tramonto della democrazia” sull’ultimo numero di Internazionale (8/14 maggio 2009).

Come sempre, Arundhati ha la capacità di esprimersi in un linguaggio molto poetico, anche quando le sue parole servono per evocare tragedie immani, morti, sofferenze e brutalità. Per esempio, leggete questa parte:
“Mi ha sempre colpito il fatto che il partito politico turco responsabile del genocidio degli armeni si chiamasse Comitato per l’unione e il progresso. Molti miei articoli parlano proprio del rapporto tra unione e progresso, ciòè, per usare un linguaggio più attuale, tra nazionalismo e sviluppo: le inattaccabili torri gemelle della moderna democrazia del libero mercato.”
A parte la sua consueta eloquenza che rende la lettura dei suoi scritti un piacere, l’articolo segue diversi filoni tematici già affrontati da Arundhati altre volte, anche se questa volta lei cerca di spiegare meglio la propria logica. Così, l’articolo parla dell’emarginazione dei poveri in nome dello sviluppo, della crescente elite della classe media che di fatto decide le politiche governative, del pericolo del partito conservatore induista e la sua politica di nazionalismo, religione e odio che semina morte e paura tra le minoranze etniche, dell’influenza dei vote banks e la frammentazione del popolo secondo le logiche degli interessi di gruppo, della feroce e sanguinosa repressione in Kashmir, ecc.

Comunque, non concordo con il titolo dell’articolo, “Il tramonto della democrazia”. Non penso che l’articolo parla propria del declino dei principi democratici in India, semmai parla dei limiti del sistema democratico comuni a tutti i paesi. Ieri si è concluso l’ultimo turno delle elezioni indiane e complessivamente il 60% dei 750 milioni di persone aventi diritto ha votato. I primi exit poll parlano di un pareggio tra i due schieramenti principali, quelli del partito del congresso da una parte e dall’altra, del Bharitya Janata party. Ma democrazia è viva e gode di ottima salute in India.

Qualche settimana fa proprio su Internazionale, Shashi Tharoor aveva scritto del miracolo delle elezioni indiane:
“Le elezioni sono lo spettacolo dell'India libera, e danno ai giornalisti stranieri l'opportunità di ricordare al mondo che l'India è la più grande democrazia del mondo. Ormai i suoi cittadini danno per scontato che ci saranno le elezioni, che saranno libere e trasparenti, e che produrranno una effettiva alternanza al potere.

La stessa cosa si può dire per pochissimi paesi in via di sviluppo, e ancora meno per quelli in cui regnano la povertà e l'analfabetismo. Questo potrebbe essere il vero miracolo indiano nelle prossime settimane.”
Se l’America rielegge Bush o se l’Italia elegge Berlusconi o Bossi, non penso che possiamo parlare del tramonto della democrazia in America o in Italia?

Fondamentalismi di parte? Giustamente Arundhati parla della virulenza dei fondamentalisti induisti nei confronti delle minoranze cristiane di Kandhamal in Orissa e il loro pogrom contro i musulmani nel Gujarat di Narendra Modi, ma penso che lei ignora volutamente certi aspetti problematici relativi ai fondamentalismi delle altre religioni in India.

Così quando lei parla di “induizzazione di dalit e adivasi”, lei tace sull’evangelizzazione aggressiva o sul crescente numero di madrasse (scuole islamiche) in alcune zone del paese. Per esempio, nel distretto di Kandhamal in Orissa, teatro degli attacchi dei fondamentalisti induisti contro i cristiani, negli ultimi 30 anni la percentuale dei cristiani nella popolazione è cresciuta da 5% al 30%. Un cambiamento così imponente della popolazione deve aver innescato tremendi mutamenti sociali? Che cosa ne pensa lei di questi cambiamenti?

Mentre lei parla giustamente di “decine di migliaia di cristiani vivono nei campi profughi”, penso che lei sminuisce ingiustamente l’impatto dei fondamentalisti islamici sugli indù in Kashmir. Li descrive soltanto come, “una specie di esodo della minuscola minoranza indù”. Ma siamo parlando di 400.000 persone che vivono nei campi profughi da circa 20 anni, dall’inizio degli anni novanta quando i fondamentalisti islamici iniziarono le loro attività in Kashmir? Sembra che lei usi due pesi e due misure per parlare della sofferenza umana.

Lei parla degli attacchi dei gruppi come il Bajrang Dal contro le donne nelle città di Mangalore, ma non dice niente riguardo gli attacchi dei fondamenti islamici contro la scrittrice Taslima Nasrin, originaria del Bangladesh e rifugiatasi in India, costretta a lasciare l’India.

Arundhati dichiara di non sostenere nessuna violenza ma se proprio deve scegliere, accetta come male minore quella dei rivoluzionari, quelli che lottano contro i poteri più forti. Non condivido questa scelta. Rifiuto il fondamentalismo dei maoisti che usa l’emarginazione e sofferenza dei poveri per giustificare la sua violenza. Rifiuto la violenza del fondamentalismo di tutte le religioni, non sono mali minori soltanto perché opera delle minoranze di qualche tipo.

E perché questa condanna solo di alcuni fondamentalismi e non degli altri?

In un recente articolo apparso sulla rivista indiana Outlook, Ramanath Guha, scrittore e storico indiano, aveva spiegato che secondo lui il fondamentalismo della maggioranza indù è più importante perché ha più influenza. Forse è vero se guardiamo globalmente, ma penso che nei singoli contesti, ogni fondamentalismo è uguale e altrettanto terribile, e va combattuto con uguale forza. Accettare che oltre ai fondamentalisti indù, vi sono fondamentalisti evangelisti o islamici, non sminuisce niente della gravità di nessuno. Come possiamo lottare contro un fondamentalismo mentre tacciamo sugli altri fondamentalismi?

Mentre leggevo l’articolo di Arundhati, pensavo anche alla situazione in Italia. Per molti versi, il partito conservatore induista si somiglia alla chiesa cattolica. Se il Vaticano parla delle radici cristiane dell’Italia e dell’Europa, il partito conservatore induista parla delle radici induiste dell’India. Mentre la chiesa parla di “pescare anime e espandere il regno di dio”, i conservatori induisti parlano sopratutto di fermare le conversioni religiose e di ritrovare la purezza antica. Come la chiesa, anche i conservatori indù parlano della moralità, della centralità della famiglia e del ruolo della donna. Ma in questo senso, forse tutte le religioni del mondo si assomigliano!

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