domenica 29 giugno 2008

Parata gay, lesbiche, bisessuali e transsessuali di Bologna

Sono tornato dalla Mongolia due giorni fa. Ho migliaia di foto da sistemare da questo viaggio. E’ stato un viaggio molto bello e appassionante. Spero di sistemare presto queste foto e presentarle sulle pagine di Kalpana.

Invece ieri era 28 giugno, il giorno della parata gay, lesbiche, bisessuali, transessuali. Questa giornata ricorda il raid della polizia di New York a Stonewall Inn del 28 giugno 1969, quando invece di subire passivamente le brutalità e la repressione, le persone omosessuali raccolte lì quella sera deciserò di lottare.

Più cerco di capire le diverse sfaccettature delle diversità di genere, di identità sessuali e di preferenze sessuali, più mi confondo. Alla fine, parole come eterosessuali, bisessuali, omosessuali, transessuali, ecc. sono soltanto delle approssimazioni per rappresentare le nostre unicità.

Crescere in paesi come l’India non aiuta a avvicinarsi a questo mondo circondato dal senso di vergogna, discriminazione e sfruttamento. Corpi coperti, pudore, rispetto per le regole sociali, negazione delle diversità, ipocrizie sociali sono tutte barriere che crescono dentro di noi, quasi inconsapevolmente. Superare queste barriere non è facile.

“Perché sono così esibizioniste? Non possono essere un po’ più discrete?”, i pregiudizi mi sussurrano da dentro e cerco di reprimerli. Forse era per far zittire questi pregiudizi che ho gridato a squarcigola anch’io quando hanno chiesto di far sentire la nostra voce.

E mi costringo a scriverne sul mio blog in Hindi. “Fanno schifo” scrive qualcuno. Qualcun altro resta scioccato. La strada per arrivare ad un mondo giusto senza pregiudizi e discriminazioni è lunga e difficile.

Qui troverete alcune foto della parata. Potete trovare molte altre foto sugli album di Kalpana.








mercoledì 4 giugno 2008

La Camera Della Musica

E’ il miglior libro che ho letto quest anno. “The Music Room” di Namita Devi Dayal (Random House, India, 2007). I giudizi come “il migliore libro” sono molto soggettivi. Perché ci piace un libro? Forse quando riesce a evocare forte emozioni?

Avevo iniziato a leggere The Music Room, durante il mio viaggio a Ginevra. Accanto a me avevo due persone che parlavano continuamente. Quando non parlavano tra loro, parlavano al telefono. Con la voce alta. All’inizio sentivo questo senso di irritazione che mi viene quando penso che persone sono poco educate e non riuscivo a concentrare a quello che leggevo. Invece ci è voluto poco e ho dimenticato completamente i due chiacchieroni, emerso nella lettura. Ho finito il libro poco prima che siamo arrivati a Ginevra.


E’ un libro difficile da classificare. E’ in parte una auto-biografia della scrittrice, in parte è la storia di Dhondhutai, la sua insegnante di musica, in parte è la storia degli insegnanti di Dhondhutai e in parte un saggio sulla musica classica indiana.

Quando si parla di musica classica indiana, persone con un minimo di cultura musicale conoscono il sitar ed i nomi come quello di Ravi Shanker, ma sono pochi che conoscono la musica vocale classica, che si può paragonare all’opera ma forse somiglia di più alla musica sinfonica perché usa la voce come uno strumento musicale e non per cantare parole. Questa musica vocale indiana può essere suddivisa grossolanamente in due filoni principali, Hindustani ciò è la musica del nord, e Carnatak, la musica del sud dell’India. La musica Carnatak è l’antico sistema di canto indiano mentre il sistema Hindustani è la musica influenzata dall’incontro con i sistemi musicali persiani e arabi.

Anche in India non sono in molti che capiscono e apprezzano la musica Hindustani o Carnatak. Mentre nella musica sinfonica occidentale è relativamente facile identificare un ritmo e una melodia, apprezzare la musica classica indiana richiede maggiori sforzi. Il sistema musicale indiano è basato sulle 7 note come il sistema occidentale, ma il sistema indiano usa anche le ottave delle note, il che significa che la variazione tra le note è minore e bisogna ascoltarlo con maggior attenzione. Questa musica indiana è organizzata in Raga, ogni raga è regolato dalle norme sulle note, mezze note e ottavo delle note che si possano usare.

Le sinfonie occidentali sono scritte e i musicisti sono richiamati a rispettare le note scritte in maniera scrupolosa. Dall’altra parte i raga non hanno la musica scritta. Il musicista deve rispettare le regole del raga ma dentro quelle norme è libero di improvvisare e sviluppare la melodia come vuole. Ogni presentazione del raga si inizia con una fase lenta ed esplorativa delle note che si possono usare in quel raga, durante la quale si usano soltanto le note musicali indiane (sa, re, ga, ma, pa, dha, ni) senza parole. Nella fase conclusiva del raga si usano parole che esprimono le emozioni di quel raga.

Da bambino non mi piaceva la musica classica indiana, pensavo che era fatta di lamenti continui, ripetitiva e noiosa. Poi un mio zio mi fece ascoltare alcune bhajan cantate da Kumar Gandharav basate sulla musica classica indiana e iniziai a ascoltare la musica con maggiore attenzione ed a apprezzarla. All’università dove insegnava mia zia spesso venivano i cantanti della musica classica per promuovere questa musica tra gli studenti e iniziai ad andare a ascoltarli. Scoprì l’estasi quando ascoltai la cantante Prabha Atre (che potete ascoltare su Music India Online ).

Leggere il libro di Namita Devi Dayal era una riscoperta di questi ricordi. Non avevo mai pensato alla vita di questi artisti che continuano a seguire la loro musica come una preghiera anche senza un guadagno dignitoso.

Dhondutai, l’insegnante di musica di Namita e l’eroina del libro è una signora oggi oltre settantacinquenne. Namita racconta il suo primo incontro la sua insegnante 20 ani fa quando lei aveva 8 anni e Dhondhutai ne aveva più di cinquanta. Allora Dhondhutai viveva in una piccola camera in affitto insieme alla vecchia madre e per sopravvivere dava lezioni di musica. Poco alla volta Namita scopre che la sua semplice insegnante che vive nella povertà è uno degli ultimi artisti di una tradizione musicale importante per la musica classica indiana.

Dhondutai non vuole essere registrata, non vuole i dischi, chiede soltanto persone che ascoltano la sua arte con attenzione e dignità e cerca uno studente che è pronto a sacrificare la sua vita per la musica.

Il libro è anche la storia di cantanti indù e musulmani che si mescolano fede e musica in un modo che l’India deve sapere a valorizzare e insegnare al mondo, sempre più diviso con i muri e con gli scontri delle civiltà.

Spero che il libro sarà tradotto in italiano e anche se non si capisce la musica classica indiana, penso che riuscirete a apprezzare questo mondo che scompare, sotto assedio dalla globalizzazione e dal mondo frenetico di oggi. Non potete sentire la voce di Dhondutai, ma potete sentire la voce di Kesarbai Kerker, uno dei personaggi del libro, nell’unica registrazione si era concessa sul sito di Music India online.

lunedì 2 giugno 2008

Mario Barzaghi e la danza Kathakali

Il 13 aprile 2008, Mario Berzaghi dell’Associazione Culturale Teatro dell’Albero era a Bologna per uno spettacolo di danza del sud dell’India, la kathakali, nel ambito del festival del cinema Human Rights Nights 2008. Mentre lui si preparava, truccava e vestiva per lo spettacolo, ho registrato una piccola intervista con lui, anche se venivamo interrotti continuamente durante questa intervista per le questioni pratiche. Nella trascrizione dell’intervista MB significa Mario Berzaghi e SD significa Sunil Deepak.

SD: Cominciamo dall’inizio, quando e come hai iniziato con la danza kathakali?



MB: Ho iniziato a fare il kathakali nel 1981 al Teatro Tascabile di Bergamo. Un gruppo teatrale che tutt’ora esiste e che aveva iniziato a lavorare come lavoro di ricerca al teatro indiano nel 1978. Quindi quando io sono entrato in questo gruppo nel 1981, il regista del Teatro Tascabile mi ha chiesto di studiare kathakali, di fare pratica con mio maestro, che è tutt’ora il mio maestro, e si chiama Kalaamandalam K. M. John. Lui viene da Kerala Kalamandalam che è una delle scuole più prestigiose di kathakali. Quindi è stato un lavoro, un’opportunità che io ho incontrato entrando in quella compagnia, quel gruppo. Questo lavoro attorno al teatro classico era già iniziato ...

SD: Racconta un po’ delle tue esperienze prima di arrivare a kathakali. Conoscevi già l’India e le diverse danze classiche indiane?

MB: Non avevo benché la minima idea! Prima di entrare al Teatro Tascabile di Bergamo, facevo teatro di sera e avevo il mio lavoro ufficiale, ero un operaio metalmeccanico. Così facevo operaio e facevo teatro con il mio gruppo che si chiamava Teatro Sette, lavoravamo a Inzago in provincia di Milano. La mia formazione teatrale è iniziata così in modo parallelo perché avevo un lavoro ufficiale. Quindi come fanno i dilettanti quali si dilettano, come fanno gli amatori i quali amano il teatro, facevo teatro in quel modo. Avevo il mio lavoro ufficiale e c’era questa passione, non era un’hobby, questa passione che mi divorava in qualche modo. Avevamo dei ritmi molto, ma molto, forti.
SD: Quando sei stato in India, il tuo incontro con kathakali più tradizionale legata alla vita dei templi, quali differenze hai notato tra quello che avevi conosciuto in Italia e quello che viene vissuto in India?



MB: E’ molto diverso fare kathakali in un tempio rispetto ad un teatro. Se faccio kathakali in un teatro, pur interpretando una divinità, sono in un contesto laico. Mentre in un tempio, le responsabilità sono maggiori. E’ come se ci fosse davanti non degli spettatori ma dei fedeli. Questa è la differenza rispetto alle due situazioni che grazie al cielo, ho potuto frequentare perché con mio maestro ho fatto degli spettacoli in templi. Mio maestro faceva da tramite quindi ho potuto fare questo, perché lavoravo con il maestro.


(Questo post è un estratto da un articolo più ampio che potete trovare sul Kalpana, la mia web page.)

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